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Paesaggio

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Doxa:
Nel nostro tempo consideriamo il paesaggio la fisionomia di una parte di territorio, determinata dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

Questo sostantivo ci arriva da lontano, dal latino “pagus” (= villaggio): dietro l’apparente semplicità si nasconde la stratificazione lessicale elaborata nei secoli fino a giungere al sostantivo “paese”,  da cui deriva “paesaggio”: questa parola la troviamo per la prima volta attestata in una lettera scritta l’11 ottobre 1522 dal noto pittore Tiziano Vecellio e indirizzata a Filippo II di Spagna (1527 – 1598), figlio dell’imperatore Carlo V. Il neologismo entrò nell’uso della lingua italiana.


Tiziano Vecellio,  ritratto del re di Spagna Filippo II, , 1550, olio su tela,  Museo del Prado, Madrid.


Nell’ambito artistico la diffusione del paesaggio nella pittura moderna cominciò con Giorgione (1478 circa – 1510).  Non più sfondi monocromatici  ma colline, case, alberi, ecc..

Precursori furono Leonardo da Vinci (con il disegno del 1473 titolato “Paesaggio con fiume”) e gli acquerelli di Albrecht Dürer negli anni ’90 del ‘400.

Adesso vi faccio vedere il dipinto di Giorgione titolato “Tempesta”, considerato il primo esempio nella storia dell’arte occidentale moderna.


Giorgione, Tempesta, tempera e olio, 1503 circa, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Questo dipinto ha suscitato varie ipotesi interpretative. Rappresenta un   paesaggio con figure.

Sulla sinistra, in primo piano un uomo in piedi, con abito rinascimentale; con la mano destra regge un’asta di legno, il suo sguardo è diretto verso un albero. Dietro di lui ci sono arbusti, un alto muro ed uno più basso, di circa un metro, con sopra due tronchi di colonne petrose.

A destra, è raffigurata una donna seminuda, con la mantella sulle spalle,  seduta su un lenzuolo sul prato, nell’atto di allattare il figlio. Lo sguardo della donna è rivolto verso un immaginario osservatore.

Al centro della scena c’è il fiume, sovrastato da un ponte. Sul fondo  si vedono gli edifici  di una città, alcune case-torre, un campanile e alberi.

Il plumbeo cielo che minaccia pioggia è attraversato da un fulmine.

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Doxa:

Leonardo da Vinci,  Paesaggio con fiume, disegno, 1473, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Galleria degli Uffizi, Firenze.

In alto, sulla sinistra,  c’è scritto: "Dì de  Sta Maria della Neve/ Adì 5 daghosto 1473". E’ la più antica opera datata di Leonardo. Sul disegno c’è anche  il suo autografo con la mano sinistra, perché era mancino.

Nella moderna arte occidentale è  considerato il primo disegno con paesaggio,  senza il vincolo con un soggetto sacro o profano.

Sullo sfondo si vedono montagne, vicine colline, su una delle quali, sulla sinistra, c’è un castello;  la parte valliva è attraversata da un fiume. Ci sono alberi, arbusti, campi coltivati.   

Forse il disegno  era lo schizzo preparatorio di un paesaggio in un'opera più complessa, oppure  un esercizio del giovane artista, in quel periodo allievo di Andrea del Verrocchio.

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Doxa:
Albrecht Dürer.  Nel suo diario scrisse: “Ogni parte deve essere eseguita con la massima diligenza possibile nelle cose più piccole come nelle più grandi. Perciò osserva scrupolosamente la natura, attieniti ad essa e non allontanartene arbitrariamente”. Era il suo approccio estetico alla dimensione naturalistica.

Fu il primo ad usare la moderna tecnica pittorica dell’acquerello su carta. In particolare durante i suoi viaggi. Li considerava studi, da confluire in parte nei suoi dipinti.

In epoca rinascimentale oltre a Dürer  anche Peter Paul Rubens, Rembrandt e Anthony Van Dick usarono gli acquerelli.


Albrecht Dürer, Il mulino, acquerello e guazzo su carta, 1489,  Staatlichen Museen, Berlino.

Questo acquerello è una delle prime immagini dell'arte europea interamente dedicata al paesaggio, ma si colloca in una dimensione ancora medievale: infatti, le singole costruzioni e i gruppi di alberi non sono disegnati prospetticamente, ma gli uni sopra gli altri.  Della prospettiva il giovane Dürer, a quell'epoca, non aveva ancora sentito parlare.

Il paesaggio è a ovest di Norimberga, con il piccolo fiume Pegnitz che scorre attraverso la città.

Il disegnatore era in piedi sull'alta riva nord e guardava verso sud oltre il Pegnitz, dove l'orizzonte è segnato dalle cime delle montagne presso Schwabach.

Gli alberi in primo piano a sinistra appartengono al parco delle Hallerwiesen.

Le case con le travature a traliccio ai due lati del fiume, disegnate con precisione, costituivano il nucleo del "quartiere industriale", poiché ospitavano delle botteghe in cui si lavorava il metallo servendosi del Pegnitz come fonte di energia. 

In primo piano, in terra si vedono delle tavole e l'edificio del mulino ad  acqua, che utilizza l’energia meccanica prodotta dalla corrente del fiume. Una mola o macina (la bianca ruota petrosa) è poggiata all’esterno dell’edificio.

Sulla destra ci sono le abitazioni; una passerella in legno traversa il canale. In prossimità del ponticello, un contadino a cavallo sembra pescare all’interno nell’acqua che scorre.

Da un sentiero sulla sinistra un uomo cammina con il sacco in spalla e il bordone. Forse è un contadino che porta il grano a macinare.

Oltre il canale, i prati sono recintati da bassi steccati in legno e si alternano ad abitazioni circondate da alberi. 

In alto, a sinistra, si  vede in lontananza un villaggio, la chiesa con il campanile. Un altro edificio religioso è sulla destra.

Due montagne chiudono l’orizzonte.

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Doxa:
I pittori Giovanni Bellini e Giorgione  furono determinanti per la formazione artistica di  Tiziano Vecellio negli anni giovanili.

Prima di Tiziano il paesaggio  non aveva una  propria connotazione,  invece con lui  diventa più di un semplice sfondo,  può avere un ruolo di primo piano.

Dei tre pittori citati pongo alla vostra visione tre dipinti: la “Crocifissione in un cimitero ebraico”,  di Giovanni Bellini,  'La prova” di Giorgione,  'La sacra conversazione' di Tiziano.

Comincio con il  pittore veneziano Giovanni Bellini (1430 circa – 1516), considerato l’iniziatore del Rinascimento a Venezia.


 Giovanni Bellini, crocifissione in un cimitero ebraico, olio su tavola - 1501-1503 circa, collezione della  Banca Popolare di Vicenza.

Fu realizzato in un periodo di controversie religiose, che indussero all’espulsione da Vicenza  della comunità ebraica.
E’ un’opera simbolica con numerosi dettagli.

La crocifissione di Gesù avviene in un cimitero ebraico, non ci sono i due ladroni né persone dolenti, costituisce un unicum iconografico; la croce occupa totalmente il centro della composizione.

Il primo piano, dietro la croce, ci sono  teschi, lapidi con iscrizioni in ebraico disposte in un giardino brullo e roccioso. 


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Al di là, il  declivio con prato, l'alveo di un fiume che alimenta la ruota di un mulino, alcune case, e alberi; dietro la croce si vede  un rigoglioso albero di alloro, simbolo di vittoria sulla morte e di resurrezione; un altro albero è  il salice, su un ramo c’è una colomba, simbolo di pace.


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Il salice è una pianta molto cara agli ebrei. Ricorda loro l’esilio babilonese: “Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre” (Sal 137, 1-2), come segno di tristezza, ma  i salici diventano anche segno di ritorno in patria, di vittoria e di rinascita.



Nel sentiero tangente il cimitero  si vede un viandante che cammina verso  la composita la città: le mura difensive merlate,  le torri, le case;  alcuni edifici sono identificabili:  il duomo e la torre di piazza di Vicenza, il campanile di Santa Fosca a Venezia, la chiesa  veronese di San Zeno: fu vescovo della città, è noto per aver combattuto l’eresia ariana ed è famoso per aver fermato le inondazioni causate dal fiume Adige;  sul fondo  si vede il campanile e la cupola della cattedrale di Ancona, dedicata a San Cirillo.

E’ un assemblaggio di vari monumenti  localizzati in luoghi diversi.

La sintetica  visione include la natura: ci sono  prati, alberi, le colline, l’azzurro cielo con  le nuvole in arrivo.

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Doxa:
Giorgione.


Giorgione, Mosè alla prova del fuoco,  olio su tavola, 1505 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

Questo dipinto fu realizzato dall'artista in età giovanile, ma ci sono discordanze sull’attribuzione dell’intera opera.
Furono da lui realizzati il paesaggio e le figure sulla sinistra, mentre le figure a destra sono di altra mano. Le differenze stilistiche rilevate sono da ascrivere a un suo collaboratore o forse ai restauri. 

L’episodio raffigurato non è nell’Antico Testamento ma desunto dalle medievali bibbie rimate di Geofroy de Paris e di Herman de Valenciennes che trattano della vita di Mosè.

La vicenda. Nell’Antico Testamento la figlia del faraone d’Egitto non è citata per nome. Il Midrash la chiama Bithia per la compassione con la quale salvò Mosè dal fiume Nilo. Viene descritta come una donna pia e affettuosa.

Bithia mentre era vicina al padre con in braccio il neonato, questo con la mano fa cadere la corona dalla testa del faraone. Turbato e timoroso che in futuro quel bambino potrebbe  usurpare la ricchezza e il potere, fa porre davanti al pargolo due contenitori: uno con i carboni ardenti, l’altro con le  monete d'oro. L’infante  deve scegliere cosa prendere. La sua manina prende un carbone e lo mette in bocca ma si si brucia la lingua. La scelta tranquillizza il faraone della sua innocenza.

La scena: Il faraone d'Egitto è seduto sull’alto trono, formato dal basamento rettangolare, sopra il quale c’è la marmorea base decorata con fregio. Un tappetto rosso è disteso su gran parte della struttura.  Intorno al faraone ci sono varie figure, anche con abiti esotici.

Davanti a lui, in basso,  c’è sua figlia  con il neonato Mosé che si protende verso uno dei due contenitori portati da due paggi.

Sullo sfondo il paesaggio: a sinistra alti alberi, a destra  un corso d’acqua, una torre con cinta muraria, alcune case, poi colline e la catena montuosa che chiude l’orizzonte.

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