Autore Topic: Realtà e verità  (Letto 1406 volte)

Doxa

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Realtà e verità
« il: Maggio 20, 2015, 15:04:06 »
Realtà. Dalla parola latina “res” (= cosa) derivò nel tardo medioevo il sostantivo “realitas”, da cui realtà, che indica ciò che esiste. Fu il filosofo e teologo  scozzese John Duns Scoto ( 1265 – 1308) a creare il neologismo “realitas” come contrapposizione all’astratto (abstracta).

Il  concetto di realtà è collegato all’ontologia: parola d’origine greca che significa “discorso sull’essere”. Deriva  dal participio presente (ontos) del verbo greco einai ("essere") e logos ("discorso").

Sebbene l'ontologia abbia interessato il pensiero filosofico sin dai suoi primordi, la sua definizione lessicale è molto più tarda. Il termine ontologia fu infatti usato come neologismo nel 1606  dal filosofo tedesco  Jacob Lorhard nel compendio di filosofia per i suoi studenti, titolato “Ogdoas Scholastica”. Lorhad usò il termine “ontologia” come sinonimo di metafisica.

Come disciplina filosofica l’ontologia si occupa dello studio dell'essere, che è, secondo il filosofo greco Parmenide, tutto ciò che esiste, la realtà.
 
Ma cos’è la realtà ?

Il fisico  tedesco  Hans-Peter Dürr (1929 – 2014), scrisse: “Tutto quello che attraverso l’osservazione o l’astrazione della nostra percezione riteniamo cosa vera”. 

La percezione è  il processo psichico che sintetizza i dati sensoriali in forme dotate di significato.

L'esperienza percettiva è data dall'elaborazione soggettiva dei dati offerti dagli organi di senso.

L'esperienza sensoriale (visiva, uditiva ecc.) è data dalla reazione agli stimoli interni ed esterni (fisici e fisiologici) recepiti dagli organi di senso.

La nostra esperienza quotidiana ci insegna che non percepiamo dei singoli stimoli (dalla cui somma giungiamo a "ricostruire" gli oggetti), ma vediamo immediatamente gli oggetti nella loro unitarietà-totalità-significatività-permanenza (ad es. percepiamo subito che un libro è un libro prima ancora d'averlo aperto e sfogliato), e li vediamo come "distinti" dagli altri oggetti circostanti (ad es. una matita appoggiata sul foglio la vediamo distinta dal foglio). Ma non sempre un oggetto coincide con quello che noi riusciamo a percepire. Perciò è necessario distinguere fra ciò che si percepisce  e ciò che quanto si percepisce produce in noi.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #1 il: Maggio 21, 2015, 15:44:51 »
Realtà oggettiva e realtà soggettiva.

Per categorizzare la realtà di solito si utilizzano due concetti: “realtà oggettiva” e “realtà soggettiva”.
 
La realtà oggettiva esiste in se stessa, per esempio, una sedia è una sedia, a prescindere  da come viene percepita dagli osservatori.

La realtà soggettiva, invece, è condizionata dalla percezione dell’osservatore, dai significati che egli attribuisce all’oggetto o ad un evento: se dice che la sedia è bella esprime un giudizio e la sua è una realtà soggettiva, influenzata dalla sue esperienze e convinzioni che “filtrano” la sua percezione. 

Oggettivo: deriva dal latino medievale “ob-iectivum” (e questo da “obiectum” = oggetto) : indica ciò  "che sta davanti".

Soggettivo: deriva dal tardo latino “sub-iectivum”, indica ciò  che è proprio di un individuo: idee, convinzioni, ecc.. Subiectivum scaturisce da “subiectus” (= soggetto): parola composta da “sub” (= sotto) e “iacere” (= gettare), letteralmente significa “ciò che sta sotto”.

Dal punto di vista filosofico ci sono due considerazioni da tener presente:  una ontologico-metafisica (che cos’è la realtà), ed un’altra epistemologica (che cos’è la conoscenza), e non sono dissociate.

Per  l’ontologia, la disciplina filosofica che si occupa di ciò che esiste, la realtà  viene intesa come oggetto, diverso dal soggetto conoscente.
 
L’epistemologia si domanda come sia possibile dare la conoscenza corretta della realtà.

La gnoseologia si chiede in che modo conosciamo l'oggetto. Tutti i soggetti lo conoscono allo stesso modo ? La conoscenza dell'oggetto da parte del soggetto è sicura, innegabile?

Tramite la percezione cogliamo gli aspetti sensoriali della realtà materiale. I sensi generano immagini mentali ed il cervello le interpreta come oggetti.

Ne "Il fu Mattia Pascal" Luigi Pirandello scrisse: “Certo un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ti procura non si trova nell'oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d'immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell'oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l'accordo, l'armonia che stabiliamo tra esso e noi, l'anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi”.
« Ultima modifica: Maggio 23, 2015, 05:57:07 da dottorstranamore »

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Re:Realtà e verità
« Risposta #2 il: Maggio 23, 2015, 07:26:56 »
“Sensazioni”: sono le risposte psicofisiche agli stimoli  sensoriali che percepiamo.
 
“Percezioni”: sono invece le elaborazioni mentali delle informazioni sensoriali che ci provengono dai sensi.

“Realtà”: indica ciò che esiste.

"Verità": dal latino “veritas”,  denota la coerenza con un dato o una realtà oggettiva, o la proprietà di ciò che esiste in senso assoluto e non può essere falso. Nella lingua greca la parola “verità” viene di solito tradotta con il termine Aletheia: indica lo “svelamento”, il “non essere nascosto”, implica l’evidenza, la realtà.

Realtà e verità, due concetti  sui quali hanno riflettuto per secoli i filosofi.

Le prime testimonianze di un approccio allo studio della realtà che si possa definire filosofico risalgono al VII secolo a.C. con Talete di Mileto e alcuni suoi allievi, come Anassimandro e Anassimene, i quali cercavano spiegazioni razionali ai fenomeni naturali, senza il condizionamento religioso e mitologico.

I principali argomenti di dibattito riguardano sia  la definizione e l'identificazione della verità, secondo una prospettiva ontologica, sia i criteri per conseguire tale verità, attinenti  all'ambito gnoseologico, che può coinvolgere anche l'aspetto etico, essendo collegato con l'esigenza di onestà intellettuale, buona fede e sincerità.

L’antico filosofo Parmenide di Elea contrapponeva la verità  all'errore, diceva che per decidere sulla verità o falsità è necessario osservare la realtà al di là del nostro pensiero soggetto a condizionamenti. Il pensiero è l'attività della mente, un processo che si esplica nella formazione delle idee, dei concetti, della coscienza, dell'immaginazione, dei desideri, della critica, del giudizio, e di ogni raffigurazione del mondo; può essere sia conscio che inconscio.

Pensiero è un termine che deriva dal latino pensum (participio del verbo pendere: "pesare"), usato per indicare il quantitativo di lana che veniva  "pesata" e poi consegnata alle filatrici per la lavorazione.  Il "pensum" era quindi la materia prima, più grezza, designante metaforicamente un elemento o un tema che doveva essere secondariamente trattato, elaborato, dandogli così una nuova forma.

Da quanto detto scaturisce che nessuno ha la visione complessiva dei fatti, perciò tutti hanno una propria verità, che può essere condivisa o meno.

La Verità è soggettiva, dipende dalla propria visione delle cose, mentre la Realtà è oggettiva.

Verità non è sinonimo di certezza. Verità non è sinonimo di sincerità. Una persona può essere sincera e tuttavia dare un'informazione errata.

Accorgersi che è possibile sbagliare giudizi e ragionamenti ha motivato i filosofi a cercare un criterio  per distinguere tra la verità e la falsità delle cose. Le risposte al problema date nel corso dei secoli sono oggetto della disciplina filosofica nota come “logica”, dal greco “logos” (= discorso, ragione, argomento), da cui “logiké”: studio dell’argomentazione, del ragionamento, dei procedimenti per capire la validità o non validità dei concetti, della critica, del giudizio.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #3 il: Maggio 24, 2015, 07:03:53 »
Ci sono alcune teorie filosofiche sul concetto di verità.

Teoria della verità come “corrispondenza ai fatti”. Il filosofo Karl Popper (1902 – 1994) nel suo saggio “Sulla logica delle scienze sociali” ha scritto: “Chiamiamo "vera" un'asserzione se essa coincide con i fatti o corrisponde ai fatti o se le cose sono tali quali l’asserzione le presenta”. E’ il concetto assoluto od oggettivo della verità. 
Nel saggio “Congetture e confutazioni” Popper aggiunge: “La verità, intesa in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti, può paragonarsi ad una cima montuosa avvolta dalle nuvole. Uno scalatore può avere difficoltà a raggiungerla ma anche non accorgersene quando vi giunge, perché nelle nuvole non riesce distinguere fra la vetta principale e un picco secondario. Ciò non inficia l'esistenza oggettiva della vetta”.

Teoria della verità come coerenza: un giudizio o un modo di credere sono veri se fanno parte di un insieme coerente di  giudizi e credenze. Ma il sistema di conoscenze che  vengono considerate possono essere false, anche se qualcosa è coerente al suo interno.
 
Teoria della verità come evidenza: Il filosofo tedesco Moritz Schlick (1882 – 1936), fondatore del positivismo logico e del “Circolo di Vienna”, scrisse che la verità non può consistere nell’evidenza superficiale, soggettiva. L’evidenza spesso appare come una proprietà degli oggetti.

Teoria della verità come consenso: è una sintesi  tra la teoria della verità come evidenza soggettiva e la teoria della verità come coerenza.
La teoria consensuale della verità, secondo il filosofo tedesco Karl-Otto Apel, trova applicabilità in tutte le forme del sapere filosofico e scientifico, anche in quelle conoscenze a priori che, come tali, non dovrebbero aver bisogno del consenso fattuale. Apel ritiene fondamentale far coagire la teoria della verità come evidenza con quella della coerenza. Insieme permettono di saldare i processi interpretativi che sempre e necessariamente caratterizzano la nostra conoscenza con le evidenze percettive che emergono nell’impatto con la realtà.

Teoria della verità pragmatista: William James, Charles Sanders Peirce e successivamente John Dewey sono considerati  i “padri” del pragmatismo,  l'indirizzo filosofico secondo il quale l'attività pratica, che agisce direttamente sulla realtà, deve avere la preminenza sulle attività speculative, e la verità, o la validità di una teoria è affidata alla sua verifica pratica. Quella pragmatista non è propriamente una teoria della verità, ma una teoria del valore della verità.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #4 il: Maggio 25, 2015, 05:36:21 »
Filosofia è una parola di origine greca. Il lemma è composto da “philos” e “sophia”, significa “amore per la sapienza”.

La filosofia si pone domande e riflette sull’esistenza umana, sull’universo, tenta di definire la Natura e analizza le possibilità e i limiti della conoscenza. 

La filosofia è, in generale,  ricerca della verità, l’“alétheia”, parola composta da alfa privativo (α-) + léthos, che vuol dire eliminazione dell'oscuramento, il disvelamento. Ma può la filosofia raggiungere la verità assoluta? Può essere accettata la verità assoluta proposta da una religione?

Il pensiero filosofico occidentale,  incardinato sulla ragione, non riesce a giungere alla verità assoluta di tipo matematico. Invece la religione cristiana, sincretismo di monoteismo semitico e filosofia ellenica, considera Dio la verità assoluta.

Nel Vangelo di Giovanni è scritto: “Gli disse Tommaso: ‘Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?’. Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità, e la vita" (Gv 14,6).

Ancòra l’evangelista Giovanni:  Ponzio Pilato chiede a Gesù: “Che cos’è la verità ?”, ma non attese la risposta ed uscì. (18, 38)

L'esistenza di Dio  non è basata sulla ragione, la “ratio, ma sulla credulità, la fede, i dogmi. Comunque l’individuo per poter dire “Non c’è alcun dio” avrebbe bisogno della conoscenza assoluta dell’universo. Della stessa conoscenza, però,  ne ha bisogno anche il credente. 

“La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità”, scrisse il pontefice Giovanni Paolo II nell'enciclica “Fides et ratio” (fede e ragione), pubblicata nel 1998.

Ma nella “contemplazione” della verità è meglio distinguere tra verità relativa e verità assoluta.

Poiché la verità si acquisisce con la conoscenza, questo processo è in continua evoluzione e la verità raggiunta in una fase determinata è una verità relativa.

Il relativismo  nega l'esistenza di verità assolute che definiscono la realtà. Una verità è conoscibile soltanto parzialmente, in modo relativo. Infatti la ricerca scientifica è continua ricerca della conoscenza per sapere di più.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #5 il: Maggio 26, 2015, 17:50:25 »
Secondo la concezione cristiana la verità non è assimilabile a un concetto ma è rappresentata da Gesù Cristo, che è Dio.
 
Il catechismo della Chiesa cattolica al n.2466 afferma che “In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. “Pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14), egli è la “luce del mondo” (Gv 8,12), egli è la Verità [Gv 14,6]. “Chiunque crede” in lui non rimane “nelle tenebre” (Gv 12,46 ). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi [Gv 8,32 ] e che santifica [Gv 17,17]. Seguire Gesù, è vivere dello “Spirito di verità” (Gv 14,17) che il Padre manda nel suo nome [Gv 14,26] e che guida alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no” (Mt 5,37)”.

La teologia cristiana ha più volte sostenuto l'irriducibilità della nozione di "verità" a quella di “dimostrabilità”, perché la “verità” cristiana è trascendente, intuitiva.

Nell’ambito delle scienze sperimentali, basate sul metodo scientifico, è considerata provvisoriamente vera una teoria, un’ipotesi, un enunciato in base ad osservazioni, esperimenti in laboratorio.
 
Nelle religioni che si considerano di origine divina sono considerate “verità rivelate”  le comunicazioni della volontà di Dio all’umanità o ad un popolo. Le  “verità rivelate” costituiscono i loro testi sacri: la Bibbia ebraica, la Bibbia cristiana ed il Corano.

Una religione è detta rivelata (come l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam) quando “Dio” si fa conoscere o manifesta il suo volere tramite profeti,  “messaggeri angelici o i prescelti che ricevono la “rivelazione” per comunicarla ai fedeli.

Secondo la religione ebraica Dio ha più volte parlato agli uomini e si è loro mostrato, talvolta tramite angeli in forma umana, più spesso con segni simbolici, ad esempio l'entità angelica del roveto ardente a Mosé.

Dio è "l'autore della Sacra Scrittura" nel senso che le cose rivelate da Dio nell'Antico e nel Nuovo Testamento furono scritte  dai prescelti ispirati dallo Spirito Santo.  Incredibile !

Nella teologia cattolica il termine "rivelazione" indica l'insieme delle verità di fede contenute nella Bibbia,  negli scritti dei cosiddetti “padri della Chiesa” e nel magistero, cioè nell'insegnamento ufficiale della Chiesa, in particolare dei Papi.

I cristiani riconoscono la rivelazione di Dio trasmessa ai patriarchi e i profeti dell'ebraismo, ma affermano che si trattò di una rivelazione parziale, che aveva lo scopo di anticipare e preparare la rivelazione piena che venne con Gesù il quale completò e chiarì il senso della rivelazione antica: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure uno iota o un segno senza che tutto sia compiuto”. (Vangelo secondo Matteo 5, 17 – 19)

La rivelazione di Gesù è nel Nuovo Testamento.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #6 il: Maggio 28, 2015, 11:18:30 »
Realtà, verità e relativismo. 

La recta ratio del lógos quale principio interpretativo dell'universo è una ragione ancorata al principio di realtà, che non nega ciò che non riesce a misurare o spiegare, che non è chiusa alla dimensione spirituale dell'uomo. Ma la difficoltà a definire  la realtà e la verità evidenzia un limite della nostra capacità di conoscenza, che non può condurre a negarne l’esistenza, altrimenti si confonde il piano ontologico con quello gnoseologico.

Il filosofo ed epistemologo  Karl  Raimund Popper Popper spiega che la scienza, nonostante abbia scoperto di non poter affermare certezze definitive, progredisce verso le verità della natura per approssimazioni sempre maggiori.

Il concetto di verità non esclude il dubbio, anzi lo richiede, quale strumento necessario per cercarla e riconoscerla, senza fermarsi a verità apparenti. Se ciò è vero non è in contrasto con la filosofia del relativismo, la quale  nega l'esistenza di verità assolute, contesta  la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.

Chi è relativista sostiene che una verità assoluta anche se esiste, non è conoscibile o esprimibile o, in alternativa, è conoscibile o esprimibile solo in modo parziale, relativo. Gli individui possono dunque ottenere solo conoscenze relative, perché ogni affermazione è riferita a particolari fattori e solo in riferimento ad essi è vera.

Per quanto riguarda la religione la filosofia relativista dice che bisogna rassegnarsi al fatto che le realtà divine e quelle che si riferiscono al significato della vita umana, personale e sociale, sono sostanzialmente inaccessibili, e che non esiste un’unica via per avvicinarsi a esse. Ogni epoca, ogni cultura e ogni religione avrebbe utilizzato diversi concetti, immagini, simboli, metafore, visioni, ecc. per esprimerle. Queste forme culturali possono contrapporsi, ma in rapporto agli oggetti ai quali si riferiscono avranno tutte ugual valore. Sarebbero modi diversi, culturalmente e storicamente limitati, di alludere in modo molto imperfetto a certe realtà che non possono essere conosciute. In definitiva, nessuno dei sistemi religiosi ha un valore assoluto di verità. Tutti sono relativi al momento storico e al contesto culturale. Ciò è incompatibile con la fede cristiana, che si dissolve se sul piano teorico si elude la prospettiva della verità. Per il cristianesimo è determinante  autopresentarsi come religio vera, come vera religione che ci comunica la verità intorno a Dio, anche se non in modo esauriente; la verità intorno all’uomo e al significato della sua vita; afferma, inoltre, con pretesa di verità, che Dio ha creato il cielo e la terra e che tutti siamo ugualmente figli di Dio. Ci dice  anche che Cristo è la rivelazione piena e definitiva di Dio. Preferisco non commentare assurde "verità di fede", altrimenti questo post diventa lunghissimo.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #7 il: Giugno 05, 2015, 06:00:59 »
Relativismo: è un termine filosofico secondo il quale non esistono verità e valori assoluti ma soltanto relativi e variano da epoca a epoca.

Alcune modalità di relativismo.

Relativismo gnoseologico: considera la conoscenza incapace di comprendere la realtà nella sua assolutezza oggettiva e nega perciò la possibilità di verità assolute.

Relativismo etico: nega l’esistenza di valori oggettivi assoluti sui quali fondare l’agire morale, e considera i valori morali validi non in assoluto ma variabili in funzione dei mutamenti sociali, politici ed economici che si verificano all’interno di una società.

Relativismo culturale: l’antropologo Franz Boas (1858-1942)  fu il primo ad elaborare il concetto di “relativismo culturale”. fondato sull’osservazione empirica di diverse etnie con le loro peculiari strutture sociali. Le molteplici manifestazioni culturali elaborate da ciascun popolo si giustificano nel loro contesto specifico e non possono essere quindi giudicate in base a criteri che appartengono ad altre culture.
Il relativismo culturale venne elaborato da Boas come  correttivo dell’etnocentrismo (termine introdotto da William G. Sumner nel 1906), concetto che designa la tendenza a interpretare e giudicare le culture “altre” in base ai propri criteri.
Per Boas  non esiste la cultura universale, ci sono invece diverse culture, perché ogni gruppo etnico  ha proprie tradizioni e modalità sociali. Ogni comunità ha la propria, ogni cultura ha una sua unicità.

Jean Melville Herskovits (1895-1963) con il suo libro “L’uomo e le sue opere” contribuì a chiarire il concetto di relativismo culturale dal punto di vista antropologico.  Per Herskovits ogni cultura umana ha propri valori, che nel tempo vengono adattati al mutare delle condizioni iniziali, perciò sono relativi. Da questa teoria sono derivate numerose tesi che raccomandano il rispetto delle diverse culture e dei loro valori.

Margaret Mead (1901 – 1978), studiò il ruolo dei fattori biopsicologici individuali e culturali nella strutturazione della personalità, e concluse che la variabilità naturale dei caratteri congeniti basilari è universalmente identica, ma  in ogni società vengono selezionate le modalità per vivere meglio nel proprio ambiente naturale. Perciò ogni cultura ha pari dignità delle altre; non ci sono culture antropologiche “superiori” od “inferiori” ad altre, ma soltanto differenze, anche nei valori che guidano l’agire, i comportamenti.

Per il relativismo non esiste una verità riservata ad una sola religione, come pretende l’assolutismo delle religioni monoteiste. 

Per il cristianesimo il relativismo culturale è inaccettabile perché mette in dubbio le verità che sono oggetto della fede.  Accettare il relativismo significherebbe l'eclisse del cristianesimo.

La Chiesa  cattolica afferma di rispettare le culture diverse dalla propria ma le vuole evangelizzare, perché si considera detentrice dell’unica verità: il Gesù-Dio. Essa richiama in proposito le parole di Gesù: “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv. 14,6). 

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Re:Realtà e verità
« Risposta #8 il: Giugno 06, 2015, 06:24:03 »
Nel XX secolo si è affermata la cultura relativista che si è opposta al dogmatismo religioso del cristianesimo cattolico che pretendeva nel passato di imporre urbi et orbi le sue presunte verità di fede con il corollario dottrinale di uno schema sociale nel quale far rientrare l’esistenza di tutti gli individui.

Qualsiasi religione metafisica poggia su teoremi astratti il cui contenuto ideologico non può essere oggetto di coercizione nei confronti di quanti non condividono.

Il  fondamentalismo monoteistico dà una spiegazione unitaria ed esclusiva della realtà, perciò confligge con la visione pluralista e con le discipline che spiegano in modo diverso  la vita umana e l’universo.

Il relativismo nega l’esistenza di entità-verità capaci d'intervenire nella realtà, esistenza che è invece alla base della religione cristiana, che propone la “salvezza eterna” nel Cristo-Dio  come  scopo supremo di ogni individuo.

L’astrofisica Margherita Hack (1922 – 2013) nel suo libro “Il mio infinito. Dio, la vita e l’universo nelle riflessioni di una scienziata atea” afferma che fin dagli esordi dell’umanità la volta stellata è stata immaginata abitata da dei con annesse mitologie. Nel contempo in ogni civiltà alla visione religiosa del mondo si sono contrapposte spiegazioni razionali dei fenomeni naturali e cosmogonici.

“…E quando miro in cielo arder le stelle,
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren ? Che vuol dir questa
solitudine immensa? Ed io che sono ?...

(Dal “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”,  di Giacomo Leopardi)

Non furono soltanto gli astronomi a  studiare la volta stellata cercando di capirne i meccanismi. Volsero il loro sguardo al cielo anche i sacerdoti e lo considerarono come la sede di Dio e del paradiso, perciò le spiegazioni scientifiche si sono sempre alternate a quelle teologiche.

L’universo è più intricato delle spiegazioni teologiche, delle interpretazioni cosmogoniche dettate dalla fede, ma le religioni pretendono di dare risposte che nemmeno la scienza è capace di dare.

Ogni religione detta una serie di norme che riflettono le idee e le ossessioni della casta dei sacerdoti, che si è autonominata intermediaria fra la divinità e l'umanità.

Scienza e fede possono convivere, ma le “invasioni di campo” della Chiesa ebbe nel passato esiti nefasti. Oggi la Chiesa è impegnata nello scontro sulle forme e la natura della vita, sulla bioetica. Il precedente pontefice, Benedetto XVI, accusò gli scienziati e i non credenti di essere arroganti e di volersi sostituire a Dio. L’accusa del papa emerito tradisce l’ingenua convinzione che si possano mettere degli argini alla ricerca scientifica. Eppure, nota provocatoriamente Margherita Hack, “Dio dovrebbe essere contento che i suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, si avvicinino sempre più ai segreti della sua Creazione”. Ma, come si sa, il Dio cristiano è anche un Dio molto geloso.

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Re:Realtà e verità
« Risposta #9 il: Giugno 07, 2015, 05:35:13 »
Il relativismo culturale teorizza e difende il pluralismo etico come modalità per la democrazia.

Il pluralismo etico non pretende che tutte le concezioni per il bene dell’individuo abbiano lo stesso valore, ma che siano moralmente accettabili.

Questione diversa è il diritto-dovere dei cittadini di cercare e difendere i valori riguardanti la vita sociale, la giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa cattolica  non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno di coloro che in esse si riconoscono.

Il papa emerito Benedetto XVI il 6 giugno  del 2005 nel suo discorso  in occasione dell’apertura del convegno ecclesiale della diocesi di Roma dedicato alla “Famiglia e comunità cristiana” disse:  “Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, rendendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune. È chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio distruttivo nella società e nella cultura.”

La polemica ratzingeriana contro la “dittatura del relativismo” e il “relativismo come prigione” è motivata dalla concezione relativista dell’”Assoluto”,  secondo la quale non è Dio ma l’individuo l'artefice del proprio destino, che vive in un mondo in continua evoluzione, ed egli stesso è in perenne cambiamento, perché muta l’ambiente culturale in cui vive  ed adegua i suoi valori di riferimento, i suoi criteri di verità e di moralità alle diverse circostanze storiche. In modo autonomo vuole dare un senso alla propria vita e rispetta le “verità” altrui, che possono essere contrarie alle sue, comunque sono verità soggettive e non oggettive. 

Le ricerche di antropologia culturale evidenziano che  nel tempo le diverse tradizioni religiose o le norme morali hanno una propria validità temporale, ma nessuna cultura, nessuna morale e nessuna religione può arrogarsi il diritto di credersi migliore delle altre o ad esse superiore, oppure credersi l’unica  vera.