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Topics - andrea7

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Cassonetto differenziato / Padre Nostro
« il: Luglio 15, 2011, 13:38:43 »
Padre nostro che sei nei cieli:unico principio che sei l'essere di ogni cosa che è.
Sia santificato il tuo nome: Sia manifestata o rivelata la tua presenza o ordine di ogni realtà.
Venga il tuo regno: Prevalga nell'esistenza sociale, ecologica e tecnologica il progetto elementare della tua presenza, del tuo ordine, del tuo scopo.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: l'ordine che esprime il tuo valore nell'universo e in ogni natura sia riconosciuto e scelto anche dal consesso storico di tutti gli uomini, in terra e altrove.

Questa la prima parte della nota preghiera di Cristo, è senz'altro riconosciuta e vera per ogni intelligente.
La seconda parte è discutibile: riguarda piuttosto individui fallimentari. Perdonare gli altri non redime e non da l'essenza autentica dei puri di spirito. Il rientro veggente nel proprio essere si ottiene per coerenza di autocostituzione ed auto posizione del proprio principio ontico, per metanoia continua.
Oppure avere cibo per pietà del principio, è contraddizione. Il principio padre ordinante, intrinseca la correlazione complementare di ogni cosa per la individuale conservazione.cioè da strumenti mezzi e oggetti per ogni identità da lui creata. Dare esistenza appropriata ad ogni creatura costituisce l'ecosistema terrestre ed universale. Se non c'è nutrimento non c'è creatura. Poi indurre in tentazione non ha senso perchè nell'ordine di natura ogni individuazione è selezionata e coordinata al meglio
:utilitarismo funzionale alla propria identità.
L'unico male è la corruzione interiore, contro il proprio principio, Questo è possibile solo per scelta volontaria. Tutto il resto del male è innocuoall'esere interiore individuale. Il tempo che si vive non conta, solo la totalità immacolata del proprio essere dà la contemporaneità dell'atto eterno. Andrea7

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Cassonetto differenziato / ama il prossimo tuo
« il: Luglio 13, 2011, 16:18:35 »
Ama il prossimo tuo come te stesso significa che se un uomo, per sé stesso, fa il meglio, affronta sacrifici, responsabilità, ogni giorno si rivede per agire meglio, ogni giorno cerca di salire il suo gradino, allora questo uomo aiuta l'altro dandogli parte delle responsabilità che l'altro ha dimenticato. Perdere sé stessi per salvare gli altri è una rovina per entrambi. Il sentiero di Dio, della nostra anima, cammina attraverso qualunque cosa che funziona:anche Cristo passa attraverso la generazione di una prostituta; tra i suoi ascendenti non c'erano solo vergini sante o fedeli mogli. Dio sceglie sempre dove sta la vita, mai dove sta la legge. Perchè Lui è la vita.
La cosa più preziosa che possiede l'uomo è la sua anima, il suo in sé ontico, il suo tempio solare, la sua sicurezza eterna, quando si mantiene quel punto non c'è difficoltà che possa incrinarlo: si è tranquillamente arrivati dove tutte le cose tendono ed è l'azione ottimale del momento la strada giusta. Andrea7

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Cassonetto differenziato / usare tutte le percezioni
« il: Luglio 13, 2011, 16:01:48 »
La difficoltà costante in cui mi imbatto è una resistenza a far usare l'intero campo di percezione e di conoscenza comunque in dote naturale dell'uomo. Intendo riferirmi a tutto cià che è escluso dalle coordinate  dell'esperimento razionale: intuito, immagine onirica, proiezioni psichedeliche, le configurazioni archetipiche dell'arte, della poesia, del teatro, del cinema ecc. insomma di qualsiasi segnica, interiore o esterna, relegata ai margini della controllabilità razionale. L'ascolto globale dell'intero campo percettivo umano, da parte della coscienza,  consentirebbe una progressiva ampiezza dell'oggettività, cioè si svilupperebbe il criterio di verità e di certezza. Ciò accadrebbe in conseguenza dell'uso pluralistico di tutti quei sensori che comunque determinano una variazione o alterazione dell'individuo organico e dell'io riflessivo. Finchè persisteremo nel garantire l'uso esclusivo dell'oggettualità esterna, anche se questo è in funzione della legalità scientifica e sociale, la nostra mente (coscienza) rimarrà sprovvista della propria causalità, della propria e altrui evidenza e del proprio in sé- Occorre estendere credito a tutti quei modi di percezione umana che in qualsiasi modo presentano una certa costante simbolica.
La mia esperienza ed analisi mi dimostra che il mondo immaginario è più limitato e fisso del mondo dei reali concreti esterni. Nonostante la convinzione comune , la sua estenzione simbolica è riducibile a poche matrici base.
Andrea7
A

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Cassonetto differenziato / riprendiamoci l'anima
« il: Luglio 11, 2011, 04:30:55 »
L'importante è non tradire la propria anima, in ogni momento l'uomo sta agendo per la propria anima o contro.
Quando si ferisce l'anima, in realtà significa che la persona ha rotto il contatto con questa forma di vita e quindi non c'è comunione tra la sua esistenza e il suo in sé che è. A questo punto bisogna pagare il karma: smettere di rompere e aiutare la riparazione e prima o poi rientra il contatto dall'interno. E' una umile attesa del meglio riconoscendo la colpa o corruzione contro l'ordine della individuale natura. Bisogna aspettare il segnale, l'uomo non ha assassinato l'anima ma il rapporto con essa- Per quanto zombico possa essere una persona, se è ancora vivente vuol dire che l'anima c'è ancora e allora smettere di sbagliare, cambiare testa, fare metanoia e a quel punto si ristabilisce il contatto.
Buona riparazione a tutti. Andrea7

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Cassonetto differenziato / Azione memetica e azione vitale
« il: Luglio 11, 2011, 03:57:24 »
Sant' Alfonso Maria De' Liguori oltre alla celeberrima canzone "tu scendi dalle stelle" scrisse un trattato sull'" affare dell'anima", e la mia costante ricerca è la verifica se la propria coscienza, il proprio io, quello che si capisce o quello che si fa conviene al proprio "affare" esterno e al proprio "affare" spirituale , insomma il bene e il male, l'ecceica attività dove l'azione bene o l'azione male è già qui. con il bene ci si eleva, con il male  si sta rovinando, in fondo è tutto qui.Ogni giorno, ogni momento l'inferno o il paradiso. Inferno, stai sotto, in fetus, stare più sotto di ogni possibilità della mente, paradiso è tutto ciò che cerca dio, e Dio, il paradiso è dentro di noi (gesù), cioè quando si agisce secondo il proprio in sé, la propria anima, la propria intuizione, il proprio progetto, allora si sta costruendo il paradiso. E' una responsabilità civile, morale, razionale e personale, comunque vadano le cose esterne la costante è quella di non perdere il proprio intimo, senza cercare alibi, scuse fuori di noi. Perso questo punto, tutto è perduto, è anche inutile parlare, non si esiste, si è in un barattolo, anche la parola diventa uno stereotipo, una fissazione, una schizofrenia, una malattia. Andrea7

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Qui di seguito un interessante articolo di Enzo Gioanola
La critica analitica di Elio Gioanola applicata ai grandi del ‘ 900: nei conflitti irrisolti dell’ inconscio la chiave del successo artistico
Da Pascoli a Pavese, le nevrosi dei geni
Fantasie, paure, deviazioni e desideri inibiti dei letterati celebri in una descrizione spietata D’ ANNUNZIO Nell’ esibizionismo il Vate nascondeva una vocazione oscura
 

Si dice creatività, si pronuncia nevrosi. O addirittura psicosi. La tesi di Elio Gioanola è presto detta: «Dietro e dentro l’ opera c’ è sempre la presenza di un conflitto pulsionale, di un desiderio inibito e deviato, di una sofferenza». Gioanola infatti è un critico psicanalitico della letteratura. Uno dei pochi. Perché in Italia, come dimostra il saggio introduttivo del suo nuovo libro (Psicanalisi e interpretazione letteraria, Jaca Book, pagg. 446, 24 euro ), quello tra psicanalisi e letteratura è sempre stato un rapporto difficile. I nomi, dopo quello di Giacomo Debenedetti, sono noti: Stefano Agosti, Francesco Orlando, Mario Lavagetto e pochissimi altri. I numerosi saggi contenuti nel volume di Gioanola sono sondaggi che vanno «al di là della compiutezza formale» dell’ opera letteraria per indagare le «zone oscure del fantasmatico profondo». Detto in parole povere, analizzano i testi in relazione al vissuto dei loro autori, alle loro fantasie, paure, ossessioni, e viceversa. Rifiutando un biografismo di superficie ma anche quella sacralità del testo come un tutto chiuso e spiegabile in sé. Opponendosi dunque alle letture strutturaliste o sociologico-marxiste che hanno segnato molta parte della nostra critica. «La tradizione idealistica italiana – dice Gioanola – ha influito sulla critica italiana per oltre mezzo secolo: c’ è stata una specie di storicismo radicale che ha impedito una vera attenzione alla psicanalisi». Dunque, da Leopardi a Pascoli, da Saba a Montale, da Caproni a Sanguineti, tutta la letteratura italiana moderna si trova qui raccolta sotto i fari dell’ analisi dell’ inconscio. Da questo e dagli studi precedenti di Gioanola, viene fuori, volendo, una mappa dei nostri scrittori come «casi clinici». A cominciare da quelli che il critico considera i più gravi: Luigi Pirandello, Federigo Tozzi e Carlo Emilio Gadda. Vediamo. «La personalità di Pirandello – dice Gioanola – ha a che vedere con una vera e propria psicosi, con una compromissione della consistenza dell’ io. Nel Fu Mattia Pascal, l’ identità del protagonista è impossibile, una personalità che tende a scindersi e un io che esplode». Passando dal personaggio al suo creatore, le cose stanno diversamente, ma non troppo. «La condizione psicologica dello scrittore è quella di uno schizoide sano di mente, per così dire, uno schizoide che non diventa schizofrenico ma che è tendenzialmente scisso. Nelle lettere alla sorella, Pirandello rivela un’ ossessione della follia che poi si incrementa quando si sposa con Antonietta, con esplicite manifestazioni di sessuofobia». Altra storia quella di Italo Svevo, suo contemporaneo. «L’ io di Svevo è un io integro, che però stenta a rapportarsi al reale. Svevo soffre di una nevrosi isterica che ritroviamo in Zeno: tutti i personaggi sveviani comprano l’ amore. Si pensi alla tabaccaia di Zeno, che per integrare le entrate si dà alla prostituzione». Il problema di Tozzi è un altro: il padre. «Basta leggere Con gli occhi chiusi, dove c’ è un padre violento che fa pensare al padre di Kafka. Anche la violenza espressionistica di Tozzi è una ribellione verso il padre. La madre, viceversa, era una povera vittima che però, come quella di Kafka, alla fine sta al gioco di suo marito contro il figlio». Tolto il caso di Dino Campana, la cui «écriture en folie» è piena di tautologie e di balbettamenti tipici del delirio psicotico, per trovare un caso di malcelata follia, si arriva subito all’ ingegner Gadda. «Un nevrotico ossessivo», secondo Gioanola, «che spesso si spinge fino alla paranoia: non dimentichiamo che Gadda negli ultimi anni vedeva minacce d’ ogni genere e persino assassini dappertutto». ovviamente anche qui il rapporto con i genitori è cruciale. «Un vero e proprio lapsus è contenuto in una sintesi biografica di Gadda, dove invece che “famiglia paterna” parla della sua “famiglia padreterno”. Più lapsus di questo…». Gioanola ricorda un episodio ormai leggendario: quando il critico Vigorelli si presentò sotto casa Gadda e chiese al citofono se ci fosse lo scrittore, la madre di Carlo Emilio rispose: «Quale scrittore, qui c’ è l’ ingegner Gadda», e lo cacciò. Altro caso clinico complesso per le relazioni familiari è quello di Giovanni Pascoli, cui Gioanola ha anche dedicato una monografia intitolata Sentimenti filiali di un parricida: «Pascoli non è capace di parlare da uomo, – dice – in lui c’ è una netta dominanza del materno e la figura del padre è un ingombro sulla strada dell’ identificazione con la madre: c’ è un infantilismo anche espressivo che è adesione all’ originario, regressione verso l’ arcaico e rifiuto di ogni idea di progresso. Per questo, quando suo padre muore si sviluppa in lui un senso di colpa che lo porta a una devozione smodata verso la famiglia d’ origine. Dall’ Ottocento in poi il poeta si sente oppresso dalla modernità e rivendica un’ adesione alla natura: è impressionante come in poesia si moltiplichino le figure dell’ oppressione: donne, ebrei, omosessuali…». Sul versante opposto rispetto al Pascoli, c’ è l’ estroverso D’ Annunzio, per il quale «nulla è segreto e tutto va esibito»; non per nulla, se il Vate ammirava il poeta-fanciullino, non si può dire che sia valido l’ inverso. «L’ esibizionismo sfrenato di D’ Annunzio – dice Gioanola – nasconde una vocazione oscura: il poeta della vitalità per eccellenza è in realtà attratto dalla morte e ossessionato dal suicidio. C’ è in lui un delirio di onnipotenza tale che non può trovare un corrispettivo se non nella morte». La stessa vocazione di Pavese? Non proprio, con Pavese siamo altrove. Siamo nell’ ambito di una malinconia leopardiana che «non è semplice malattia dell’ animo, ma senso di in appartenenza e di deiezione, incapacità di identificarsi con la ragione: la vigna della sua campagna per Pavese è al di là, come un infinito leopardiano. E’ una nostalgia radicale per ciò che è andato perduto senza mai essere stato posseduto, una speranza disperata perché rivolta all’ indietro». Questo malessere è aggravato dalle circostanze storico-biografiche: «Nel decadente Pavese la malinconia o l’ inadeguatezza del vivere è rafforzata dal fatto che si viene a trovare in un ambiente laico-illuministico, la Torino degli anni Venti, che sente estraneo. Il nevrotico Pavese è incapace di risolvere la propria malinconia nella cultura data, positivistica e razionalista». Il poeta è un Narciso? Se passiamo a Umberto Saba, la risposta è: sì. «Saba è un narcisista radicale. Lavagetto riconduce Saba alla presenza di Edipo come instauratore del mito “donna che non si può avere”. Ma io gli oppongo Oreste, cioè il mito del matricida e dell’ omosessuale che ama Pilade: la sessualità non è ancora un oggetto dato, dunque siamo in zone preedipiche, molto arcaiche». Non per nulla Saba, alla nascita, fu abbandonato da sua madre che disse: «se volete coprirlo, copritelo». Il padre era fuggito subito dopo le nozze e il piccolo Umberto fu dato subito a balia. Nasce da lì il risentimento per la madre, che diventa «faccia marmorea», e insieme «un’ identificazione dell’ io con il ruolo materno»: il poeta diventa la madre che non ha avuto. Il matrimonio con Lina, spiega Gioanola, farà precipitare il poeta in una crisi depressiva: «malinconia da scelta mancata dell’ autentico oggetto d’ amore». Quale? Il «bel fanciullo appassionato», ovviamente. Una scelta erotica che verrà raccontata nel romanzo Ernesto. Opposta e speculare a quella di Saba è la condizione psicologica di Eugenio Montale: «Ha voluto essere il padre, – dice Gioanola, – meglio, non si è arreso alla tentazione materna ma senza riuscire a identificarsi con il padre.

La versione completa di questo articolo è facilmente rintracciabile su qualsiasi motore di ricerca. Torniamo al titolo : Nei conflitti irrisolti la chiave del successo.  Io direi, un sistema condizionante per mantenere sé stesso, deve convincere non tanto la massa quanto alcune menti brillanti, alcuni geni naturali che non ci sarà via di uscita, che siamo condannati nel momento stesso della nascita e che è inutile ogni sforzo . Bisognerà al massimo sperare in qualche Dio pietoso, tanto siamo niente . Utilizzando una gran quantità di artisti, letterati, poeti  falliti esistenzialmente, nevrotici, depressi, schizofrenici che rimpallano la solita cultura sistemica, la storia sistemica e che non danno in alcun modo soluzione. Anche le altissime problematiche, domande che stimolano saranno parte di una follia al servizio di un meccanismo sistemico il cui scopo è l’appiattimento dell’Umano. Ma leggete bene la vita di questi poeti, criticamente però, nessuno di loro è stato neanche capace di distaccarsi efficientemente dalla propria famiglia di origine, tantissimi non sono riusciti a costruire un rapporto d’amore valido, spesso paranoici , sempre narcisi, piccoli bambini che vogliono l’attenzione della mammina, che può essere la vera mammina o la mammina società o pubblico o critici.

Piccolissimi uomini pieni di problemi sono alla base della nostra cultura, non i riusciti, gli eterni irrisolti. Quando ragioniamo, quando crediamo nei nostri miti, quando ci formiamo le nostre ideologie, quando diamo la colpa ad altri e quando ricerchiamo noi la nostra mammina dovremmo perlomeno farci sorgere il dubbio che siamo in qualche modo condizionati per essere dei falliti esistenziali, io dico che viviamo in un utero monitoriale. C’è modo di uscirne? cominciamo a liberarci delle nostre credenze, cominciamo a credere in noi stessi. La massa è guidata, è carne da macello ma se qualcuno sente dentro di sé che qualcosa non va, se a qualcuno non tornano i conti, se qualcuno non è convinto, forse può uscire da questo perenne “the Truman show”, da questo mondo di cartapesta dove ci sentiamo obbligati a comportarci tutti nello stesso modo, dove ci sono cose “giuste”, giustissime, tanto che non possono essere messe in discussione, dove la vittima non ha mai colpe e il carnefice ha avuto grossi problemi da piccolo, dove una persona superiore deve sempre lasciare il passo al problematico, dove chi produce, lavora e si gode la vita è considerato quasi un ladro e dove chi più vive nel vizio, nell’infantilismo e nella pigrizia , tanto più deve essere assistito a spese di tutti, dove l’eroe è un soldato che va a morire in Afganistan o un volontario che si sente così importante e gratificato e sta in realtà mantenendo la miseria, dove si applaude a un funerale, plaudendo così  chi ha raggiunto la morte precoce e un papa che ha avuto e usato a dismisura un grande potere  manovrando folle di giovani deve essere fatto santo subito e tante altre amenità del genere.

 conoscere per cambiare, per capire, senza i soliti clichè, senza i soliti stereotipi, modelli fissi.

A presto Andrea


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