Scrittura creativa

Fuori Tema => Cogito ergo Zam => Topic aperto da: Doxa - Febbraio 05, 2014, 09:09:20

Titolo: da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 05, 2014, 09:09:20
“Tempo di Carnevale”

Nel passato il  periodo di Carnevale era  liturgicamente compreso nel “Tempo di settuagesima”, che includeva le tre domeniche antecedenti la Quaresima,  rispettivamente denominate: “domenica di settuagesima”, “domenica di sessagesima” e “domenica di quinquagesima”.

La parola settuagésima deriva dal tardo latino "septuagesima", femminile sostantivato dell’aggettivo septuagesǐmus "settuagesimo" ed allude in modo approssimativo ai  70 giorni mancanti alla Pasqua. Infatti  la domenica di settuagesima (9 settimane prima di Pasqua) cade il 64/esimo e non il 70/esimo giorno prima della Pasqua di resurrezione di Gesù. L’approssimazione ha delle motivazioni storiche. Nel VI secolo  la prima delle tre  domeniche ad essere inclusa nel calendario liturgico pasquale fu quella di quinquagesima, cinquanta giorni circa prima di Pasqua.  Successivamente, nel VII secolo, vennero aggiunte  le altre due domeniche:  quella di sessagesima, che cade il 57/esimo giorno, e quella di settuagesima.

Il tempo di settuagesima era compreso  dai primi vespri della domenica di settuagesima fino a dopo la compieta del martedì (grasso) della settimana di quinquagesima. Ho scritto “era” perché nel 1969 il pontefice Paolo VI promulgò la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II e dall’ordinamento fu eliminato il “tempo di settuagesima”, sostituito con il “tempo per annum”:  uno dei tre cicli in cui è articolato l’anno liturgico.

Nel penitenziale periodo liturgico della Settuagesima la Chiesa cattolica proibiva ai suoi fedeli di mangiare la carne nei giorni feriali.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 06, 2014, 07:23:36
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La data d’inizio del Carnevale dipende dalla mobile ricorrenza della Pasqua cristiana, per conseguenza  può variare nel periodo tra il 18 gennaio ed il 22 febbraio. Quest’anno (2014)  “debutterà” domenica 16 febbraio  ed i festeggiamenti  proseguiranno fino al 4 marzo: “martedì grasso”. 

Per il rito ambrosiano, che riguarda la diocesi di Milano, il carnevale dura 4 giorni in più, termina il sabato che precede la prima domenica di Quaresima.

Il tempo di Carnevale evoca alcune antiche usanze nei rituali dionisiaci e saturnali, ma nel nostro tempo comprendono  pubbliche sfilate di carri allegorici,   mascheramenti, giochi e “scherzi…di Carnevale”, parola questa che, come è noto, deriva dalla frase in lingua latina "carnem levare" ( togliere la carne) dal  menu del “mercoledì delle ceneri”, primo giorno del penitenziale  periodo quaresimale.
 
I giorni più importanti del Carnevale sono il “giovedì grasso” (quest’anno il 27 febbraio) dopo la prima domenica di Carnevale,  e il “martedì grasso” (4 marzo),  ultimo giorno di festa prima del Mercoledì delle Ceneri che dà avvio al periodo di Quaresima.

Carnevale è tempo di baldoria, trasgressione, mascheramenti, di coriandoli e carri allegorici. Invece per la Chiesa è tempo penitenziale, di preparazione spirituale alla Quaresima ed alla Passione di Cristo, perciò la liturgia prevede i paramenti viola durante le celebrazioni eucaristiche; sull’altare non si mettono fiori; non viene suonato l’organo, non si recita il Gloria e non viene cantato l’inno dell’Alleluja: questa parola deriva dal lemma ebraico “Halleluyah”, composto da “Hallelu”(= preghiamo/lodiamo) e “Yah”: forma abbreviata di Yahweh (= Dio).

Nel medioevo la Chiesa tollerò nel periodò di Carnevale le grevi feste popolari, ma dopo il Concilio di Trento e la Controriforma Cattolica cercò di arginare o sopprimere alcune cruente manifestazioni, anche per motivi di ordine pubblico.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: nihil - Febbraio 06, 2014, 09:05:32
insomma la Chiesa propone la penitenza prima della penitenza.
A vedere il risultatio, non ha convinto nessuno.  :prtr:
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 09, 2014, 15:18:26
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In Italia le baldorie carnacialesche si svolgono in molte le città con modalità diverse.

A Venezia, per esempio, sfarzose maschere passeggiano in piazza San Marco e dintorni, invece a Viareggio ad attrarre l’attenzione di migliaia di spettatori sono i variopinti carri allegorici, i gruppi folcloristici e la musica.

Le antiche testimonianze del Carnevale di Venezia risalgono al 1094: lo attesta un documento del doge Vitale Falier. In questa città veneta nel ‘700  la maschera più usuale per coprire il viso era la “Baùta”, inizialmente di colore nero, poi anche bianca (vedi foto sotto). Caratteristici con la Baùta sono il tricorno (cappello nero a tre punte), il mantello nero a  o il tabarro, lo jabod.

(http://media-cache-ec0.pinimg.com/236x/a0/07/0d/a0070d0752005e9365304d655e839916.jpg)

 
(http://aliceeangela.altervista.org/CARNEVALE/lidia/venezia2/Bautta2.jpg)

Nel 1797, a seguito del “Trattato di Campoformio”, Venezia venne ceduta all’Austria, che bandì molte usanze, fra le quali il Carnevale. Questo fu ricominciato nel 1979 da alcune associazioni cittadine ed è ormai famoso in tutto il mondo.

A Viareggio, invece, la tradizione del Carnevale ebbe inizio nel 1873 per merito di alcuni ricchi borghesi. Questa città della Versilia è nota per le spettacolari sfilate di automezzi che portano grandi pupazzi fatti con la cartapesta e poi  colorati. Sono capolavori alti anche 20 metri, realizzati da maestri artigiani.

(http://media.travelblog.it/c/car/carnevalevia.jpg)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 10, 2014, 08:28:09
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L’anno scorso sono stato a  Venezia per partecipare come osservatore del Carnevale nella città lagunare.

Ho passeggiato tra calle, campi e campielli  per guardare gli adulti mascherati. Essi desiderano far vedere i loro abiti di “scena”, spesso molto costosi. Gioiscono e ringraziano se ricevono i complimenti per il loro abbigliamento, gradiscono farsi fotografare o riprendere dalle telecamere. In questa occasione piazza San Marco sembra un set cinematografico, con dame e cavalieri  che passeggiano e vanno verso   Riva degli Schiavoni o nella calle che conduce nel Campo San Moisé e al Ponte dell’Accademia; altri camminano nelle quattro strade dette delle “Mercerie” (la “Marzaria de l’orologio per Rialto”, seguono la “Marzaria San Zulian”, la “Marzaria del Capitello” e la “Marzaria San Salvador”) fino al cinquecentesco ponte di Rialto che con tre rampe e negozi ai lati unisce le due opposte rive del Canal Grande.

La sera le luci illuminano piazza San Marco, gremita dalle persone mascherate che sostano nei portici delle Procuratie Vecchie e Nuove, in particolare davanti al Caffè Florian o all’interno dello stesso bar, dove si siedono intorno ai piccoli tavolini anche per farsi ammirare e fotografare dai passanti davanti le sei vetrate del locale.

Lo scenario  evoca due famosi personaggi del ‘700 veneziano Carlo Goldoni e Giacomo Casanova.

Carlo Goldoni (1707-1793)  cita il Carnevale di Venezia in alcune delle sue commedie: “La vedova scaltra”, “ I rusteghi”, “Le massere”, “Le morbinose”.  E ciò che narra è  importante anche come fonte documentaria dell’epoca.

Sul carnevale Goldoni scrisse questa filastrocca:

La stagion del Carnevale
tutto il mondo fa cambiar.
Chi sta bene e chi sta male
Carnevale fa rallegrar.

Chi ha denari se li spende;
chi non ne ha ne vuol trovar;
e s'impegna, e poi si vende,
per andarsi a sollazzar.

Qua la moglie e là il marito,
ognuno va dove gli par;
ognun corre a qualche invito,
chi a giocare e chi a ballar.


Anche Giacomo Casanova (1725 – 1798)  nel periodo di Carnevale usava nascondersi il viso con una maschera, e come altri, in quelle notti veneziane attraversava calli, campi e campielli indossando il mantello nero ed il cappello.

Si mascheravano i ricchi ed i poveri, i giovani per sembrare donne, i miseri per entrare nelle corti dei nobili, le dame per avere avventure amorose.

E’ la Venezia del ’700, quella di Giacomo Casanova e del suo anfitrione,  Giorgio Baffo, poeta erotico che iniziò il giovane Casanova all’arte della seduzione e della magia. Quell’epoca è  ben documentata a Venezia nel   museo del Settecento veneziano,  ospitato nel bel palazzo denominato “Cà Rezzonico”, invece nel nobiliare Palazzo Mocenigo, ci sono al primo piano affreschi e arredi della seconda metà del Settecento, ed  ospita il Centro studi di storia del tessuto e del costume: nelle sale sono allestiti diversi aspetti della vita e delle attività del patriziato veneziano tra il XVII ed il XVIII secolo. Sono esposti abiti con ricami,  merletti e numerosi  accessori. 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 11, 2014, 08:28:38
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Carnevale di Venezia. Piazza San Marco: un incontro casuale e l’irresistibile "colpo di fulmine".

A volte la vita ci fa regali meravigliosi, crea le circostanze affinché dal nulla scaturisca una scintilla inaspettata, e s’avvera il miracolo.

I miei occhi hanno incontrato quelli di una  sconosciuta donna vestita da dama del ‘700 ed ho avvertito una forte emozione.  Gli sguardi, un sorriso,  la reciproca attrazione.

Quel bel viso  mi ha fatto volare con la fantasia ed ho pensato alla sua complicità,  mi son lasciato coinvolgere dall’illusione di felicità.

Poi quella donna attraente è scomparsa tra la folla, quella scintilla si è spenta.

Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 12, 2014, 09:00:46
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Simile al nostro Carnevale è un’allegra festa popolare ebraica denominata “Purim”,  dura due giorni ed i bambini si mascherano.   

Questa festività avviene nel mese di Adàr, che può essere di 29 0  30 giorni ed  è il sesto mese nel calendario lunisolare ebraico di tipo ordinario, costituito da 12 mesi, e da 13 mesi negli anni bisestili.  Tale variabilità fa corrispondere l’Adàr   al mese di febbraio od anche marzo del calendario gregoriano.   

Il Purim comincia il 14 del mese di Adàr e si conclude al tramonto del giorno successivo. La ricorrenza è preceduta da un giorno di digiuno, detto “digiuno di Ester”, ragazza ebrea orfana, che circa 2500 anni fa venne scelta come moglie dal sovrano persiano  Assuero e salvò il popolo ebraico dal complotto di Aman, il perfido consigliere  che voleva indurre il  re  a sterminare tutti gli ebrei nel  suo regno.  Per commemorare lo scampato pericolo fu istituita la festa di Purim, che nella lingua ebraica  significa "sorti", perché il giorno stabilito per  la  tentata strage fu scelto sorteggiandolo.  Questo racconto è nel   “Libro di Ester”, contenuto nella Bibbia ebraica ed in quella cristiana.

Il precetto del digiuno che precede il Purim va rispettato dall’alba al tramonto. Poi è prevista la cena, lo scambio di doni, le offerte per i poveri  ed i pasticcini di forma  triangolare denominati le “Orecchie di Haman “, con semi di papavero ed altri ingredienti.

La sera del 14 di Adar e la mattina successiva nelle sinagoghe viene letta la Meghillah o “Libro di Ester”, che in dieci capitoli narra la  sua storia, ma la lettura viene interrotta dai presenti nel tempio ogni volta che viene nominato il malvagio Haman, citato nel predetto libro per 77 volte: lo disapprovano a voce alta oppure battono i piedi sul pavimento, ma l’oggetto caratteristico più usato per non far udire il nome infausto è il gragger, che viene fatto roteare per produrre forte rumore. Il “gragger” è simile allo strumento musicale “tric-trac” di legno.

(http://practicingvicariously.com/wp-content/uploads/2013/03/gragger.jpg)

foto del "gragger"
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 13, 2014, 08:37:12
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Lorenzo de' Medici, detto "il Magnifico", fu un abile politico e governante, ma si dedicò anche alla letteratura, compose poesie ed anche  i "Canti Carnacialeschi".

Per tali "canzoni a ballo" Lorenzo s'ispirò alla tradizione popolare e buffonesca del Carnevale. Le composizioni venivano cantate da compagnie di uomini mascherati su carri addobbati.

Il più noto dei "Canti carnacialeschi" lorenziani  é il:

"Trionfo di Bacco e Arianna"

Quant'è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe e altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Queste ninfe anche hanno caro
da loro esser ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se son gente rozze e ingrate:
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieti ognun femmine e maschi;
Ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò ch'ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

(Lorenzo de' Medici)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: nihil - Febbraio 13, 2014, 10:09:39
una delle mie poesie preferite! si invita all'ottimismo, a godere del presente perchè di doman non non c'è certezza.
Si potrebbe tristemente aggiungere che non c'è certezza ( ormai) nemmeno dell'oggi.  :-*
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 14, 2014, 14:53:42
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Girotondo, girotondo,
noi giriamo tutto il mondo.
C'è Gianduia e Meneghino,
Pulcinella e Arlecchino.
C'è Brighella e Pantalone,
Meo Patacca e Balanzone,
Beppe Nappa siciliano,
Stenterello che è toscano...
Girotondo, girotondo,
noi viaggiam per tutto il mondo,
e con noi portiam la gioia
che è nemica della noia.

 (http://fabulafabulae.files.wordpress.com/2012/03/maschere-della-commedia-dellarte1.png?w=300&h=246)

In Italia le più note maschere di Carnevale derivano  dalla commedia dell’arte, dal teatro di genere buffonesco.

La prima maschera comica fu “Zanni”. Originario del bergamasco, rappresentava il contadino povero e ignorante. Con il tempo lo Zanni fu “scisso” in due categorie: il servo furbo (primo Zanni) ed il servo sciocco (secondo Zanni).  Da questo immaginario personaggio scaturirono le maschere di Brighella ed Arlecchino.

Brighella. E’ la maschera in livrea bianca di Bergamo.  E’ denominato Brighella perché intrigante ed imbroglione, intrigante, ossequioso con i potenti e insolente con i deboli.
Brighella è compare di Arlecchino, anche questo di Bergamo, Brighella però ci tiene a precisare che lui é di Bergamo alta, mentre Arlecchino è di Bergamo bassa.

Arlecchino. Questo personaggio teatrale fu creato in Francia ma Carlo Goldoni lo introdusse nella commedia italiana. Nella maschera di Arlecchino confluiscono i tratti caratteriali del bergamasco Zanni e quelli diabolici e farseschi della tradizione popolare francese. Arlecchino indossa un abito multicolore confezionato con pezze colorate. Si narra che il suo vestito è così perché, essendo povero, i suoi amici, in occasione del Carnevale, gli regalarono dei pezzi di stoffa avanzati dai loro costumi per farne avere uno anche lui.  Si copre il viso con una maschera nera ed ha una spatola di legno. E’ astuto, coraggioso, pigro. Le sue doti caratteristiche sono l'agilità, la vivacità e la battuta pronta. Il suo principale antagonista è Brighella.

Colombina. E’ il nome di una maschera veneziana della Commedia dell’arte. E’ la scaltra serva fidanzata con Arlecchino. E’ maliziosa e convince Arlecchino ad esaudire i suoi desideri.  E’ vivace, allegra e sapiente, furba,  parla il dialetto veneziano. E’ molto affezionata alla sua signora, Rosaura,  giovane e graziosa.  Pur di renderla felice  le diventa complice nei sotterfugi domestici ed amorosi.  Con gli anziani “padroni” va poco d’accordo e schiaffeggia chi osa importunarla mancandole di rispetto.

Pantalone: anche lui è una maschera veneziana che impersona un anziano mercante avaro e brontolone, raggirato dalla moglie e dalle figlie. S’intromette, non invitato, in dispute e litigi ma finisce col ricevere botte da entrambi i contendenti.

Pierrot: è una maschera italiana del ‘500. Il suo nome è un francesismo, deriva da Pierre (Pietro) con l’aggiunta del suffisso “-ot”. Il personaggio è rappresentato come pagliaccio triste, raffigurato con la lacrima che scende sulla gota; si strugge d’amore per Colombina ma non viene corrisposto perché ella ama Arlecchino.

Gianduia. E’ tra le più famose maschere di Carnevale piemontesi, originaria della provincia di Asti.
 Fu ideata  dal burattinaio Gian Battista Sales nel 1798, pensandolo come contadino buono, ma  sospettoso e furbo. Il suo nome originario era Gioan d’la douja,, che vuol dire “Giovanni del boccale”, abbreviato poi in Gianduia. Questa maschera indossa in testa un tricorno e la parrucca con il codino. Ha un costume di panno color marrone, bordato di rosso, con un panciotto.  Gianduja  ama il buon vino, la buona tavola e l'allegria.
Dal suo nome deriva quello della cioccolata gianduia e del famoso cioccolatino “Gianduiotto”.

Meneghino  (da Domenichino): è una maschera milanese che  nacque nel ‘600 per la commedia dell’arte.  Rappresenta il servo rozzo ma saggio, abile nel deridere i difetti degli aristocratici. La  domenica svolgeva il ruolo di cicisbeo,  accompagnava le nobildonne a messa o a passeggio. Durante l’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano nel 1848 fu scelto dai milanesi come simbolo di eroismo.

Balanzone: questa maschera del ‘500 è  di origine bolognese. Il suo nome si fa derivare da Graziano di Baolardo, detto  Balanzone perché raccontava balle, frottole. Rappresenta il giurista ma anche il medico. Vesta la toga con collare bianco alla spagnola, cappello nero a grandi falde; porta  sempre con sé un grosso libro.

Capitan Spaventa  (o Capitan Fracassa): il suo nome per intero è Capitano Rodomonte Spaventa, anche chiamato Capitan Fracassa. Capitan Spaventa è una maschera tradizionale italiana della regione Liguria dell'XI secolo. E’ uno spadaccino temerario che combatte più con la lingua che con la spada.

Stenterello. Questa maschera nacque a Firenze nel 1793 come personaggio della commedia dell’arte. Personificare la generosità, la scaltrezza ma anche l’ottimismo e la saggezza che  gli permettono di superare le avversità della vita. Stenterello viene continuamente cercato dai suoi creditori.

Burlamacco: questa maschera è anche il logo del Carnevale di Viareggio. Il nome Burlamacco deriva da Buffalmacco, pittore fiorentino e personaggio del Decamerone.  Indossa una tuta a scacchi biancorossi suggerita dal vestito a pezzi di Arlecchino, un ponpon da cipria rubato dal camicione di Pierrot, una gorgiera bianca e ampia alla Capitan Spaventa, un copricapo rosso a imitazione di quello in testa a Rugantino, un mantello nero svolazzante, tipico di Balanzone.

Rugantino: è un personaggio del teatro popolare romanesco,  il cui nome sembra derivare dal dialettale “ruganza ” (arroganza).  Questa maschera rappresenta “er bullo de Trastevere”, svelto con le parole e con il coltello; arrogante
Il suo tratto caratteristico è quello di un provocatore,  insolente, ma in realtà, è un can che abbaia ma non morde. In fondo è anche un pò vile.
"Cerca rogna, je puzza de campà, je rode", minaccia, promette di darle, ma le prende, consolandosi con la battuta divenuta giustamente celebre: "Me n'ha date tante, ma quante je n'ho dette!".
 Agli inizi della sua carriera era vestito come un gendarme, ma  per questo personaggio fu preferito un abbigliamento da popolano,

Meo Patacca: è un'altra maschera romana che rappresenta il coraggio e la spavalderia. Spiritoso ed insolente, Meo Patacca é il classico bullo romano, esperto ed infallibile tiratore di fionda. Il suo nome deriva dalla “patacca”,  termine con il quale venivano indicate diverse monete, in genere grosse, pesanti e di scarso valore. Di qui l'uso in italiano del termine "patacca" per indicare qualcosa che vale meno di quello che sembra.

Pulcinella. Celebre maschera napoletana della commedia dell’arte.  Furba e pigra, nella maggior parte dei casi riesce solo a farsi bastonare.
Pulcinella indossa un camicione bianco con larghi pantaloni bianchi, ha un cinturone nero in vita, il ventre sporgente, scarpette nere, un cappuccio bianco in testa e una grossa maschera al viso che lascia scoperta sola la bocca; ha un naso ricurvo, le rughe sulla fronte.

Peppe Nappa: è una maschera siciliana della commedia dell’arte. E’ diventata il logo del Carnevale di Sciacca.  Rappresenta un servitore goloso e pigro, capace di salti acrobatici. Il suo nome deriva da "nappa", "toppa" in siciliano.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 15, 2014, 07:25:10
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Nel calendario liturgico della Chiesa il rito cattolico romano prescrive la fine del Carnevale il martedì che precede il “Mercoledì delle ceneri”, che a sua volta dà inizio alla Quaresima; invece nel rito ambrosiano, in vigore nella diocesi di Milano, il Carnevale si protrae fino al sabato, perché, secondo la leggenda, il vescovo Ambrogio era impegnato in un pellegrinaggio e chiese alla popolazione di aspettare il suo ritorno per iniziare le liturgie quaresimali. Perciò nell'arcidiocesi di Milano, il rito delle Ceneri si celebra la prima domenica di Quaresima.

Nel passato l’ultimo giorno di Carnevale veniva concluso con un'abbondante cena,  perciò viene detto “Martedì grasso”: ultimo giorno di  sfilate di carri, di mascherate, di balli,  di coriandoli ma anche di scherzi. In alcune località italiane  viene celebrato il “funerale” del ”Re Carnevale”, seguito dalle prefiche, come a Putignano, oppure da euforiche persone mascherate.
Al termine del rito profano si dà fuoco al re di cartapesta, che  di solito viene insediato la sera del 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, oppure nel “Giovedì grasso”.
L’intronizzazione del re Carnevale  prevede un’allegra processione che accompagna il re fantoccio (grande pupazzo panciuto e rubicondo che troneggia sul suo effimero regno) mentre va a ricevere simbolicamente le chiavi della città.

(http://static.guide.supereva.it/guide/bed_breakfast/RedelCarnevale.jpg)
re Carnevale

Carnevale vecchio e pazzo

Carnevale vecchio e pazzo
s'è venduto il materasso
per comprare pane, vino,
tarallucci e cotechino.

E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.

Beve, beve all'improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia.

Così muore il Carnevale
e gli fanno il funerale:
dalla polvere era nato
e di polvere è tornato.
 
(Gabriele D’Annunzio)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 16, 2014, 07:50:01
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(http://www.santuariosanmatteo.it/media/images/avvenimenti2010/Pieter_Bruegel_quaresima.jpg)
 
Pieter Bruegel il Vecchio: “Lotta tra Carnevale e Quaresima”, dipinto ad olio su tavola; 1559;
conservato a Vienna nel Kunsthistorisches museum)

L’artista fiammingo si chiamava Pieter Brueghel, ma in questo quadro si firma col cognome Bruegel. E tale cognome usò dal 1559 per firmare i suoi dipinti.

Pieter Bruegel o Brueghel   è indicato come il Vecchio per distinguerlo dal figlio primogenito, Pieter Bruegel, detto “il Giovane”

Il noto dipinto “Lotta tra Carnevale e Quaresima” esprime simbolicamente la contrapposizione tra la “festa” e la “penitenza”, la transizione tra i due periodi liturgici.

Per comprendere la struttura narrativa di questa raffigurazione bisogna immaginarla divisa in due parti da una linea verticale, che dalla casa centrale in alto scende verso il basso e passa nel breve spazio antistante tra l’uomo panciuto sulla botte ed il carrello trainato da due religiosi.

Sulla sinistra c'è il riferimento al Carnevale con persone che mangiano, bevono, ballano giocano di fronte l’osteria de “La sposa sudicia”, che narra di un matrimonio tra zingari.  Sulla destra, invece, personaggi e scene evocano il periodo della Quaresima.

Anche la composizione architettonica denota il contrasto tra le due realtà. Sulla sinistra c’è la locanda con due botti per il vino vicino l’entrata; sulla destra c’è la chiesa, da dove escono i fedeli.

Il Carnevale è simboleggiato dall’’uomo obeso (con la camicia celeste ed i calzoni rossi a cavalcioni sopra una botte per il vino) che sorregge con la mano destra lo schidione dove sono infilzate varie carni. Sulla testa ha un cesto con altri cibi, mentre un prosciutto, trapassato da un coltello, è affisso sul coperchio della botte. In terra ci sono alcune carte da gioco, il guscio di un uovo e delle ossa, ben visibili negli ingrandimenti fotografici dei particolari.

La Quaresima è  impersonata da un’anziana donna (somigliante ad un uomo), alta e magra, dal volto triste, seduta nella sedia  che è su un carrello trainato da una monaca e da un frate.  La donna che raffigura la Quaresima contrappone allo schidione del Carnevale una pala da fornaio con sopra due aringhe, che simboleggiano i cibi permessi dalla Chiesa durante i periodi di penitenza o di astinenza dalle carni.

Un richiamo alla carità nel periodo di Quaresima è rappresentato dall’uomo con abito azzurro e rosso (nell’angolo in basso a destra) che dona alcune monete ad una povera donna seduta col suo bimbo sul ciglio della strada.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: nihil - Febbraio 16, 2014, 08:09:50
bellissima dissertazione storica artistica, questo pittore è sempre ricco di particolari e simbolismi.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 17, 2014, 07:20:49
Tempo di Quaresima

Quaresima: questa parola deriva dal latino ecclesiastico “quadragesima”: nel rito ambrosiano indica il quarantesimo giorno  prima della Pasqua di risurrezione di Gesù, contando dalla domenica successiva al “martedì grasso”, invece nel rito romano la Quaresima viene protratta per  44 giorni,  inizia il “ mercoledì delle ceneri”e continua fino all’ora nona  (ore 15.00) del “giovedì santo”.

La cosiddetta “ora nona” fa parte delle “ore canoniche”, elaborate  nel tempo dalla Chiesa per la preghiera in comune nella comunità religiose. Questa pratica, detta “liturgia delle ore”. deriva dall’uso ebraico di pregare ad ore stabilite.

Alla fine del IV secolo (e ancora oggi) nel rito ambrosiano la quaresima iniziava di domenica,  durava cinque settimane complete (5x7=35 giorni) e si concludeva il giovedì della settimana santa (altri cinque giorni), per un totale di quaranta giorni esatti. Poi alla fine del V secolo l'inizio venne anticipato al mercoledì precedente la prima domenica (altri quattro giorni), e furono inclusi il venerdì santo e il sabato santo nel computo della quaresima: in tutto quarantasei giorni. Ciò era dovuto all'esigenza di computare esattamente quaranta giorni di digiuno ecclesiastico prima della Pasqua, dato che nelle sei domeniche di quaresima non  c’è l’obbligo del digiuno.

Il digiuno ecclesiastico è praticato dai cattolici come forma di penitenza in determinati giorni.  E due volte l’anno, il Mercoledì delle Ceneri (per il rito ambrosiano il primo venerdì di Quaresima) e il Venerdì Santo, i fedeli oltre al digiuno debbono astenersi dal mangiare la carne.

La regola del digiuno obbliga a fare un solo pasto durante la giornata, ma non proibisce di fare una seconda refezione.
La regola dell'astinenza dalle carni consente di mangiare pesce, uova e latticini.
I parroci  per giusta causa possono dispensare i singoli fedeli o le famiglie dall'osservanza del digiuno e dell'astinenza, o commutarli con opere pie.

L’astinenza dal cibo per finalità rituali è un fenomeno costante in tutte le religioni:  per esempio la Quaresima per i cristiani, il mese di Ramadan per i musulmani, il giorno del kippur nell’ebraismo. Il digiuno come osservanza sacrale è molto seguito nell’ebraismo.   Con il digiuno si cerca il perdono delle colpe con la contrizione fisica ed esistenziale.

Il digiuno e l’astinenza dalla carne sono antiche prassi religiose descritte nell’Antico Testamento.

Anche Gesù prima di iniziare la sua missione andò nel deserto  per un lungo digiuno seguendo l’esempio di Mosé. Quaranta giorni di digiuno che superò  pregando Dio.

Nel “Discorso della montagna" Cristo ammonisce: “Quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti che si sfigurano  la faccia per far vedere agli uomini che digiunano…Tu, invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il viso, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto…” (Mt 6, 16 – 17).


Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 18, 2014, 06:49:38
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La Quaresima ed il simbolismo biblico del numero 40.

Nella Bibbia sono narrati eventi in cui emerge  il numero simbolico 40. Ecco alcuni esempi.

Nell’Antico Testamento si narra del diluvio universale durato 40 giorni e 40 notti (Gn 7, 12) e di Noé che nell’arca (insieme  alla sua famiglia e agli animali  che Dio gli aveva detto di portare con sé) attende altri 40 giorni dopo il diluvio prima di sbarcare (Gen 7,4. 12; 8,6).

I libri dell’Esodo, dei Numeri e del Deuteronomio ci raccontano che dopo l’uscita dalla schiavitù dell’Egitto il popolo israelita camminò per quarant’anni nel deserto verso il traguardo della terra promessa (Es.16, 35; Dt 8,1-5; Nm 14,33).

Il profeta Mosè, che guidò  gli israeliti nella traversata del deserto, trascorse quaranta giorni e quaranta notti sul monte Sinai (Es 24, 18) durante i quali da Dio ricevette la Legge,  i 10 comandamenti. Mosè poi ritornò sullo stesso monte per quaranta giorni e quaranta notti per ricevere una Legge rinnovata e una nuova alleanza (Es 34,28).

Quando gli israeliti giunsero al limite del deserto, Mosè inviò alcuni uomini in avanscoperta per esplorare la terra promessa, la terra di Canaan. Gli esploratori vi rimasero quaranta giorni (Nm 13,25). Ritornati dall’accampamento mostrarono al popolo i frutti di quella terra, i grappoli di uva.

Quaranta giorni è il tempo di prova che Israele deve subire dal gigante Golia fino a quando Davide, nel nome del Signore, lo vince liberando il popolo dalla minaccia filistea (1 Sam 17,16).

Il profeta Elia, perseguitato dalla perfida regina Gezabele, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb (il monte Sinai), dove il Signore gli rivolse la parola. (1Re 19,1-13).

Giona nella città di Ninive profetizzava la distruzione della città: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (Gn 3,4). I cittadini di Ninive gli  credettero e fecero penitenza per evitare il castigo divino.

Quaranta sono anche gli anni del regno di Saul (At 13,21); di Davide (2Sam 5,4-5) e di Salomone (1Re 11,41).

La legge mosaica per la flagellazione prescriveva 40 colpi di flagello (Dt 25, 3).

Nel Nuovo Testamento: quaranta giorni dopo la nascita, Gesù è presentato al Tempio di Gerusalemme (Luca 2, 22) per "essere offerto" a Dio "secondo la Legge di Mosè" (Esodo 13, 2.11-16). Sempre secondo tale Legge simultaneamente avviene la purificazione di Maria: la puerpera compie l'offerta prescritta dal Levitico (12, 2-4.6-8).

Gesù, dopo  aver ricevuto il battesimo nel fiume Giordano, si ritirò per quaranta giorni e 40 notti nel deserto per pregare e digiunare, poi cominciò la sua pubblica missione itinerante. (Mt 4,1-11; Lc 4, 1-2;  Mc 1, 12-13).

Quaranta  furono i giorni in cui Gesù ammaestrò i suoi discepoli tra il tempo della sua la resurrezione e la sua ascensione.

L’’apostolo Paolo nella seconda Lettera ai Corinti dice di aver ricevuto 40 frustate dai Giudei (2Cor. 11, 26).
   
Nei primi secoli della nostra era nelle comunità cristiane l’iscrizione dei peccatori alla pubblica penitenza avveniva  40 giorni prima di Pasqua, nella “domenica in quadragesima”, che era la sesta prima dell’evento pasquale, però la penitenza pubblica si svolgeva la mattina del “Giovedì santo” con il rito di riconciliazione dei peccatori con Dio e con la Chiesa. Per avere il perdono i peccatori dovevano dire le preghiere, fare delle buone azioni, digiunare nei giorni di precetto, offrire l’elemosina. 
I peccatori dichiaravano pubblicamente i loro peccati, ma forse soltanto quelli “veniali”, perché antiche testimonianze  evidenziano che nella maggior parte dei casi i  peccati più gravi ed i reati venivano confessati soltanto al vescovo o al presbitero  La pubblica confessione dei propri peccati era soltanto un libero atto di fede. Quella prassi è simbolicamente protratta nei nostri giorni con la recita della preghiera penitenziale “confiteor” (confesso) durante la Messa:  “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro. Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 20, 2014, 07:32:14
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Per la religione ebraica lo “shabbat” è il giorno del riposo, che viene osservato dal tramonto del venerdì a quello del sabato, come prescritto dalla “halakhah”, la tradizione “normativa” religiosa dell’ebraismo.

In senso letterale “shabbat” significa “smettere” ed evoca  l’Antico Testamento, la Genesi, il misterioso riposo di Dio nel settimo giorno dopo la sua attività creatrice dell’universo: “Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Gn 2, 3).

Il precetto del sabato è nel Decalogo (dieci comandamenti), in Esodo e in Deuteronomio. Questo comandamento ha una base etica, perciò Israele e poi la Chiesa mostrarono di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma  un’espressione dell rapporto dell’individuo con Dio. È in questa prospettiva che tale precetto è anche oggi considerato. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna pensare per coglierne il senso profondo.

Lo “shabbat” veniva rispettato anche dai primi cristiani di origine ebraica  e riposavano il sabato. Ma il graduale allontanamento del cristianesimo dalla matrice ebraica e l’aumento del numero dei cristiani indussero questi a fissare in un altro giorno il loro riposo per celebrare insieme i misteri della resurrezione di Cristo, creando in tal modo un’identità indipendente da quella ebraica.

Il  senso del precetto antico-testamentario sul giorno del Signore venne recuperato ed  integrato passando dal sabato al primo giorno dopo il sabato,  dal settimo giorno al primo giorno della settimana che nel calendario giuliano era dedicato al dies Solis, collegato al culto del  Sol Invictus ("Sole invitto") o, per esteso, Deus Sol Invictus ("Dio Sole invitto") era un appellativo religioso usato per alcune diverse divinità nel tardo Impero romano: Helios, El-Gabal, Mitra.

E nel primo secolo della nostra era  i cristiani sovrapposero il culto per Cristo al culto dedicato al Sol Invictus, il dies Domini al dies Solis. La Chiesa scelse di cristianizzare la festa pagana del dies solis per sottrarre i fedeli ai culti che divinizzavano il sole, e in questo giorno sovrappose la celebrazione religiosa  dedicata a Cristo, vero "sole" dell'umanità, "sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte" (Lc 1, 78-79), venuto come "luce per illuminare le genti" (Lc 2, 32), e che ritornerà alla fine dei tempi, per essere e trasfigurare con la Sua luce sfolgorante tutti e tutto.

Nel 50 d.C. ci fu il  Concilio di Gerusalemme, il primo grande concilio cristiano, nel quale si decise l’abolizione delle prescrizioni rituali e cerimoniali della legge mosaica per i cristiani, fra le quali la circoncisione, la quale legava all'osservanza di tutti i rituali dati da Dio agli ebrei.

Nella Didachè, redatta tra il 90 ed il 100, all’inizio del quattordicesimo capitolo, si dice: “Nel giorno domenicale del Signore radunatevi, spezzate il pane e rendete grazie”. La pratica forse non era ancora consolidata, perché questo testo non dà direttive. Dopo l’anno 100 furono scritti numerosi testi che narrano delle celebrazioni eucaristiche collettive la domenica da parte dei cristiani,  che iniziano così ad essere considerati una comunità separata da quella ebraica.

Nel  306 nel Concilio di Elvira, che dopo la conquista araba fu denominata Granada, in Spagna, si decise che i cristiani avevano il dovere di recarsi in chiesa ogni domenica. Per conseguenza occorreva che la domenica diventasse un giorno festivo.  Fu probabilmente per questo motivo che l’imperatore romano Costantino I con un decreto del 321 (conservato nel Codice Giustinianeo) vietò ogni attività lavorativa, eccetto quella agricola, nel dies solis. Costantino non usò il termine dies dominica, ma dies solis, l giorno del sole.

Nel sinodo  regionale di Laodicea, che si svolse tra il 363 ed il 364 dopo la conclusione della guerra tra l’impero romano e l’impero persiano, vennero emanate 60 regole scritte o canoni  riguardanti fra l’altro  il comportamento dei presbiteri, le pratiche liturgiche, l’eliminazione del sabato ebraico,  l’incoraggiamento ai cristiani per il riposo domenicale e la celebrazione eucaristica collettiva.

La religione del Sol Invictus restò in auge fino all’editto di Tessalonica (attuale Salonicco, in Grecia) emanato dall’imperatore Teodosio I il 27 febbraio del 380 e col quale impose il cristianesimo come unica religione di Stato.  Per tale ragione, il 3 novembre del 383 il dies Solis venne rinominato “dies dominicus” (Giorno del Signore).

Dal dies domini deriva il nome del giorno della settimana che chiamiamo domenica, dedicata alla commemorazione della risurrezione di Cristo.

Il pontefice Giovanni Paolo II nella lettera apostolica “Dies Domini” scrisse fra l’altro: “A nessuno sfugge infatti che, fino ad un passato relativamente recente, la ‘santificazione’ della domenica era facilitata, nei Paesi di tradizione cristiana, da una larga partecipazione popolare e quasi dall'organizzazione stessa della società civile, che prevedeva il riposo domenicale come punto fermo nella normativa concernente le varie attività lavorative. Ma oggi, negli stessi Paesi in cui le leggi sanciscono il carattere festivo di questo giorno, l'evoluzione delle condizioni socio-economiche ha finito spesso per modificare profondamente i comportamenti collettivi e conseguentemente la fisionomia della domenica. Si è affermata largamente la pratica del ‘week-end’, inteso come tempo settimanale di sollievo, da trascorrere magari lontano dalla dimora abituale, e spesso caratterizzato dalla partecipazione ad attività culturali, politiche, sportive, il cui svolgimento coincide in genere proprio coi giorni festivi. Si tratta di un fenomeno sociale e culturale che non manca certo di elementi positivi nella misura in cui può contribuire, nel rispetto di valori autentici, allo sviluppo umano e al progresso della vita sociale nel suo insieme. Esso risponde non solo alla necessità del riposo, ma anche all'esigenza di ‘far festa’ che è insita nell'essere umano. Purtroppo, quando la domenica perde il significato originario e si riduce a puro ‘fine settimana’, può capitare che l'uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il ‘cielo’. Allora, per quanto vestito a festa, diventa intimamente incapace di ‘far festa’.

Per quanto riguarda la Quaresima c’e’ da dire che in essa ci sono sei domeniche e la sesta è la “Domenica delle Palme” che dà inizio alla Settimana Santa.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 24, 2014, 09:08:51
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Mercoledì delle Ceneri

5 marzo 2014: “Mercoledì delle ceneri”.  Nel rito romano è il primo giorno della Quaresima, periodo liturgico penitenziale che serve per la preparazione spirituale alla Pasqua cristiana, alla resurrezione di Gesù.

L’ antica usanza di iscrivere i peccatori alla pubblica penitenza quaranta giorni prima di Pasqua determinò la formazione della «quadragesima» che cadeva  nella sesta domenica prima della Pasqua. Ma la domenica non veniva effettuato il rito penitenziale, perciò alla fine del V secolo, nel rito romano, venne deciso di anticipare l’inizio  della Quaresima al mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima,  perché in quel tempo il mercoledì era un giorno penitenziale e dai fedeli veniva osservato il digiuno, così nacque il mercoledì delle Ceneri.

La cerimonia dell’”imposizione delle ceneri” sulla testa o sulla fronte dei fedeli fu eseguita per la prima volta nel VI secolo. Il rito era riservato solo ai penitenti poi fu abolita la penitenza pubblica ed il rito delle ceneri fu esteso a tutti i fedeli per richiamare alla memoria il comune destino mortale causato dal “peccato originale”, infatti la  cenere simboleggia la temporaneità della vita umana.

Le”sacre ceneri” benedette vengono ottenute, secondo una prescrizione del XII secolo, dalla combustione nel fuoco di alcuni rami d’ulivo  o di palma benedetti nella “Domenica delle palme” dell’anno precedente.
 
Durante la Messa il sacerdote dopo la lettura del Vangelo e l’omelìa prende l’aspersorio dal secchiello e benedice le ceneri:
Benedici queste ceneri che stiamo per imporre sul capo, riconoscendo che il nostro corpo tornerà in polvere”.

Poi i  fedeli vanno dal celebrante per ricevere la cenere  sul capo o sulla fronte. Ad ognuno il sacerdote dice:

“Ricòrdati, Uomo, che sei polvere, e in polvere ritornerai.”(Meménto, homo, quia pulvis es, et in púlverem revertéris), frase detta da Dio ad Adamo (Gn 3, 19) ;

oppure può scegliere di dire :

Convertitevi, e credete al Vangelo” (Paenitémini, et crédite Evangélio) Mc 1, 15; tale frase evoca l'inizio della predicazione itinerante di Gesù e fu introdotta dalla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II.

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/3/3d/Crossofashes.jpg/274px-Crossofashes.jpg)

Questo rito cristiano deriva dalla religione ebraica che nel passato obbligava i propri fedeli a cospargersi il capo di cenere come segno di penitenza.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 25, 2014, 08:48:25
Settimana Santa

La Quaresima finisce all’ora nona (ore 15.00) del "Giovedì Santo" che quest’anno avviene il 17 aprile.

La sesta ed ultima domenica di Quaresima coincide con la “Domenica delle palme”, dalla quale comincia la cosiddetta “settimana santa” fino al “Sabato santo”, che precede la domenica di Pasqua in cui si commemora la risurrezione di Cristo. 

La “settimana santa” è scandita da tempi liturgici che rievocano la Passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazaret.

Oltre ai riti liturgici ci sono popolari tradizioni religiose che contribuiscono a tramandare la fede cristiana: rievocazioni sceniche della Passione di Gesù, canti, poemi.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 26, 2014, 08:58:29
Domenica delle palme

La Settimana Santa si apre con la “domenica delle Palme”: in questo giorno  la Chiesa commemora la festosa accoglienza della folla a Gesù che giunge a Gerusalemme.

I quattro evangelisti  narrano quell’evento con alcune modalità discordanti fra loro.

Matteo nel suo vangelo scrive che “Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: ‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me’[…] I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina ed il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.”(Mt 21, 1-7)

L’evangelista Marco afferma, invece, che Gesù “mandò due dei suoi discepoli” nel villaggio a prendere un asinello legato ad una porta. I discepoli lo sciolsero e lo condussero al Messia. …”vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra.” (Mc 11, 1-7)

Luca non cita l’asinello ma un puledro. Gesù “inviò due discepoli dicendo: ‘Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. […] Lo condussero allora a Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.” (Lc 19, 29-35)

Infine Giovanni, in modo conciso fa sapere che “Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto (nella profezia di Zaccaria 9, 9): ’Non temere figlia di Sion !  ‘Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina’…”.  (Gv 12, 14 – 15)
Nel Vangelo di Matteo  (21, 5) la stessa profezia di Zaccaria è così citata: “Dite alla figlia di Sion Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma’” (Zc 9, 9)

E’ evidente che la profezia di Zaccaria è usata come sfondo teologico,  perciò è irrilevante sapere se Gesù salì sopra un’asina, un asinello od un puledro.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 27, 2014, 11:53:53
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L’asinello venne portato a Gesù, i discepoli misero i loro mantelli sulla groppa dell’animale e “vi fecero salire Gesù” ( Lc 19, 35). Questa frase evoca il biblico “Primo libro dei re”,  nel quale si racconta che il re Davide ordinò di far montare il figlio Salomone sulla mula e di condurlo a Ghicon (fiume Nilo) “Lì, il sacerdote Zadòk e il profeta Natan lo ungano re d'Israele. Voi suonerete la tromba e griderete: Viva il re Salomone!  Quindi risalirete dietro a lui, che verrà a sedere sul mio trono e regnerà al mio posto. Poiché io ho designato lui a divenire capo d'Israele e di Giuda”. (1, 34 – 35).

Anche lo stendere i mantelli è una tradizione nella regalità d’Israele (cfr 2 Re 9, 13) ed i discepoli col loro gesto simboleggiano l’intronizzazione di Cristo e la speranza messianica che da tale tradizione si è sviluppata.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione” dice che i pellegrini che si stavano recando a Gerusalemme per la Pasqua ebraica furono influenzati dall’entusiasmo dei discepoli e stesero i loro mantelli sulla strada sulla quale Egli avanzava stando seduto sul dorso dell’asino.

(http://image.nanopress.it/viaggi/fotogallery/625X0/51541/ingresso-in-gerusalemme-giotto.jpg)
Giotto: "Ingresso di Gesù a Gerusalemme"; 1305, circa (Padova: Cappella degli Scrovegni).
La scena dipinta raffigura Cristo che entra a Gerusalemme, accolto dalla folla festante, che stende i mantelli in terra, mentre due ragazzi tagliano i rami dagli alberi per posarli sulla strada in segno di omaggio al passaggio di Gesù.

Secondo l’evangelista Matteo  (21, 8 – 9) “La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: ‘Osanna al figlio di Davide ! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli !’ “(salmo 117, 25-26).

Marco, invece, scrive: E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde , che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e quelli che venivano dietro gridavano ‘Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’ Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! (Mc 11, 8-10).

L’evangelista Luca non cita i rami o le fronde posati sulla strada al passaggio di Gesù, ed aggiunge che solo i discepoli lodarono Dio. “Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: ‘Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.' Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli !” (Lc 19, 36-3).

L’unico a citare i rami di palme è l’evangelista Giovanni: …la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese i rami di palme ed uscì incontro a lui gridando: Osanna ! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele ! (Gv 12, 12-13).  Questo  versetto del salmo  117 apparteneva alla liturgia di Israele per i pellegrini, con la quale essi venivano salutati all’ingresso della città o del tempio. E’quanto dimostra anche la seconda parte del versetto: “Vi benediciamo dalla casa del Signore”. Era una benedizione che dai sacerdoti veniva rivolta ai pellegrini in arrivo nel tempio. Ma l’espressione “che viene nel nome del Signore” col tempo fu ampliata di significato, un significato messianico. Così, da una benedizione per i pellegrini, la frase fu trasformata dagli evangelisti in una lode a Gesù, che venne salutato come Colui che viene nel nome del Signore, come l’Atteso, l’Annunciato dalle promesse di Dio.

Dai vangeli si evince che la scena dell’ossequio messianico a Gesù si svolse all’ingresso della città e che i protagonisti non erano gli abitanti di Gerusalemme ma coloro che accompagnavano Gesù.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Febbraio 28, 2014, 07:44:42

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La palma e l'ulivo nella simbologia

L’iconografia cristiana rappresenta l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, contornato dai discepoli e dalla folla che posano sulla strada i loro mantelli e rami degli alberi di palma.
 
(http://media.travelblog.it/p/pal/palmeto-di-elche/palmeto_elche.jpg)

La palma evoca i simboli della vittoria, della gloria, dell’immortalità.
Gli Egizi l’associarono alla dea Hathor e alla fecondità.
I Romani rappresentavano la “Vittoria” con la dea Palmaris e, come i Greci, offrivano ai vincitori delle gare un rametto di palma.
Ancòra oggi si usa dire "conseguire la palma della vittoria".
Nella simbologia cristiana alcuni alberi evocano il Cristo ma soltanto la palma è collegata alla risurrezione di Gesù, considerato il primo martire.
Nelle catacombe cristiane ci sono epigrafi ed affreschi che rappresentano dei defunti con un ramo di palma, simbolo del martirio, dell’immortalità e della vittoria spirituale di chi è morto per la fede cristiana.
Spesso per evidenziare il senso della vittoria il ramo della palma veniva inciso su marmo oppure dipinto in affresco insieme al monogramma di Cristo: JNRJ (= "Gesù Nazareno Re dei Giudei").

L’ulivo. Per le religioni ebraica, cristiana e musulmana  l’ulivo è un simbolo di pace e di luce divina.
In Italia gli alberi di palma sono pochi,  sono invece diffusi gli uliveti, perciò nella
“Domenica delle Palme” ai fedeli  che si recano in chiesa vengono distribuiti rametti di ulivo.
Nella mitologia greca l’ulivo era l’albero sacro a Minerva, dea della luce e della sapienza. Con un ramoscello d’ulivo si cingeva la fronte dei valorosi condottieri ed era utilizzato come emblema dei trionfi.
Nell’Antico Testamento si parla di Noè che fa uscire dall'arca una colomba, che ritorna con nel becco un rametto d'ulivo, come segno della riconciliazione di Dio con l’umanità dopo il “diluvio universale.
(http://www.comune.santadi.ci.it/santadi/resources/cms/images/uliveto_d0.jpg)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 02, 2014, 06:13:55
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Nella tradizione biblica ci sono tre festività ebraiche  che obbligano al pellegrinaggio nel Tempio di Gerusalemme: Pesach, Shavuot e Sukkot. Nella Torah è scritto:  "Tre volte l'anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto: nella festa degli azzimi - Pesach-, nella festa delle settimane - Shavuoth - e nella festa delle capanne: - Sukkoth - nessuno si presenterà davanti al Signore a mani vuote". (Dt. 16,16)
Due di queste celebrazioni, Pesach e Sukkot, sono presenti nel Nuovo Testamento ma con diverso significato. Infatti Pesach da festa  per la liberazione dalla schiavitù ed uscita dall’Egitto divenne la Pasqua cristiana che simboleggia la liberazione dalla morte attraverso la crocifissione e risurrezione di Gesù Cristo. Invece il  ”Sukkot” (questa parola è il plurale del lemma “sukkah, che significa  capanna): commemora il viaggio degli Israeliti guidati da Mosé verso la “Terra promessa”. Durante la  loro quarantennale permanenza nel deserto, dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, abitarono nelle capanne o tende.

Nell’antichità nel periodo del Sukkot si festeggiava il raccolto finale prima dell’inverno. Nel  Levitico (23, 41-43)  è scritto: "E celebrerete questa ricorrenza come festa in onore del Signore per sette giorni all'anno; legge per tutti i tempi, per tutte le vostre generazioni: la festeggerete nel settimo mese. Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne, affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli di Israele quando li ho tratti dalla terra d'Egitto".

La festa delle capanne dura otto giorni, sette in Israele. Il settimo giorno è denominato hoshanà rabà (= grande osanna). Nella lingua ebraica la parola  hoshanà (= “osanna”, significa “salva”) fu  festosamente gridata dai pellegrini  a Gesù  mentre entrava a Gerusalemme.  Tale omaggio evoca il profeta Zaccaria:  “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da E‘fraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra”(Zc 9, 9-10).

La profezia di Zaccaria che annuncia l’arrivo di un re di pace, è parzialmente citata dagli evangelisti Matteo (21,5) e Giovanni (12,5).
Marco  non dice che Gesù è re, come invece affermano Luca (19,38) e Giovanni (12, 13), ma si limita a narrare la calorosa accoglienza riservata a Gesù da un gruppo di persone mentre Egli entrava in città (Mc 11, 8, 9).

Alcuni studiosi pensano che l’entrata di Gesù in Gerusalemme non fu diversa da quella riservata ad altri rabbi. Col tempo, però,  nella riflessione dei discepoli, l’episodio fu enfatizzato.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 03, 2014, 00:09:44
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L’evangelista Matteo narra  che mentre Gesù  entrava a Gerusalemme sul dorso dell’asino e contornato dai discepoli e dai pellegrini, delle persone chiesero: “Chi è costui ?” E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea”  (Mt 21, 10).   

Ma cosa fece Gesù dopo il suo ingresso nella città di Gerusalemme ?

Secondo gli evangelisti Matteo, Giovanni e Luca, Gesù entrò nel tempio e scacciò i profanatori. Invece Marco narra che Cristo entrò nel tempio. “E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, usci con i dodici (apostoli) diretto a Betania” (Mc 11, 11),dove fu ospitato nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. In quel tempo Betania era distante circa due miglia da Gerusalemme (Gv 11, 18),  oggi  ne è  diventata la periferia.

Il giorno dopo (Gesù) tornò nel tempio e cominciò a mandare fuori quelli che vendevano e quelli che compravano; “rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe” (Mc 11, 15). Gesù giustifica questo suo agire con una frase del profeta Isaia e la integra con un’altra frase del profeta Geremia: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri (Mc 11, 17; cfr Is 56, 7; Ger 7, 11). “L’udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo per farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato del suo insegnamento” Mc 11, 18).   

Secondo l’evangelista Giovanni il messia “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato’” (2, 15 – 16).

L’azione “purificatrice” di Gesù non fu un atto contro il tempio come luogo di preghiera. Il suo comportamento violento fu motivato dagli abusi, dall’uso improprio dell’area templare. Però l’agire dei cambiamonete e dei commercianti di bestiame era legittimo. Essi erano autorizzati dall’autorità giudaica perché ne traeva un profitto economico. 

L’ostilità di Gesù verso il potere religioso giudaico, la casta sacerdotale, accelerò la decisione del Sinedrio per la sua condanna a morte, a Gerusalemme.  In quel tempo la città aveva circa 120 mila abitanti.   

(http://www.christianismus.it/img/giudaismo/4_gerusalemme.jpg)

Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 04, 2014, 08:17:27
Il Lunedì della “settimana santa”

L’evangelista Matteo narra un fatto straordinario accaduto il lunedì mattina mentre il Messia con i discepoli da Betània andava a Gerusalemme. Gesù “ebbe fame. Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: ‘Non nasca mai più frutto da te’. E subito quel fico si seccò. Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti” […] (Mt21, 18-20)
Lo stesso episodio è descritto nel Vangelo di Marco (Mc 11, 12-14).

Invece Giovanni  descrive la cena avvenuta in quel giorno nella casa di Lazzaro. “Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.
Maria allora, presa una libbra di olio profumato(una libbra equivaleva a circa 300 grammi) di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: ‘Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri ?’. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: ‘Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me’.
Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.”
(12, 1 – 11).

Per l’evangelista Giovanni gli avvenimenti che accadono negli ultimi giorni di vita di Gesù hanno significati simbolici.

A Betania,  Gesù è l’ospite di Marta, di Maria e di Lazzaro. L’amicizia li lega; è a loro che spiega cosa significa parlare della “vita” e della “morte”.

Giuda, invece, pensa al costo del nardo,  avrebbe preferito venderlo per 300 danari da distribuire ai poveri. Ma Gesù approva la spontaneità di  Maria ed accetta di farsi massaggiare i piedi con quell'olio profumato.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 05, 2014, 06:31:31
Martedì santo” e “Mercoledì santo”:  Gesù continua a frequentare il tempio ebraico di Gerusalemme per insegnare e discutere sia con i sacerdoti del sinedrio sia con gli anziani del popolo che tramano per ucciderlo. Ma in che anno accadde ? I Vangeli non lo dicono, ma affermano che Cristo fu crocifisso in un venerdì che in quel tempo coincideva con la Pasqua ebraica.

Sono possibili due date: Venerdì 7 aprile dell’anno 30, (corrispondente al 15 del mese di Nisan nel calendario lunare ebraico), oppure venerdì 3 aprile dell’anno 33, (14 del mese di Nisan).

L’incertezza tra il 14 ed il 15 del mese di Nisan è causata dagli scarsi dati cronologici e dalle contrastanti indicazioni nei Vangeli.
L’evangelista Giovanni dice che quell’ultima cena avvenne “Prima della festa di Pasqua[…]”(13, 1), ed aggiunge che nel giorno della morte del Messia era la Parasceve, cioè la vigilia della Pasqua ebraica, corrispondente al giorno 14 del mese di Nisan (19, 31). Invece  i tre  vangeli sinottici presentano l’ultima cena come cena pasquale, cioè nella data diversa di un giorno rispetto a Giovanni (cfr Mt 27, 62; Mc 15, 42; Lc 23, 54).

C’è anche da rilevare che i sacerdoti del sinedrio avevano in precedenza stabilito di non agire contro Gesù durante la festività (Mt 14, 2), allora perché lo avrebbero fatto arrestare proprio alla vigilia della Pasqua ebraica ?

I Vangeli sinottici (Mt 26, 27; Mc 14, 22; Lc 22, 7) informano che  quando Gesù fu catturato aveva già "celebrato la cena" insieme ai suoi apostoli, e che venne arrestato, processato e crocifisso  nel giorno della Pasqua ebraica. Invece Giovanni precisa che la mattina in cui il Messia fu giudicato da Pilato, gli Ebrei non avevano ancora “mangiato” (=celebrato) la Pasqua: “Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per contaminare la Pasqua” (Gv 18, 28).

Dunque Gesù aveva anticipato, rispetto ai Giudei, la Cena pasquale ? Ma per quale ragione ? E di quanto tempo ? Domande senza risposta !

Per superare l’antinomia tra Giovanni e gli altri tre evangelisti gli studiosi ipotizzano che in quell’anno Gesù anticipò la Cena pasquale. Ma è plausibile ? Forse Gesù scelse la tradizione dei Sadducei, che anticipava la “cena dell’agnello” al giovedì, quando la Pasqua, come quell’anno, cadeva di sabato ?

Comunque si siano svolti i fatti, la tradizione e la liturgia cristiane celebrano da secoli l’ultima cena e l’arresto di Gesù la sera del giovedì, la sua morte il venerdì.

Terminata la cena, Gesù scende con i discepoli nella valle del torrente Cedron, nel podere del Getsèmani, dove si ritira in preghiera. Nel frattempo l’apostolo Giuda Iscariota,che in precedenza aveva ricevuto 30 monete d’argento dai sommi sacerdoti per far arrestare Gesù, va ad informarli del luogo dove si trova Cristo per farlo catturare.

Anche l’arresto, il processo e la condanna di Gesù presentano incongruenze temporali. Secondo il Nuovo Testamento il processo si svolse in poche ore, con 6 sedute, anche in luoghi diversi, tra la notte e la mattina del venerdì: ci furono l’interrogatorio notturno di Gesù nel palazzo di Caifa; i due interrogatori davanti al sinedrio; due interrogatori da parte di Pilato e quello dinanzi ad Erode; da aggiungere: la flagellazione, il trasferimento di Cristo al Calvario e la crocifissione.

La sequenza del procedimento giudiziario iniziato di notte e condotto a termine in poche ore alla vigilia di quel sabato che coincideva con la Pasqua ebraica non è conciliabile con le norme del diritto ebraico di quel periodo.

Gli studiosi di storia del cristianesimo quasi tutti concordano per una diversa cronologia degli avvenimenti, basata sull’ipotesi che Gesù seguisse il calendario degli Esseni, secondo il quale la Pasqua cadeva di mercoledì. La Passione si sarebbe quindi svolta in più giorni e non solo dal giovedì sera al pomeriggio di venerdì. Tale spiegazione, se provata, risolverebbe le discordanze.

Gesù avrebbe celebrato la Pasqua il martedì sera (seguendo il calendario solare usato dalla comunità religiosa degli Esseni, in anticipo di tre giorni rispetto al calendario lunare ebraico); arrestato la sera successiva; processato dal sinedrio il giovedì e da Pilato il venerdì, quando si decise la condanna a morte.

1) Martedì sera (inizio del mercoledì secondo il computo ebraico): “Ultima cena”; arresto nel Getsèmani; interrogatorio da parte di Caifa, sommo sacerdote; rinnegamento di Pietro.

2) Mercoledì mattina: prima seduta del processo davanti al sinedrio. Gesù viene trattenuto in arresto e trascorre la notte nella prigione del palazzo di Caifa.

3) Giovedì mattina: nuova seduta del sinedrio per la sentenza di condanna. Prima udienza di Gesù davanti al governatore Ponzio Pilato, che invia Cristo da Erode; il Messia viene ricondotto nel palazzo del Pretorio.

4)Venerdì mattina: seconda udienza davanti a Pilato. Viene liberato Barabba e Gesù condannato alla crocifissione. “Erano le nove del mattino quando lo crocifissero” (Mc 15, 25)

Così ricostruita la Passione di Cristo diventa credibile.

Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 06, 2014, 06:48:21
Giovedì santo

La Quaresima continua fino all’ora nona (ore 15.00) del “Giovedì santo”.

La mattina del giovedì santo  nelle chiese non viene officiata la Messa, perché in ogni diocesi ne viene celebrata soltanto una nella cattedrale. E’ La cosiddetta “Messa del crisma o crismale”,  che simboleggia l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo. Vi partecipano  i presbiteri ed i diaconi della diocesi. Durante la Messa il vescovo consacra gli oli santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi. Sono gli oli che  vengono usati durante l’anno liturgico  per i riti sacramentali.

Il vocabolo crisma deriva dalla lingua greca e significa unguento: olio misto a profumo che la Chiesa cattolica usa nel battesimo, nella cresima, nell’ordinazione sacerdotale dei presbiteri e dei vescovi.

La parola cresima deriva da crisma, e la Messa viene detta crismale  perché durante la funzione religiosa  viene consacrato anche quest'olio.

Il giovedì sera  viene celebrata la “Missa in coena domini” per ricordare l’ultima cena di Gesù con gli apostoli in occasione della Pasqua ebraica. La tradizione localizza il luogo del “Cenacolo” sul monte Sion, all’esterno della “città vecchia” di Gerusalemme.

Questa Messa vespertina commemora anche l’istituzione dell’eucarestia e dà inizio al triduo pasquale. Dopo l’omelia è previsto il rito della “lavanda dei piedi”.

L’apostolo Giovanni  nella descrizione di quella sera evidenzia che Gesù in segno di umiltà lavò i piedi ai suoi discepoli: “si alzò da tavola, depose le vesti e prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto (Gv 13, 4 - 5).
Nel brano della lavanda dei piedi l’evangelista Giovanni cita tre volte la parola “puro”, un concetto della tradizione dell’Antico Testamento: per  poter comparire davanti a Dio, per entrare in comunione con Lui l’individuo deve essere “puro” di cuore ed avere fede.

Dopo la pericope della lavanda dei piedi Gesù comincia a parlare di Giuda Iscariota. Giovanni riferisce che Gesù fu molto turbato e disse: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà” (13, 21). L’annuncio del tradimento suscita reazioni fra i discepoli. “Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: ‘Signore, chi è ?” Rispose Gesù: “E’ colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” (13, 23 ss).
Per la comprensione di questo versetto si deve tener presente che per la cena pasquale era prescritto ai partecipanti di stare sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato. Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo  davanti a Gesù, perciò vicino al suo petto.   

Gesù dice: “Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno” (salmo 41,10 e salmo 55, 14). E’ questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole del Vecchio Testamento Egli allude al suo destino.

L’evangelista Giovanni non dà alcuna interpretazione psicologica dell’agire di Giuda, ma ci dice che questo era il tesoriere del gruppo dei discepoli e che aveva rubato il loro denaro (12, 6). 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 07, 2014, 00:33:13
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Quella probabile sera del 7 aprile dell’anno 30 dove avvenne l’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli ?

Dai Vangeli di Matteo, Marco e Luca si apprende che nel “primo giorno degli azzimi”, i discepoli chiesero a Gesù il luogo dove celebrare la Pasqua. Egli dette le indicazioni e mandò gli apostoli Pietro e Giovanni per i preparativi in un edificio che aveva al piano superiore una grande sala arredata con i tappeti, usati all’epoca anche come “divano” per la bassa mensa, sulla quale si poggiavano quei cibi previsti dal rito pasquale ebraico.

Nell’area dove la tradizione ha localizzato il “Cenacolo” forse c’era una locanda al tempo di Gesù. Poi, nel tempo, sul sito fu più volte ricostruito un edificio. Quello attuale è di epoca bizantina  però ai visitatori  vien fatto credere che il salone  che sia quello dove avvenne l’ultima cena di Gesù. Il primo piano viene venerato come “sala del Cenacolo”, invece il piano terra è adibito alla preghiera.

(http://www.terrasanta.net/tsx/assets/foto/m_Cenacle.jpg)
la cosiddetta “sala del Cenacolo”, in stile gotico...

I sovrani di Napoli Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca acquistarono l’edificio  nel 1333 dal sultano d’Egitto e, con l’approvazione papale, lo donarono all’Ordine Francescano. I frati racchiusero il santuario all’interno di un loro convento fino al 1551, quando furono costretti dai musulmani a lasciare questo “luogo santo” trasformato in moschea.


(http://www.christusrex.net/www1/ofm/sbf/escurs/Ger/06Sionentrata.jpg)
L'edificio detto "il Cenacolo" è l'ultima parte rimasta della chiesa bizantina e crociata. Al piano superiore c'è la cosiddetta "sala del cenacolo". Nella foto: ingresso al complesso di epoca ottomana.


Tre sono i ricordi evangelici più importanti legati al Cenacolo:l 'istituzione dell'Eucaristia; le apparizioni dei Risorto; la Pentecoste.

L’edificio è disputato da cattolici ebrei e musulmani.

Al tempo delle crociate venne diffusa la falsa  notizia che nel sottosuolo del fabbricato ci fosse la  tomba di David, re d'Israele, perciò il palazzetto divenne "luogo sacro" anche per gli ebrei, i quali al piano terreno fecero costruire il cenotafio di quel re, che viene onorato anche dai cristiani, perchè riconoscono in Gesù il compimento delle promesse messianiche collegate alla dinastia davidica.

Nel 1948-’49 durante la guerra arabo-israeliana per la Palestina i musulmani abbandonarono il complesso e da allora è occupato dagli israeliti, che hanno adibito il piano terra a sinagoga e ad una scuola religiosa ebraica (Yeshiva).  Ma ai cristiani è consentito l’accesso al piano superiore per la “memoria dell’Ultima cena”.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 08, 2014, 07:27:47
L’ istituzione dell’eucarestia  ed il cerimoniale connesso furono  stabiliti da Gesù nella sua ultima cena, durante la quale affidò, a chi ci crede, la sua permanente presenza nei segni simbolici del pane e del vino.

L'evangelista Matteo racconta:”Ora , mentre mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: ‘Prendete e mangiate; questo è il mio corpo’. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.
Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”. (26, 26-29)

Anche Marco dice che: ”Mentre mangiavano (Gesù) prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ‘Prendete, questo è il mio corpo’. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”. (14, 22-25)

L’evangelista Luca narra: ” Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: ‘Ho desiderato ardentemente di mangiare (=celebrare) questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finchè essa non si compia nel regno di Dio’. E preso un calice, rese grazie e disse: ‘Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio’
Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: ‘Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. (22, 14-20)

L’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi: ”Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me’. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: ‘Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me’. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga.” (1 Cor 11, 23-26)
Paolo inviò questa  “lettera” alla comunità cristiana di Corinto durante il suo secondo viaggio "missionario" effettuato dal 50 al 53. Il documento è considerato il più antico resoconto dell’istituzione dell’eucarestia, scritto circa vent'anni dopo quell'evento.
Nel linguaggio biblico la “nuova alleanza” si riferisce sia al patto tra Dio e l’umanità annunciato dal profeta Geremia (31, 31 – 34) sia all’alleanza  annunciata a Mosé sul monte Sinai.

L’evangelista Giovanni riferisce che “In quel tempo (nella sinagoga di Cafarnao), Gesù disse alla folla: ‘Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
Allora i Giudei si misero a discutere tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’
Gesù disse: ‘In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno’” (6, 51 – 58).

Al sacramento dell’eucarestia è dovuto il culto di latria, di adorazione, perché per la religione cattolica Dio è presente nell’ostia consacrata. Le discussioni teologiche sulla presenza di “Gesù-Dio” nelle particole cominciarono nell’undicesimo secolo. Per evitare la convinzione della trasformazione della materialità del pane nella materialità del corpo del “Signore”, alcuni teologi  attribuirono al pane consacrato  il valore della presenza simbolica di Cristo.  Anche i protestanti contestarono la pratica del culto del “santissimo” e dei segni di adorazione che si fanno davanti all’ostia consacrata, sostenendo che la presenza di Cristo è reale nella celebrazione eucaristica ma che non ha senso adorare l’ostia consacrata quando finisce la celebrazione della Messa.
Per i cattolici, invece, la realtà non è riducibile a ciò che si percepisce coi sensi, ma è  la fede che induce a credere e ad adorare Cristo nell’ostia consacrata. Essi credono nella “transustanziazione”, la conversione della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue.  Secondo la teologia cattolica la trasformazione avviene mediante l'azione dello Spirito Santo durante la preghiera eucaristica e la consacrazione dell'ostia da parte del sacerdote, però le caratteristiche del pane e del vino, cioè le “specie eucaristiche”, le ostie, rimangono inalterate.     
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 10, 2014, 10:52:04
Ci sono alcune anomalie nel dipinto con la tecnica “a secco” realizzato da Leonardo da Vinci per rappresentare l’”Ultima cena” su una parete dell’antico refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, accanto all'omonima chiesa, a Milano.

(http://milano.mylocalguide.org/uploads/big/87/cenacolo_vinciano.jpg)

In questa immagine Leonardo volle rappresentare il drammatico momento in cui Gesù annuncia il tradimento di uno degli apostoli: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse” (Gv 13, 21 – 22).
L’agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola,  ha le braccia distese,  è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.

Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello (come in altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena), s’inchina in avanti, con la mano sinistra scuote Giovanni chiedendogli:  "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24).

Se si guarda bene l'immagine quella mano col coltello crea problemi di attribuzione. L'apostolo Pietro (che era seduto nella terza posizione, nel posto dove apparentemente sembra esserci l'apostolo Andrea) viene raffigurato mentre si alza in piedi di scatto, aggira le spalle di Giuda e si accosta a Giovanni  per parlargli; Pietro indica Gesù con la mano sinistra tesa e vuol sapere il nome del colpevole, mentre nella mano destra  ha il coltello per uccidere il traditore, ma il braccio  è in un'anomala posizione perchè non ha fatto in tempo a seguire il movimento del corpo.

Continuando a contare i personaggi da sinistra a destra il quinto apostolo che appare nella sequenza (ma quarto nella posizione seduta) è Giuda  (davanti a Pietro), che con la mano stringe il sacchetto con i soldi ( "tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29) ed  indietreggia con aria colpevole, nell'agitazione rovescia la saliera. All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati  la loro incredulità. Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui c’è Filippo  che porta le mani al petto per confermare la sua devozione e la sua innocenza.

La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo: c’è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici,  non c’è calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell’ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27).

Sulla sinistra di Gesù  c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l’alto.  La sua figura è anatomicamente sproporzionata, ha un braccio troppo lungo, e pare collocata nell’unico spazio disponibile in modo un po’ forzato. Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera,  Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura,  perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 11, 2014, 10:05:41
Giovanni nel suo vangelo  narra che dopo la lavanda dei piedi Gesù  parlò del suo  addio (capp. 14 e 16) e proferì la cosiddetta “preghiera sacerdotale” (17, 1 - 26) definizione del teologo luterano David Chytraeus (1530 – 1600).
 
Questa preghiera di Gesù è comprensibile sullo sfondo della festa giudaica dell’espiazione, lo Yom kippùr (= “giorno dell’espiazione), descritto nella Torah (Levitico, Esodo e Numeri). E’ il  giorno  ebraico della penitenza e del digiuno, dell’espiazione dei peccati e della riconciliazione con Dio. 

In tale giorno nel Tempio il Sommo Sacerdote compie l’espiazione prima per sé, poi per la classe sacerdotale  e infine per l’intera comunità del popolo. Lo scopo è quello di ridare al popolo di Israele, dopo le trasgressioni di un anno, la consapevolezza della riconciliazione con Dio, la consapevolezza di essere popolo eletto, «popolo santo» in mezzo agli altri popoli.

La preghiera di Gesù, presentata nel capitolo 17 del vangelo giovanneo riprende la struttura di questa festa. Cristo in quella notte si rivolge al Padre nel momento in cui sta offrendo se stesso. Egli, sacerdote e vittima, prega per sé, per gli apostoli e per tutti coloro che crederanno in Lui(cfr Gv 17,20). La sua croce ed il suo innalzamento costituiscono il giorno dell’espiazione del mondo.

Al tempo di Gesù in occasione di questa festività religiosa ebraica descritta nel Levitico (16 e 23, 26 -32), il sommo sacerdote eseguiva alcuni sacrifici (due capri per un sacrificio espiatorio, un ariete per un olocausto, un giovenco). Egli doveva compiere l’espiazione prima per se stesso, poi per la classe sacerdotale di Israele  ed infine per tutta la comunità. Durante questi riti il sommo sacerdote pronunciava, l’unica volta l’anno, l’indicibile nome di Dio.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, evidenzia che il Nazareno mutò in preghiera il rituale del giorno dell’espiazione, la parola sostituì i sacrifici. Con l’istituzione dell’eucarestia Egli simbolicamente  trasformò la sua uccisione in “parola”, in auto-donazione come vittima sacrificale, offrì se stesso in espiazione, caricando su di sé l’iniquità di tutti. 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 12, 2014, 11:58:37
L'arresto di Gesù

Perché Gesù venne arrestato ?  Per vari motivi. Per i miracoli da lui compiuti: la resurrezione di Lazzaro, la guarigione del paralitico nella piscina probatica, ecc.), per la cacciata dei profanatori dal tempio, per la sua predicazione ed il fermento che aveva provocato nei giorni precedenti la Pasqua ebraica, per le notizie che circolavano su questo  rabbi che chiamava il popolo a prepararsi alla venuta del “regno di Dio.

In un primo tempo la comparsa di Gesù e il movimento apostolico che si stava formando intorno a lui avevano suscitato poco interesse nelle autorità del tempio. Ma la situazione cambiò la “Domenica delle palme”: l’ossequio messianico reso a Gesù durante il suo ingresso in Gerusalemme; la purificazione del tempio dai mercanti, dal bestiame e dai cambiavalute; i discorsi di Gesù nel tempio che sembravano dare alla speranza messianica di Israele una nuova forma che minacciava il suo monoteismo; il crescente afflusso di popolo verso di lui; tutti questi fatti non potevano essere ignorati. Nei giorni vicini alla Pasqua ebraica Gerusalemme era affollata di pellegrini e le speranze messianiche potevano facilmente trasformarsi in rivolta politica. L’autorità del tempio doveva tener conto della situazione e reagire.

L' arresto di Gesù è descritto nei quattro Vangeli (Matteo 26,47-56; Marco 14,43-52,15; Luca 22,47-53 e Giovanni Gv18,1-11). 

Dopo l’ultima cena Gesù e i suoi apostoli uscirono per andare verso il monte degli ulivi. Giunsero ad un podere chiamato Getsèmani (nome che deriva dall’ebraico “gath shemanim”=frantoio) ed Egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo (Giacomo e Giovanni) cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: ‘La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me’. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: ‘Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!’. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: ‘Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole’. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: ‘Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà’. E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: ‘Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina’” (Mt 26, 36 – 46)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 13, 2014, 12:08:12
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Secondo il racconto dei quattro vangeli quel giovedì la preghiera serale di Gesù finì quando arrivarono i militi armati, guidati da Giuda Iscariota. Mentre Egli ancora parlava con i tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) “… arrivò Giuda, uno dei dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: ‘Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta’. Appena giunto, gli si avvicinò e disse: ‘Rabbì’ e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: ‘Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!’.
Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.
(Mc 14, 43 – 50).

I  quattro vangeli ci consentono di distinguere le tappe verso la sentenza giuridica di condanna a morte di Cristo.

Il processo di Gesù è un evento descritto nei quattro vangeli (Matteo 26,57-27,26; Marco 14,53-15,15; Luca 22,54-23,25 e Giovanni 18,12-19,16) e sono le uniche fonti storiche riconosciute dalla Chiesa relative agli avvenimenti della Passione di Cristo.  Si nota tra i vangeli una sostanziale concordanza negli eventi narrati ma anche notevoli differenze, in particolare relativamente alla cronologia.

Come sopra detto, Gesù fu arrestato nell'orto del Getsèmani. In seguito fu interrogato da autorità politiche e religiose: dall’ex sommo sacerdote Anna,  dal sommo sacerdote in carica Caifa, dal sinedrio, dal prefetto romano Ponzio Pilato, da Erode Antipa, figlio di Erode "il Grande" e sovrano del regno di Galilea dal 4 a.C. al 39 d.C., regione della quale Gesù era originario e dove aveva svolto la maggior parte del suo ministero pubblico.

Gli interrogatori da parte delle autorità ebraiche ne stabilirono la colpevolezza per bestemmia, per essersi equiparato a Dio. La condanna capitale fu confermata da Pilato per il reato di lesa maestà, essendosi riconosciuto "re dei Giudei". La pena fu la morte tramite crocifissione.

Giovanni è l’unico fra i quattro evangelisti che ci fa sapere che fu  l’ex sommo sacerdote Anna il primo ad interrogare Gesù.
Anna (nome che corrisponde a Giovanni) ebbe la carica di sommo sacerdote dal 6 al 15. Era il suocero  di Caifa, sommo sacerdote in carica (dal 18 al 36). Aveva l’incarico religioso, ma era anche  capo del sinedrio e come tale aveva anche il potere politico e sociale.

Sebbene Anna non fosse più sommo sacerdote esercitava una forte influenza sul genero.

Nello stesso edificio dimoravano Anna e Caifa. L’antica tradizione cristiana colloca il palazzo nella zona sud-occidentale di Gerusalemme, dove attualmente c’è la chiesa cattolica di San Pietro in Gallicantu, costruita nel 1931.

L’evangelista Giovanni ci dice che: “i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno.” (18, 12 – 13).
Anna “interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: ‘Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me ? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto’. Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: ‘Così rispondi al sommo sacerdote ?’. Gli rispose Gesù: ‘Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti ?’Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote” (Gv 18, 19 – 24). 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 14, 2014, 09:27:52
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 “…i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. Dicevano però: ‘Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo’” (Mt 26, 3 – 5).

Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: ‘Lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo’. Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: ‘Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te ?’ Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: ‘Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto ?’ Gesù rispose: ‘Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo’”
(Mc 14, 53 – 62).

Matteo, Marco e Luca divergono tra loro  circa la domanda di Caifa e la risposta di Gesù.

Secondo Marco la domanda di Caifa è: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto ?” Gesù risponde: “Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza…” In questa pericope è da notare che il nome di Dio e la parola “Dio” vengono evitati e sostituiti con le espressioni “il Benedetto” e “la Potenza”, perché il  settimo comandamento del decalogo dato da Dio a Mosé sul monte Sinai dice di non nominare il nome di Dio invano: “Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano”. (Esodo). Inoltre, il sommo sacerdote interroga Gesù circa la sua messianicità e la definisce secondo il salmo 2, 7 con l’espressione “Figlio del Benedetto”, “Figlio di Dio”. Si suppone che Caifa nel fare tale domanda non si sia soltanto attenuto a tradizioni teologiche, ma che l’abbia formulata in base all’annuncio di Cristo.   

Dopo la risposta di Gesù il sommo sacerdote Caifa disse: “‘Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?’. Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: ‘Fa’ il profeta!’. E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: ‘Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù’. Ma egli negò, dicendo: ‘Non so e non capisco che cosa dici’. Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: ‘Costui è uno di loro’. Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo’. Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: ‘Non conosco quest’uomo di cui parlate’. E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: ‘Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai. E scoppiò in pianto.”
(Mc 14, 63 -72).

Il canto del gallo veniva considerato come la fine della notte e l’inizio del giorno.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 14, 2014, 09:48:04
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Prosecuzione dell’interrogatorio a Gesù dal sinedrio, questo sostantivo deriva dal greco “synedrion” e  dal latino “synedrium”: significa "consesso", “sedersi insieme”.  Il sinedrio di Gerusalemme o “Gran sinedrio” (c’erano anche i sinedri locali con giurisdizione limitata) era il consiglio supremo di Israele, aveva poteri politici e religiosi, competenze legislative (poteva emanare leggi), giudiziarie (come supremo tribunale) ed esecutive (disponeva di una propria forza armata).  Era composto da 70 persone (71 con il sommo sacerdote), in prevalenza Sadducei e Farisei.
Il sinedrio si radunava nel tempio ed era presieduto dal sommo sacerdote.
Era suddiviso in tre classi: 
1) gli ex sommi sacerdoti e l'alto clero;
2) gli "anziani", cioè i capi politici;
3) gli "scribi", ossia i "dottori della legge".

Al tempo di Gesù il sinedrio era condizionato nella sua attività dalla potenza occupante romana. Non aveva il diritto di ordinare le condanne a morte, in quanto  lo ius gladii (= diritto della spada) spettava al solo governatore romano.

L’evangelista Luca dice che “In quel tempo gli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi, dissero al Signore Gesù: ‘Se tu sei il Cristo, dillo a noi’. Rispose loro: ‘Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio’. Allora tutti dissero: ‘Tu dunque sei il Figlio di Dio?’. Ed egli rispose loro: ‘Voi stessi dite che io lo sono’” (22, 67 – 70).   
 
Ma la messianicità rivendicata da Gesù ha lo stesso significato che incontriamo in Giovanni: "Il mio regno non è di questo mondo” (18, 36).

Nella perplessità del sinedrio su ciò che conveniva fare di fronte al pericolo causato dal movimento creatosi intorno a Gesù, il sommo sacerdote Caifa disse: "Non vi rendete conto che è conveniente per voi  che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera” (Gv 11, 50).

L’interrogatorio di Gesù dal sinedrio si concluse con la dichiarazione di colpevolezza, perché aveva violato la Torah:  era colpevole di bestemmia, un reato per il quale era prevista la pena di morte. Ma siccome il potere di infliggere la pena capitale era riservato ai Romani, il processo doveva essere trasferito davanti al governatore Ponzio Pilato per evidenziare anche l’aspetto politico della sentenza di colpevolezza. Gesù si era dichiarato Messia, aveva quindi preteso la regalità messianica, considerata reato politico, che dalla giustizia romana doveva essere punito.

Gesù venne condotto al pretorio e presentato a Pilato:   “…al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato” (Mc 15, 1).
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 14, 2014, 14:30:19
Per secoli la Chiesa cattolica ha accusato gli Ebrei di “deicidio” perché considerati colpevoli di aver fatto morire in croce Gesù Cristo, ritenuto  “Dio”. E dal VII secolo la locuzione latina “Oremus et pro perfidis Judaeis” ha risuonato nelle chiese durante le preghiere ” per la conversione  al cristianesimo dei credenti la religione ebraica.
 
L''accusa di deicidio espose  il popolo ebraico alle persecuzioni, le discriminazioni, la diaspora, le uccisioni di massa. La Chiesa cattolica ed anche i protestanti Martin Lutero e Giovanni Calvino furono antisemiti. L’astio nei confronti degli ebrei si realizzò con le vessazioni, l’insegnamento del disprezzo nei loro confronti, l’Inquisizione, i pogrom, ecc.. Ma dopo la Shoà ci fu il “ravvedimento” di una parte delle confessioni cristiane, compresa quella cattolica ed ortodossa.

Dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) , l'uso della famigerata locuzione venne mantenuto solo nella liturgia del Venerdì Santo, nella preghiera che segue la lettura del Vangelo della Passione di Gesù. Questo è il testo che era presente nel messale romano: “Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur”.
Traduzione: “Preghiamo anche per i perfidi Giudei; affinché il Signor Dio nostro tolga il velo dai loro cuori; affinché anch’essi riconoscano Gesù Cristo Signor nostro. Dio onnipotente ed eterno, il quale non rigetti dalla tua misericordia neppure i perfidi Giudei, esaudisci le nostre preghiere che ti rivolgiamo a riguardo della cecità di quel popolo; affinché riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano sottratti alle loro tenebre. Per il Signore”.

Il significato della parola perfidis è controverso. Nel latino classico può indicare sia una persona malvagia, come tuttora in italiano, sia un individuo infido, traditore. Ma “foedus” significa anche patto, alleanza,  e perfidus può indicare etimologicamente chi non rispetta i patti. Nel latino ecclesiastico, quindi, la perfidia sembrò essere parola adatta per indicare l'incredulità degli ebrei, che secondo i cristiani non avrebbero riconosciuto in Cristo la realizzazione di oltre 300 profezie presenti nella Bibbia ebraica, ma di cui gli ebrei davano (e danno) un'interpretazione diversa. Anche nel latino medievale  la perfidia non perse  il significato offensivo.

I vocaboli  "perfidis" e "perfidiam" furono aboliti dalla preghiera del Venerdì santo per iniziativa di papa Giovanni XXIII: nel 1959 le fece togliere durante la celebrazione presieduta da lui stesso.

Nel 1962 furono eliminate con la riforma del messale ed il testo dell'orazione divenne quest: “Oremus et pro Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui Judaeos etiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur
”.

La versione del 1962 eliminò le parole considerate più offensive, ma mantenne il riferimento alle tenebre.

Il 28 ottobre 1965 il pontefice Paolo VI promulgò  il decreto "Nostra aetate" (Il nostro tempo) contenente la “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, voluta dal Concilio Vaticano II.  Nella parte riguardante la religione ebraica si dice  che il popolo del Nuovo Testamento (i cristiani) è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo (gli israeliti). 
La Chiesa cattolica ricorda che Gesù ed i suoi apostoli nacquero dal popolo ebraico e che il patrimonio spirituale  è comune a cristiani e ad ebrei.
Contro la tradizionale accusa di “deicidio” rivolta per secoli  dalla Chiesa contro i “perfidi giudei”, il Concilio Vaticano II  afferma:   “E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua Passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.”


La consapevolezza di avere un patrimonio comune a entrambe le religioni ha messo in secondo piano quelle differenze nella conoscenza della verità cristiana, che sono ricordate con la metafora delle tenebre.

Nel 1970, quando papa Paolo VI introdusse la  celebrazione della Messa nella lingua nazionale, la preghiera fu modificata nel modo seguente: “Il Signore Dio nostro, che li scelse (gli Ebrei) primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza. Dio Onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della Redenzione”.

Sulla responsabilità effettiva per la crocifissione e morte di Gesù ci sono due interpretazioni da parte degli studiosi. Per alcuni il procedimento penale davanti alla massima autorità giudaica, il sinedrio, fu intenzionalmente connotato in senso politico per favorirne l’accettazione  dal tribunale romano, l’unico che poteva emettere sentenze capitali. Si tratterebbe, quindi, di una responsabilità effettiva del sinedrio. Per altri, invece, l’organo giudaico istruì solo la causa penale, sostenendo la qualità politica della predicazione e dell’operato di Gesù, perché tale era il convincimento del sinedrio e tale era l’interpretazione data dalla folla. Il tribunale romano, competente in materia, emise la sentenza di morte per Gesù, della quale ebbe la completa responsabilità giuridica e morale.

Si è obiettato che nel trattato “Sanhedrin”, che raccoglie le norme giudaiche antiche riguardo al sinedrio, i processi capitali dovevano essere trattati solo in seduta diurna e nell’aula sinedriale detta “della pietra squadrata”. Perciò la sentenza di quella notte, nel palazzo di Caifa, sarebbe illegale ed invalida. Tuttavia l’evangelista Luca evidenzia che “appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, coi sommi sacerdoti e gli scribi e condussero Gesù davanti al Sinedrio” (Lc 22, 66).
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 17, 2014, 09:16:34
Venerdì santo

L’evangelista Luca narra che “Appena fu giorno (venerdì), si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: ‘Se tu sei il Cristo, diccelo’. Gesù rispose: ‘Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio’.
Allora tutti esclamarono: ‘Tu dunque sei il Figlio di Dio ?’ Ed egli disse loro: ‘Lo dite voi stessi: io lo sono’. Risposero: Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza ? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca’. (22, 66 – 71).
“Tutta l’assemblea si alzò, lo condussero da Pilato (nella fortezza Antonia, vicina al tempio ebraico ) e cominciarono ad accusarlo: ‘Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re’” (23, 1 - 2).

Gesù fu considerato colpevole di bestemmia, un reato per il quale era prevista la pena di morte. Ma il potere di infliggere la pena capitale era riservato ai Romani, perciò  il processo doveva essere trasferito davanti a Pilato. La rivendicazione da parte di Gesù della regalità messianica era un reato politico, che dalla giustizia romana doveva essere punito.

Nella descrizione dell’andamento del processo i quattro vangeli concordano nei punti essenziali. Ma  Giovanni è l’unico che riferisce il colloquio tra Gesù e Pilato, durante il quale viene esaminata la questione circa la regalità di Gesù (18, 33 – 38)
Ma chi erano gli accusatori ? Chi ha insistito per la condanna a morte di Gesù ? Nelle risposte dei vangeli ci sono delle discordanze. Secondo Giovanni sono i “Giudei”. Ma questa espressione non significa il popolo d’Israele. In Giovani tale espressione designa l’aristocrazia del tempio (7, 50 ss).

Alcuni studiosi preferiscono la versione giovannea, anche perché presumono improbabile che il processo si sia svolto di notte. Secondo Giovanni la riunione del sinedrio per condannare Gesù  si tenne nella “Domenica delle palme” e non in sua presenza: durante questa riunione i sacerdoti decisero di punirlo con la morte, mentre dopo l'arresto avvenne solo un interrogatorio da parte del sommo sacerdote prima di condurlo, all'alba, da Pilato.

Quel venerdì era il giorno della Parasceve (Gv 19, 14),  cioè della preparazione delle cose necessarie per la festa di Pasqua: nel pomeriggio dovevano essere immolati gli agnelli per il banchetto serale e si esigeva la purezza rituale, perciò i sacerdoti accusatori non dovevano accedere nel pretorio pagano;  parlarono con il governatore romano davanti l’edificio.

 “Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: ‘Che accusa portate contro quest’uomo ?’ Gli risposero: ‘Se non fosse un malfattore , non te l’avremmo consegnato?. Allora Pilato disse loro: ‘Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge !’
Gli risposero i Giudei: ? A noi non è consentito mettere a morte nessuno’”(Gv  18, 29 – 31).

“ Pilato allora rientro nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: ‘Tu sei il re dei Giudei’. Gesù rispose: ‘Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto ?’ Pilato rispose: ‘Sono io forse Giudeo ? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto ?’ Rispose Gesù: ‘Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù’. Allora Pilato gli disse: ‘Dunque tu sei re ?’ Rispose Gesù: ‘Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo; per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la  mia voce’. Gli dice Pilato: ‘Che cos’è la verità ?’
E detto questo usci di nuovo verso i Giudei e disse loro: ‘Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei ?’ Allora essi gridarono di nuovo: ‘Non costui, ma Barabba !” Barabba era un brigante. (Gv 18, 33 – 40).
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: ‘Salve, re dei Giudei !’ E gli davano schiaffi.
Pilato intanto uscì di nuovo e disse loro: ‘Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa’. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: ‘Ecco l’uomo !’. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo !’. Disse loro Pilato: ‘Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa’. Gli risposero i Giudei: ‘Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio’. (Gv  19, 1 – 7)

Secondo Luca il governatore romano Ponzio Pilato domandò a Gesù: “Sei tu il re dei Giudei ?” Ed egli rispose: ‘Tu lo dici’.
Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: ‘Non trovo nessuna colpa in quest’uomo’. Ma essi insistevano: ‘Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui’.
Uditò ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode (Antipa) lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo  fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli  rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.
Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.  (23, 3 – 11).   
Luca aggiunge: “Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: ‘Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò’.  Ma essi si misero a gridare tutti insieme: ‘A morte costui ! Dacci libero  Barabba !’ Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: ‘Crocifiggilo, crocifiggilo !’. Ed egli, per la terza volta, disse loro: ‘Ma che male ha fatto costui ? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò’.
Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.
Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio  e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.” (23, 13 – 25).

Per l’evangelista Marco il gruppo degli accusatori facevano parte del sinedrio e nel contesto dell’amnistia pasquale si associò ad essi la “massa” dei sostenitori di Barabba. Invece i seguaci di Gesù per paura rimasero nascosti.

Secondo Giovanni l’interrogatorio di Gesù da parte di Pilato si concluse "verso mezzogiorno", ma per i sinottici il processo davanti all'autorità romana fu più breve.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 18, 2014, 07:47:54
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La regalità che Gesù  rivendicava era quella del regno di Dio,  che non minacciava il potere costituito dell’impero romano ma quello del sinedrio, perciò Pilato presenta Gesù come candidato per l’amnistia pasquale, cercando in questo modo di liberarlo.

Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) nel suo libro “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, evidenzia che chi viene proposto come candidato per l’amnistia è di per sé già condannato, e Gesù ancora non era stato condannato in modo definitivo. Se alla folla spetta il diritto di scelta tramite acclamazione, allora dopo il suo pronunciamento è da considerare come condannato colui che essa non ha scelto. In questo senso nella proposta per la liberazione tramite amnistia è tacitamente inclusa la condanna.

Il confronto tra Gesù e Barabba ed il significato teologico di tale alternativa. L’evangelista Giovanni qualifica Barabba un “brigante” (18, 40), ma nel contesto politico di allora la parola greca da lui usata aveva anche il significato di “terrorista”, oppure di “combattente della resistenza”. Che questo fosse il significato inteso è evidente nel racconto di Marco: “Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio” (15, 7).

Il nome “Barabba” significa “figlio del padre”. Anche costui era considerato un individuo messianico, ma tra Gesù e lui Pilato preferisce salvare  Cristo, esaltato ma non violento. Però la folla e l’aristocrazia del tempio vogliono un’altra soluzione.
Giovanni dice: “Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare” (19, 1). La flagellazione era la punizione che nel diritto penale romano veniva inflitta come castigo concomitante la condanna a morte. Ma in Giovanni la flagellazione appare come un atto posto durante l’interrogatorio. Il condannato veniva flagellato dagli aguzzini finché la carne diventava come brandelli sanguinanti.

Il "terzo atto" è  raccontato dall’evangelista Matteo in questo modo: “Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio  e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto (perché sanno che egli pretende di essere re) e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella (mano) destra (come simbolo dello scettro regale); poi, mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: ‘Salve re dei Giudei !’. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.
Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo” (27, 27 – 31). 

Ecce homo” (Gv 19, 5). Ecco l’uomo !: è la frase che Ponzio Pilato ha rivolto ai Giudei nel momento in cui ha mostrato loro  il flagellato Gesù nella sua umanità ma anche la disumanità del potere verso l’impotente.  "Ecce Homo": come se Pilato volesse dire: "Eccovi l'Uomo, vedete che l'ho punito?" Ma la pena inflitta non fu considerata sufficiente,  il sinedrio lo voleva morto e lo fece crocifiggere.
     
Come già detto in alri post,  le motivazioni che indussero le autorità religiose ebraiche a decidere la morte di Gesù furono molteplici:

le ricorrenti contestazioni di Cristo ai Farisei che rappresentavano le autorità religiose nelle sinagoghe in Palestina; criticò pubblicamente la loro ipocrisia chiamandoli "ciechi e guide di ciechi" (Mt15,14), "serpenti e razza di vipere" (Mt23,33) e rivolgendo loro il celebre epiteto ingiurioso di "sepolcri imbiancati" (Mt23,27).

Anche i Sadducei, classe sacerdotale aristocratica che gestiva il culto e gli affari economici del tempio di Gerusalemme, furono oggetto delle critiche di Gesù che li accomunò ai Farisei (Mt16,6;22,29). L'apice di questo scontro fu l'episodio della cosiddetta purificazione del tempio.

Gesù violò in alcune occasioni il precetto del riposo sabbatico (Mt12,11-13pp.;Gv5,9;9,14-16), l'astensione da attività lavorative il sabato, attirandosi le critiche dei Giudei (Gv5,16).

Il movimento originato da Gesù avrebbe potuto sconvolgere l'equilibrio politico nei rapporti tra gli occupanti Romani e  la classe aristocratica sadducea.

Oltre a proclamarsi messia, fatto non punibile per morte, Gesù si pone allo stesso livello di Dio: è questo il motivo formale che permette al sinedrio di decretarne la morte per bestemmia (Gv 11, 47 - 48).
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 19, 2014, 06:50:54
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Dopo averlo fatto flagellare, Pilato abbandonò Gesù alla volontà popolare che lo voleva morto sulla croce: “Crocifiggilo, crocifiggilo !” (Lc 23, 21).

Cristo, come altri condannati alla morte in croce a Gerusalemme,  fece il tragitto di circa 700 metri dal pretorio nella fortezza Antonia al luogo delle esecuzioni sul Golgota, situato fuori dalla cinta muraria urbana dell’epoca.

Per immaginare realisticamente il trasferimento di Gesù è importante dimenticare l’iconografia che lo  rappresenta mentre trascina una pesantissima croce. Egli portava sulle spalle solo il ”patibulum”, il braccio trasversale della croce, che poi veniva affisso con lunghi e grossi chiodi allo “stauros” (detto anche stipes), che è il palo di legno verticale conficcato nel terreno su quel dosso denominato Golgota in lingua aramaica, tradotto nella lingua latina col lemma “Calvarium”, che significa “luogo del cranio”, forse  per la forma di quello sperone roccioso, ormai inglobato nella basilica del Santo Sepolcro. 

(http://www.licoc.org/ACTS/Jesus_with_patibulum.jpg)
Gesù ha le braccia legate sul patibulum che sorregge sulle spalle.

Durante il cammino “incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prendere su di sé la croce di lui" (Mt 27, 31-32). Anche l’evangelista Marco (15, 21)  dice che Simone portò la croce (il solo patibulum) nella strada che è nella “città vecchia” ed è denominata dai cristiani la “via dolorosa”, ipotizzata circa due secoli fa e comunque i resti di quella originale è sepolta alcuni metri sotto l’attuale livello stradale.

Gesù era accompagnato da un corteo di persone, fra le quali un centurione romano che aveva l’incarico di ”exactor mortis”, cioè responsabile della morte sulla croce di Cristo, condannato al ”supplicium”, la pena riservata a schiavi e rivoluzionari antiromani. C’erano anche quattro soldati  di scorta armati di lancia e la folla di curiosi. 

I condannati a morte di solito arrivavano stremati nel luogo dell’esecuzione, perché venivano in precedenza sottoposti alla tortura col flagello, il  flagrum,costituito da un manico al quale erano legate delle strisce di cuoio, alle cui estremità c’erano palline di piombo o punte metalliche acuminate.

Le antiche descrizioni narrano che molti morivano durante la flagellazione, perché il corpo veniva lacerato dalle sferzate.
(http://www.cristiani.altervista.org/teologia/sindone/immagini/vecchie/flagellazione.gif)

Per ignoranza o falsità dei clerici, per secoli  alle inconsapevoli popolazioni fu fatto credere, anche tramite i dipinti, che la croce portata da Gesù era composta dal patibulum già affisso sullo stauròs.  Ciò è possibile ? Il palo doveva essere lungo all’incirca quattro metri e mezzo compresa la parte che doveva essere interrata sul Golgota; il suo peso era di circa 180 chili, a seconda del tipo di legno. E' in grado una persona normale portare e non trascinare tale croce sulle proprie spalle? No ! Se  la croce viene trascinata gran parte del suo peso grava sull'estremità che struscia sulla strada e  l'attrito col terreno rende la croce ancora più pesante, quasi impossibile per un individuo. In realtà lo stauròs era e rimaneva sul luogo dell'esecuzione per essere riutilizzato ed il condannato portava sulle spalle soltanto il “patibulum”, di circa due metri ed il peso medio di 40 kilogrammi.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 20, 2014, 00:19:40
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Un’altra bugia propagandata dalla Chiesa e dal  clero ha attraversato i secoli approfittando della credulità popolare e dell’enorme analfabetismo diffuso fino alla prima metà del secolo scorso.

La bugia cui mi riferisco riguarda Veronica (questo nome significa “vera immagine”: da “ver + icona –iconica), la donna che, secondo la leggendaria tradizione,  con un velo  asciugò il volto di Gesù, intriso di sudore e di sangue, mentre Egli andava verso il Golgota.

Su quel panno di lino, detto il “velo della Veronica” sarebbe rimasta l’impronta del viso di Gesù, ma tale fatto non è citato nei Vangeli, però quella stoffa è considerata “reliquia cristiana”, una delle tante del  fiorente commercio delle reliquie in Europa. Il possesso dell’originale “velo della Veronica” è vantato da numerose località:

un'immagine è conservata presso la basilica di san Pietro in Vaticano, altre sono: nel Monastero dei Ss. Cosma e Damiano in Tagliacozzo (Aq); nella Cappella Matilde in Vaticano; nel Palazzo Hofburg, a Vienna; nel Monasterio de la Santa Faz, ad Alicante, in Spagna, ed un'altra ancora in Spagna, nella cattedrale  di Jaén; nella chiesa di san Bartolomeo degli Armeni, a Genova; a Manoppello (prov. di Pescara) nel santuario del Volto Santo.

L’1 settembre  del 2006 papa Benedetto XVI si recò in visita nel santuario del “Volto Santo” a Manoppello, accolto dal vescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, dai vescovi della Regione ecclesiastica Abruzzo-Molise, dai sacerdoti della diocesi teatina e da 7000 fedeli. In questo santuario quel pontefice venerò l'immagine, ma senza dire nulla sulla veridicità o meno dell’icona su tela. E’ comprensibile, la Chiesa cattolica per sopravvivere non può smentire ciò che per secoli ha fatto credere come vera.
   
La leggenda della Veronica fece la sua comparsa in un testo apocrifo facente parte del cosiddetto “ciclo di Pilato”, che  comprende  alcuni scritti apocrifi di varia datazione: lettere, relazioni, tradizioni e racconti riguardanti Ponzio Pilato.
Nel racconto riguardante la “morte di Pilato” si narra che “l’imperatore Tiberio è affetto da una grave malattia e, avendo sentito parlare di un medico di nome Gesù, lo fa chiamare. Un suo dipendente di nome Volusiano si reca da Pilato che gli dice di averlo crocifisso, essendo un malfattore. Volusiano incontra poi la Veronica che gli parla di un panno da lei dato a Gesù mentre stava predicando e sul quale era rimasto impresso miracolosamente il suo volto. Veronica va a Roma e mostra a Tiberio il panno che guarisce istantaneamente. Tiberio ordina l'arresto e la condanna a morte di Pilato che si uccide accoltellandosi. Il suo corpo è gettato nel Tevere, poi nel Rodano a Vienne e quindi è portato a Losanna”.

Sono queste cose assurde propagandate per secoli come vere a ritorcersi contro la Chiesa. La costringono a dare spiegazioni e non sapendo cosa dire o per non ammettere di aver diffuso bugie si appella ai misteri di fede. Ma così facendo allontana molte persone, specie i giovani, che la domenica preferiscono frequentare i centri commerciali anziché partecipare alla Messa, ripetitiva e noiosa.

L’inesistente Veronica che asciuga il viso a Gesù  è venerata come santa dalla Chiesa cattolica.   









Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 21, 2014, 00:07:53
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Quando i condannati alla crocifissione erano più di uno venivano legati fra di loro e  venivano legate fra di loro le estremità destre di tutti i patiboli. Ogni condanna¬to poi oltre ad avere l'estremità sinistra del suo pati¬bolo legata al proprio piede sinistro, l'aveva anche legata al piede destro del condannato che precedeva.

(http://www.preghiereagesuemaria.it/images/la%20san2.jpg)

Sul luogo dell’esecuzione il condannato veniva inchiodato o legato sul patibulum. 

(http://www.preghiereagesuemaria.it/images/la%20san21.jpg)

Poi la trave orizzontale insieme al corpo del condannato venivano sollevati con le funi   e collocati sullo stauros o stipes, la trave verticale, già infissa al suolo. La fase successiva era l’inchiodatura dei piedi. 

(http://www.adolphus.nl/xus/antonius/kruistau/kruispat01.jpg)

 
(http://img.disegnicolorare.com/gesu-crocifisso-tra-due-l_4a0b07362a951-p.gif)

L’evangelista Luca ci fa sapere che “Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra” (23, 33).

Secondo i vari vangeli Gesù sulla croce disse sette frasi:

la prima fu la richiesta di perdono per coloro che lo trattavano in modo ignobile: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).

A Maria, sua madre, disse:  “Donna, ecco tuo figlio”. E al discepolo Giovanni: “Ecco tua madre” (Gv 19, 26 – 27).

Al malfattore pentito, crocifisso accanto a lui: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43).

“Elì, Elì, lema sabactani ? (= Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” (Mt 27, 46; salmo 22, 2).

“Ho sete !” (Gv 19, 28).

“Tutto è compiuto !” (Gv 19, 30).

“Padre, alle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23, 46; salmo 31, 6).
 
Gesù ebbe sete e gli diedero da bere la “posca”, bevanda di vino blandamente anestetica, miscelata con fiele,  o, come dice Marco, con la mirra; Egli l’assaggiò ma non la volle bere. 
La posca nell’antica Roma era un’economica bevanda  dissetante e disinfettante ottenuta miscelando acqua e aceto.
 
(http://www.newnotizie.it/wp-content/uploads/2013/11/Gesù-processo-e-crocifissione-legali-294x205.jpg)

Gli evangelisti raccontano che i quattro soldati incaricati della morte di Gesù si divisero le sue vesti tirandole a sorte, come previsto dall’usanza romana, secondo cui le vesti del giustiziato spettavano al plotone d’esecuzione.

“E sedutisi, gli facevano la guardia”  (Mt 27, 36) durante la sua agonia.

Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: ‘Questi è Gesù, il re dei Giudei’.

Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: ‘Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso ! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce’. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: ‘Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. E’ il re di Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuole bene. Ha detto infatti: ‘Sono Figlio di Dio !’. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo” (Mt 27, 32 – 44).   Ma uno dei due intuisce il “mistero” di Cristo e lo prega: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23, 42). La risposta di Gesù va oltre la richiesta. Al posto di un futuro indeterminato pone ilo suo “oggi”: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43). Così nella storia della devozione cristiana il cosiddetto “buon ladrone” è diventato l’immagine della speranza, della consolazione della misericordia di Dio   
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: nihil - Marzo 21, 2014, 07:03:32
Gesù crocefisso con i due ladroni. Allora dovevano essere tre, visto che Barabba fu lib erato?
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 21, 2014, 07:50:21
Citazione
Gesù crocefisso con i due ladroni. Allora dovevano essere tre, visto che Barabba fu liberato?

Secondo i vangeli Barabba non era un ladro, ma un “sovversivo” e/o assassino che si opponeva al potere dei Romani in Palestina.
I vangeli ci raccontano solo di “Bar – abbà” (= figlio del padre) e dei due ladroni come contorno alla drammatica Passione di Jesus, ma quel giorno i giudicati alla “summa supplicia” forse furono di più.
Nel diritto romano la locuzione “summa supplicia” indicava le pene capitali eseguite con modalità atroci, come la “damnatio in crucem”: il supplizio della crocifissione.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: nihil - Marzo 21, 2014, 08:02:48
vorrei aggiungere una cosa nata dal fatto che io atea un  giorno mi sono chiesta chi fosse in realtà Gesù. Lessi allora La vita di Gesù, scritta da Renan, cardinale poi scomunicato per questo libro, tra l'altro pure noioso, ma che alla fine mi ha fatto innamorare di Gesù, un modernissimo figlio dei fiori.
Insomma, alla fine, secondo Renan, Barabba e Gesù erano nomi comunissimi e vuole il caso che anche Gesù si chiamasse di secondo nome Barabba.
Quando il popolo chiese di liberare Barabba, fu liberato il ladrone, ma il popolo intendeva Gesù Barabba.
Vi immaginate dunque se Gesù fosse stato liberato? Il cristianesimo non sarebbe esistito, il ragazzo sarebbe stato un ragazzo qualunque un poco sfigato, un poco sovversivo, un poco innovatore, ma...non il figlio di Dio. Credo dunque che il disegno di Dio ( se mai ci fu un disegno) potesse compiersi solo con la morte di Gesù, con questa chiusura del cerchio. Se così fu, fu il vero miracolo, il vero sacrificio.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 22, 2014, 00:35:07
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L’evangelista Giovanni ci riferisce che “I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: ‘Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca’
Così si adempiva la Scrittura: ‘Si son divise tra loro le mie vesti / e sulla mia tunica ha gettato la sorte.’ (salmo 22, 19; numerazione greca: salmo 21).

Matteo invece  narra che quel venerdì “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra (27, 45). Anche in questo caso, e come al solito, l’evangelista cerca appigli inesistenti  nei profeti dell’Antico Testamento. Infatti il profeta Amos scrisse: “In quel giorno farò tramontare il sole a mezzogiorno…” (8, 9).

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava (l’evangelista ed apostolo Giovanni) disse alla madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio !’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua madre !’. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: ‘Elì, Elì, lemà sabactani ?’ che significa “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato ?” ( Mt 27, 46; Mc 15, 34).

Come poteva il Figlio di Dio essere abbandonato da Dio ?  Nel suo grido Gesù usa l’incipit del salmo 21 (il 22 nella numerazione greca usata dalla Chiesa cattolica):   “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? / Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido ! / Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; / grido di notte, e non trovo riposo”.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: ‘Ho sete’ (salmo 21, 16). L’evangelista Giovanni dice che “Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca (19, 30).  Invece secondo Matteo  “E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: ‘Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo !’ (27, 48 – 50).

Perché dissero: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo !”

Chi era Elia ?  Nella tradizione ebraica è il profeta assunto in cielo per essere in comunione con Dio (2 Re 2, 1 – 13) e che tornerà per annunciare l’arrivo del messia ed il giudizio finale. Perciò nella cena pasquale ebraica, l’haggadah di Pesach, si usa mettere in tavola il cosiddetto “calice di Elia”, tenuto colmo perché si spera che egli venga a comunicare l’arrivo del Messia attraverso la porta di casa lasciata socchiusa.

Quando Gesù in croce grida la prima frase del salmo 22 in una mescolanza di lingua ebraica ed aramaica “”Elî, ’Elî, lemâ sabactanî, la folla che assiste confonde quell’’Elî, ’Elî come un’invocazione rivolta al profeta protettore dei moribondi. Secondo gli evangelisti Matteo e Marco le persone circostanti la croce di Gesù non compresero l’esclamazione di Gesù e l’interpretarono come un grido verso Elia anziché come grido d’angoscia per l’assenza di Dio o per il suo nascondimento.

E dopo  aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: ‘Tutto è compiuto !’ E, chinato il capo, spirò” (Gv 19, 30).

E Gesù, emesso un alto grido, spirò.” (Mt 27, 48 – 50).   

Gesù morì alle tre del pomeriggio di venerdì 7 aprile dell’anno 30 oppure del venerdì 3 aprile dell’anno 33.

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero lo spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però a Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19, 23 – 34). 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 24, 2014, 07:28:01
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I quattro evangelisti ci parlano (ognuno a suo modo e con delle discordanze) delle donne presenti alla crocifissione di Gesù. Questa diversificazione riguarda anche alcune che avevano il  nome Maria. I tre sinottici non citano la presenza della madre del Nazareno, affermata invece da Giovanni.

Matteo presenta tre donne ai piedi della croce: due di esse si chiamano Maria (Maria di Magdala e Maria la madre di Giacomo e Giuseppe), della terza non viene riferito il nome. La madre di Gesù non viene menzionata: “C’erano là anche molte donne che stavano ad osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo (27, 55 – 56).

Marco informa che “C’erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses, e Salome, le quali, quando (Gesù) era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (15, 40 – 41). La sostanziale identità tra i racconti di Marco e Matteo si spiega con il fatto che  Matteo avrebbe usato Marco come fonte per la stesura del proprio testo.

Luca ci fa sapere che c'erano delle donne che assistevano alla scena, ma non riferisce né il loro numero, né il loro nome. Nel tragitto verso il Calvario, Gesù “Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: ‘Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.’” (23, 27 – 29). E al momento della morte di Cristo “Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fino dalla Galilea, osservando questi avvenimenti” (23, 49).
     
Invece l’evangelista  Giovanni ci racconta che prima di spirare sulla croce Gesù gli affidò la madre.  Si deduce  che Maria, la madre di Gesù, e l’apostolo Giovanni erano presenti alla crocifissione di Cristo. Ma la testimonianza del vangelo giovanneo  è sospetta perché  lo coinvolge come protagonista. Comunque sia, egli elenca tre donne che si chiamano Maria: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (19, 25). Da queste deriva  l'espressione tradizionale  “le tre Marie".

Alcuni esegeti  identificano la discepola Maria di Cleofa con la madre di Giacomo il Minore e Giuseppe (=Joses), oltre che ad identificare Salome come madre dei figli di Zebedeo.

Fu una discepola di Gesù anche Maria  di Magdala, detta pure Maria Maddalena, perché il nome Maddalena deriva da Magdala, una piccola città sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade, denominato “Mare di Kinneret “ nell’Antico Testamento (Numeri 34,11) e (Giosuè 13,27). Nel Nuovo Testamento è chiamato lago o mare di Galilea, o di Tiberiade o di Gennèsaret: Galilea dal nome della regione in cui si trova; Tiberiade dal nome della città fondata da Erode Antipa nel 20 d.C. circa  sulla riva nord  del lago per onorare l’imperatore Tiberio;  Gennèsaret dal nome di una piccola pianura fertile situata sulle coste occidentali del lago, conosciuto per essere stato, secondo i Vangeli, l’area della predicazione itinerante di Gesù.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 25, 2014, 06:37:19
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Quando morì Gesù era l’ora in cui venivano immolati gli agnelli per la Pasqua ebraica.

Anche  l’’uccisione di Cristo simboleggia l’agnello pasquale profetizzato da Giovanni il Battista quando battezzò Gesù nel fiume Giordano: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29). La frase rimase incomprensibile perché era un’allusione misteriosa a qualcosa di futuro poi diventato realtà: Gesù, "agnello sacrificale" scelto da Dio.

Nell'antica tradizione ebraica il sommo sacerdote imponeva le mani su un agnello, che veniva scelto come "capro espiatorio"  per caricarlo simbolicamente  dei peccati degli individui, poi l'animale veniva sacrificato.

Pure Gesù, il "senza peccato", con la sua morte sulla croce assunse simbolicamente su di sé   i peccati del mondo, anzi   "il peccato" del mondo, quello originario dell'uomo-Adamo, che non si fidò di Dio.

Nel salmo 34 si legge: “Molti sono i mali del giusto, ma da tutti lo libera il Signore” (verso 20). Ne era convinto Giuseppe d’Arimatea, che “aspettava il regno di Dio”. Quest’uomo era un autorevole esponente del sinedrio e segreto discepolo di Gesù, dicono i quattro evangelisti ma con dettagli diversi.

Giuseppe di Arimatea (l’antica Rama di Efraim, l’attuale Rentis) la sera di quel venerdì andò da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.

Secondo la prassi romana i morti in croce dovevano restare sul patibolo fino alla consunzione del cadavere, profanato dagli avvoltoi. Invece la legge biblica ordinava di seppellire al tramonto in una fossa comune i condannati a morte (Deuteronomio 21, 22–23). Perciò era possibile che i parenti o una personalità autorevole richiedessero la salma del crocifisso per la sepoltura privata. E la richiesta di Giuseppe d’Arimatea rientrava nella consuetudine giudiziaria giudaica.

L’evangelista Marco riferisce che Pilato alla richiesta di Giuseppe si meravigliò che Gesù fosse già morto. Chiamò il centurione responsabile dell’esecuzione e gli chiese se la notizia era vera. Ebbe conferma della morte e concesse la salma all’arimateo, che acquistò un lenzuolo e fece calare il corpo di Gesù dalla croce per deporlo in un sepolcro.(15, 44 s).

(http://www.infotdgeova.it/img/crucif.gif)

L’evangelista Giovanni dice  che Giuseppe d’Arimatea andò a prendere il corpo di  Gesù insieme con  il fariseo Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, citato per tre volte da Giovanni, nei capitoli 3, 7 e 19.  Nicodemo “portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre (circa 34 chilogrammi). Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende (teli), insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei.
Ora nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo di cui era proprietario Giuseppe e nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino” (19, 39 – 42). Nell'imminenza del sabato e dell’ebraico riposo festivo che inizia la sera del venerdì, era proibito dalla legge toccare cadaveri.

Ma ciò che dice Giovanni della spalmatura degli oli aromatici sul corpo senza vita di Gesù il venerdì prima della sepoltura nella stessa sera è contraddetto da Luca e Marco. Secondo i due evangelisti il rituale funebre  della lavatura della salma e della spalmatura degli aromi venne rinviato alla domenica mattina.

Il sabato le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea osservarono il riposo come era prescritto (Lc 23, 56).

Dopo il riposo sabbatico, al mattino del primo giorno della settimana (la domenica) esse andarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù ed effettuare la sepoltura definitiva.  (cfr. Lc. 23, 56; Mc. 16, 1-2). 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 26, 2014, 09:59:22
Soltanto l’evangelista Giovanni dice che anche Maria, la madre di Gesù, fu al cospetto del Figlio crocifisso. Ma la sua presenza fu inattiva. Il vangelo giovanneo non riferisce la reazione emotiva di questa donna: pianse ?  Gridò ?  Maledi il sinedrio e/o a Pilato ? 

La speculazione teologica  fece immaginare Maria come mater dolorosa, che assiste, secondo la versione giovannea, alla crocifissione, alla deposizione e alla sepoltura del figlio (19, 25 – 27).  Ma la sua presenza in quella circostanza suscita dubbi, perché non menzionata nei tre vangeli sinottici. E questi non citano nemmeno Giovanni fra i presenti all’esecuzione mortale di Cristo.

Alcuni dei cosiddetti  Padri della Chiesa,  Ambrogio, vescovo di Milano, ed Agostino, vescovo di Ippona,  già nel IV secolo  collegarono il dolore della Vergine per la morte del Figlio con la profezia di Simeone a Maria durante la presentazione del neonato Gesù nel Tempio di Gerusalemme ”…E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). Ma fu il monaco cistercense Bernard de Clairvaux (Bernardo di Chiaravalle, 1090 – 1153) che cominciò a far diffondere il culto per la “Madonna addolorata”, la ”compassio virgini”. Notevole incremento a tale culto fu dato dalla prima metà del  XIII secolo dall’Ordine religioso dei “Servi della Beata Vergine Maria” (Ordo Servorum Beatae  Virginis Mariae) – i “Serviti”- e dalla loro “Compagnia di Maria Addolorata”.

I “Servi di Maria” nel XIV secolo non si limitarono alla profezia di Simeone come dolore di Maria per il Figlio morto in croce, ma nel tempo ampliarono a sette i “dolori” per la Madre di Dio, corrispondenti ad altrettanti episodi narrati nei Vangeli:

- la profezia del vecchio Simeone a Maria durante la presentazione di Gesù Bambino al Tempio ebraico di Gerusalemme;

- la fuga in Egitto di Giuseppe e Maria con il Bambino per salvarlo dalle minacce di morte da Erode;

- lo smarrimento di Gesù all’età di 12 anni durante un pellegrinaggio con i genitori a Gerusalemme;

- l’incontro di Maria con Gesù sulla via verso il Calvario;

- la presenza di Maria sul Golgota durante la crocifissione e morte di Gesù;

- la deposizione di Cristo dalla croce;

- la sepoltura di Gesù.

Dai sette episodi evangelici nacque la duplice iconografia dell’Addolorata: La Madonna trafitta nel cuore da una sola spada se il riferimento è soltanto alla profezia di Simeone, altrimenti da sette spade, una per ogni episodio doloroso; il fazzoletto nella mano per asciugare gli occhi che piangono; il vestito nero simbolo del lutto.

(http://www.pagineabruzzo.it/thumbs-pp/data/image/CRONACA/2011/05/madonna_sette_dolori.jpg~T)

Nell’ambito letterario il  “Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius” di  autore ignoto,  stimolò la composizione in varie lingue del “Pianto della Vergine”. Una delle testimonianze italiane degli inni religiosi di quel tempo è lo “Stabat Mater”,  in latino, attribuito a Jacopone da Todi: “Stabat Mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat filius / …” ("Stava la madre dolorosa, piangendo vicino alla croce, dalla quale pendeva suo Figlio).
Jacopone da Todi compose in lingua volgare anche alcune  ”laude”:  sono componimenti poetici d’argomento religioso ispirati dalla liturgia. Le laude venivano raccolte nei “laudari”, custoditi dalle confraternite dei “laudesi”, e recitate in particolare nel periodo pasquale.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 27, 2014, 00:29:47
Il Venerdì Santo  si commemora la Passione e la morte di Gesù sulla croce. La Chiesa cattolica obbliga i fedeli al digiuno ecclesiastico e l’astensione dalle carni nel menu. La liturgia prevede il rito della “Via Crucis” (= Via della Croce) che commemora il  percorso di Cristo dal pretorio verso il Golgota.

Nei secoli scorsi chi poteva economicamente andava in pellegrinaggio a Gerusalemme per la visita dei luoghi dove Gesù aveva sofferto ed era stato messo a morte.

Per andare incontro alla religiosità popolare delle classi sociali economicamente marginali che non potevano pagare il viaggio fino a Gerusalemme, il frate minore Leonardo da Porto Maurizio (al secolo Paolo Girolamo Casanova, 1676 – 1751) ideò e propagò nelle chiese francescane la “Via Crucis,  articolata in 14 “stazioni”, in ognuna di esse c’è un quadro  che rappresenta un evento della Passione di Cristo dal pretorio al Golgota. 

Il 3 aprile 1731 papa Clemente XII promulgò il documento "Monita ad recte ordinandum devotum exercitium Viae crucis", con il quale determinò la sequenza delle 14 "stazioni" devozionali, a ciascuna delle quali è tradizionalmente associato un significativo momento del cammino di Cristo verso la croce.
Il pontefice Clemente XII non limitò le evocazioni artistiche della "Via Crucis" solo nelle chiese officiate dai Francescani, ma le concesse anche a quelle officiate da altri Ordini religiosi.

Alcuni anni fa la Via Crucis fu completata con l'introduzione della “Via Lucis”  (= Via della Luce), con la quale viene ricordata la vita di Cristo tra la sua Risurrezione e la Pentecoste.

Nella Chiesa cattolica il pio esercizio della Via Crucis è connessa con l'indulgenza plenaria  ai partecipanti, ma a  determinate condizioni.  Per ottenere l'indulgenza, i fedeli devono pregare sostando in ciascuna stazione, meditando sul mistero della Passione.

A Roma, il pontefice presiede la tradizionale "Via Crucis" dal Colosseo alle pendici del Palatino.

(http://www.cronacalive.it/wp-content/uploads/29-mar-venerdì-santo.jpg)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 28, 2014, 00:35:27
La Passio Christi nel dramma sacro medievale

In epoca paleocristiana, superato il dilemma della celebrazione della Pasqua nel giorno della morte o della risurrezione di Cristo, cominciò la progressiva “drammatizzazione” della liturgia, con modalità espressive simili al rito-spettacolo.
Se ne ha testimonianza da documenti dell’epoca, come le note di viaggio della pellegrina Egeria, che forse era una nobile spagnola. Nella settimana di Pasqua dell’anno 384 ella era a Gerusalemme e partecipò alle funzioni religiose nei luoghi della passione, morte e risurrezione di Gesù.

Tra il IV ed il X secolo la liturgia pasquale occidentale fu integrata da testi religiosi strutturati per il dialogo e la mimica tra due o più presbiteri, al fine di migliorare la comprensione da parte dei fedeli.

Alcune modalità della liturgia cattolica medievale del periodo di Pasqua furono influenzate da quelle orientali, bizantine. Ne sono un esempio gli ”stichi”, versetti dialogati del salmo 67, intercalati con gli ”stichirà”, versi cantati ispirati dalle omelie pasquali.

Simili agli “stichi” erano i ”tropi”, versetti desunti dai Vangeli e cantati in alternanza di toni dopo l’epistola durante la Messa.

Al tropo ”Quem quaeritis”, attribuito al monaco Tutilone ed introdotto nel X secolo nel rituale della Messa pasquale, si fa convenzionalmente risalire l’inizio del ”dramma sacro”, cosiddetto perché la rappresentazione evoca la Passione di Cristo.

”Quem quaeritis ?” (Chi cercate ?). Le due parole evocano la risurrezione di Gesù ed il dialogo tra le pie donne ed un solo angelo (secondo i Vangeli di Matteo e Marco), due angeli secondo i Vangeli di Luca e Giovanni.

L’”Officium Sepulchri” veniva interpretato dai clerici, sia per il ruolo dell’angelo sia nella parte delle pie donne. Dal loro incontro cominciava il dialogo cantato in quattro versi.
Chiede l’angelo: “Quem quaeritis in sepulchro, o christicolae ?” (Chi cercate nel sepolcro, oh fedeli cristiane ?”
Rispondono le pie donne: ”Jesum Nazarenum crucifixum, o caelicola” (Gesù Nazareno che è stato crocifisso, o spirito celeste).
Replica l’angelo: ”Non est hic, surrexit sicut praedixerat. / Ite, nuntiate quia surrexit de sepulchro” (Non è qui, è risorto come aveva predetto. Andate, annunciate che Egli è risorto dal sepolcro).

Poi vennero elaborati nuovi testi, ispirati non solo dai Vangeli canonici ma anche da quelli apocrifi, dai sermoni e dalle vite dei  santi, con conseguente aumento dei personaggi nel dramma liturgico.

La teatralizzazione del dramma sacro pasquale, anche con la partecipazione delle confraternite, ampliò notevolmente la celebrazione religiosa. Lo spazio all’interno delle chiese divenne insufficiente e le sacre rappresentazioni vennero trasferite all’esterno, sui sagrati e poi nelle piazze, dove venivano allestiti i palchi. Però le scene diventarono commistione tra sacro e profano.

Il Concilio di Trento, nel XVI secolo, e la conseguente “Controriforma cattolica” ridussero notevolmente la profusione di riti e distinsero il sacro dal profano nel dramma liturgico. Non vennero più accettati numerosi criteri delle confraternite e furono ridefiniti i modelli di espressione rituale.

Alla “Passio Christi” di tipo teatrale venne preferita la “Via Crucis” e la “processione del Cristo morto” nel “Venerdì Santo”.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Marzo 31, 2014, 11:12:36
Sabato Santo  

La morte di Gesù tolse agli apostoli la speranza di un Messia trionfante. Pensarono di essere stati abbandonati da Dio:  “Dov’è Dio” ? E’ questa la domanda nel Sabato Santo.

In questo giorno non viene celebrata la Messa  ma la liturgia delle Ore: canto di salmi ed inni, preghiere e letture bibliche.

Invece nella tarda serata o nella notte tra questo sabato e la domenica, nelle chiese si svolge il rito della veglia pasquale per ricordare la risurrezione di Gesù Cristo. E’ “la notte di veglia in onore dei Signore” (Es 12, 42),

La veglia pasquale è articolata in quattro parti: liturgia della luce, liturgia della parola, liturgia battesimale e liturgia eucaristica.

La liturgia della luce viene in parte celebrata all’esterno della chiesa, nella quale, dal giorno precedente, il venerdì santo, sono spente le luci e le candele. 

Dalla  chiesa i sacerdoti escono in silenziosa processione e  sul sagrato si dispongono attorno al fuoco che viene acceso entro un piccolo braciere. Dopo il saluto, il celebrante benedice il fuoco e legge la preghiera di benedizione del cero pasquale, che viene acceso per simboleggiare la presenza di Cristo e la vittoria della vita sulla morte.

Sul cero pasquale il sacerdote incide una croce,  sulla quale conficca cinque grani d’incenso:uno al centro  e gli altri quattro alle estremità;  tali grani simboleggiano le cinque ferite subite da Gesù sulla croce: alle mani, ai piedi ed al costato. Poi il prelato sul cero pasquale traccia anche  due grafemi dell’alfabeto greco: alfa ed omega (il principio e la fine)  e le cifre dell’anno.

Dal cero pasquale i fedeli ricevono la fiamma per le loro candele, tale fiamma simboleggia la comunione nel Signore. Poi il diacono (o il sacerdote) prende il cero pasquale e guida la processione all’interno della chiesa, che viene parzialmente illuminata dalle tante candele dei fedeli. Il diacono intona per tre volte il “Lumen Christi” (Cristo la luce) ed i fedeli rispondono “Deo gratias” (rendiamo grazie a Dio).

La frase  “Lumen Christi” evoca alcuni versi biblici, come quello del profeta Isaia che annuncia l’arrivo di Dio in forma di luce: “Il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce: / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse” (Is 9,1).

Anche nel Vangelo di Giovanni c’è scritto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

In chiesa il diacono o, in sua assenza, il sacerdote, incensa il libro dei vangeli ed il cero pasquale  inserito nel  suo candelabro, di solito collocato vicino l’ambone o nel presbiterio, e rimane acceso fino alla Messa vespertina della Pentecoste.

Il presbitero dall’ambone o dal pulpito intona o recita il preconio pasquale, col quale proclama la resurrezione di Gesù Cristo, mentre tutti i presenti stanno in piedi e tengono in mano la candela accesa.
Il lemma preconio deriva dal latino “praeconium”, parola che indica l’araldo, colui che annuncia (in questo caso la risurrezione di Gesù Cristo). Il preconio inizia con il vocabolo “exultet”: “Esulti il coro degli angeli, / esulti l’assemblea celeste:/ un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto”….

Nel rito romano il preconio è affidato al canto del “Gloria in excelsis”. Nel rito ambrosiano, invece, è il sacerdote che proclama l’annunzio “Christus Dominus resurrexit”, cantandolo per tre volte ai tre lati dell’altare: a destra, al centro e a sinistra. In quel momento ricomincia il suono dell’organo, fermo dal periodo quaresimale, e si fanno suonare le campane, che erano state  simbolicamente “legate” alla morte del Signore nel pomeriggio del Venerdì Santo.

Durante il rito oltre ai canti liturgici c’è la musica devozionale, costituita da laudi e da “sequenze”. Una di esse, la più nota, fa parte della liturgia “romana” ed è collocata dopo la lettura del brano di un’epistola dell’apostolo Paolo e prima dell’Alleluja e della lettura del Vangelo.  E’ la sequenza  “Victimae paschali laudes” (= lodi alla vittima pasquale), un canto dell’XI secolo. In essa c’è anche un dialogo tra il coro dei fedeli che cantano e Maria di Magdala, reduce dall’incontro col Cristo risorto nell’alba di Pasqua: “Dic nobis Maria, / quid vidisci in via ? / Sepulchrum  Christi viventis, / et gloriam vidi resurgentis…(= Raccontaci, Maria: Che hai visto lungo la via ?Ho visto il sepolcro del Cristo vivente e la gloria del Cristo risorto…).

Ma il canto pasquale più celebre e l’Alleluia, termine ebraico che si compone dell’imperativo “hallelù”, (lodate) e dell’abbreviazione del nome di Dio impronunciabile “Jah”, cioè Jahweh.
Nell’alleluia pasquale c’è la gioia spirituale e l’esultanza per la risurrezione di Gesù.

Terminato l'annuncio della risurrezione, tutti spengono le candele ed inizia la liturgia della Parola della veglia di Pasqua con letture dell’Antico  e Nuovo Testamento.

Segue la liturgia battesimale: Il sacerdote con i ministri si reca al fonte battesimale,  i fedeli riaccendono la candela e vengono cantate le litanie dei santi. Il  celebrante dopo la preghiera, prende il cero pasquale e lo immerge parzialmente nell'acqua del fonte battesimale, benedicendo l'acqua, con la quale asperge i fedeli. Dopo c'è il rito del battesimo, che ricorda quello ricevuto da Gesù nel fiume Giordano da parte di Giovanni battista.  Il sacerdote celebrante invoca lo Spirito Santo ed amministra l'eventuale battesimo, per purificare l'individuo dal peccato originale.   

Successivamente comincia la  liturgia eucaristica, che commemora l’ultima cena di Gesù, le sue parole e i suoi gesti nel convito pasquale, ma anche la sua crocifissione e la risurrezione. Segue la preghiera eucaristica, i riti della comunione e quelli di conclusione della Messa.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 03, 2014, 11:41:40
Pasqua di risurrezione di Gesù

All’alba della domenica le donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea si recarono al sepolcro di Cristo con gli oli e gli aromi per  imbalsamare il suo corpo. Ma rimasero sconvolte perché la pietra che chiudeva l’apertura della tomba era stata tolta ed il loculo era vuoto. Cosa accadde ? Era risorto, dopo tre giorni nel sepolcro, secondo i quattro evangelisti, ma il loro racconto è discordante nei particolari, per esempio il numero delle donne presenti, il numero degli angeli sul luogo della sepoltura. L'evangelista Giovanni mette in scena la sola Maddalena ma nel versetto successivo (20,2) questa riferisce "non sappiamo dove l'hanno posto", confermando la presenza di più donne al sepolcro.

Non ci furono testimoni della risurrezione di Gesù ma solo posteriori dichiarazioni angeliche e le visioni delle discepole.

E’ dell’anno 56 il più antico riferimento alla risurrezione e alle apparizioni di Gesù.  Però, è ovvio, la religione cristiana considera vero quell’evento, perché la risurrezione di Cristo è compimento, secondo l’interpretazione forzata dei cristiani,  delle promesse dell'Antico Testamento (Lc 24,26-27.44-48) e di Gesù stesso durante la sua vita terrena (Mt 28,6; Mc 16,7; Lc 24,6-7).

Queste sono le narrazioni dei quattro evangelisti su quanto accadde quel mattino della domenica.

Vangelo di Matteo: “Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana (la domenica), Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un grande terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie tremarono tramortite. Ma l’angelo disse alle donne: ‘Non abbiate paura, voi ! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E’ risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: ‘E’ risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete’. Ecco, io ve l’ho detto.
Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Salute a voi !’ Ed esse, avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: ‘Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno’” (28, 1 – 10).

Vangelo di Marco: “Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: ‘Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro ?’.
Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura.
Ma egli disse loro: ‘Non abbiate paura ! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto.
Ora, andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’. Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (16, 1 – 10).

Vangelo di Luca: “Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino (“le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea” 23, 55), si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno’. Ed esse si ricordarono delle sue parole, e, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non cedettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bande. E’ tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto (24, 1 – 12).
   
Vangelo di Giovanni: “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: ‘Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!’.
Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro.  Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide le bende posate per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che  gli era stato posto sul capo,  non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura,  che egli  cioè doveva risuscitare dai morti.
I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.
Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte dei capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: ‘Donna, perché piangi ?’. Rispose loro: ‘Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto’.
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna perché piangi ? Chi cerchi ?’. Essa pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo’. Gesù le disse: ‘Maria !’. Essa allora, si voltò verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbuni !’ (che significa maestro !). Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’.
Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto” (20, 1 – 18).
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 04, 2014, 10:00:46
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Alcune religioni per attrarre seguaci anziché ipotizzare affermano la reviviscenza o la non-estinzione dell'anima del defunto.

Per la fede cristiana la resurrezione dopo la morte è un topos: è il passaggio dal tempo limitato di vita sulla Terra alla vita eterna.

Il cristianesimo induce i fedeli a credere che dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell'ultimo giorno.

L’apostolo Paolo nella lettera ai Romani  scrisse: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi » (Rm 8,11).

La “risurrezione della carne” significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri “corpi mortali” riprenderanno vita. Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini. E la preghiera del Credo in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, afferma la risurrezione dei morti alla fine dei tempi.

(Sebbene sia ampiamente diffusa la parola "resurrezione", dal latino “resurrectionem”,  nella terminologia ecclesiastica si usa il lemma "risurrezione", dal verbo "resurgere” (risorgere). Entrambe le versioni sono corrette ed io le uso). 
 
La risurrezione di Gesù è considerata storicamente vera ed evento fondamentale per il cristianesimo, perciò viene commemorato ogni anno nella Pasqua cristiana e alla domenica.
 
I vangeli ci informano che Gesù risorse dopo tre giorni dalla sua morte sulla croce; lasciò il sepolcro vuoto e si mostrò vivo ad alcune discepole e poi ad altri apostoli. Ma i  vangeli non descrivono i momenti della resurrezione di Gesù, che non ha avuto testimoni. E  per il Risorto fu difficile convincere i suoi discepoli della sua risurrezione, perciò fu costretto a stabilire con loro rapporti diretti, attraverso il contatto (come con l'apostolo Tommaso) e la condivisione del pasto, allo scopo di far loro capire che non era un fantasma (Lc 24,39).

Numerosi esegeti e storici del cristianesimo considerano non veri gli elementi soprannaturali raccontati nei vangeli, come le apparizioni di Jesus post mortem, gli angeli, il terremoto.

Il filosofo tedesco Hermann Samuel Reimarus (1694 – 1768) nel  suo “Saggio sulle principali verità della religione naturale” esclude l'esistenza dei miracoli e dice che furono i discepoli a rubare il cadavere di Gesù per affermare falsamente la sua risurrezione. Tale tesi evoca il versetto dell’evangelista Matteo in riferimento ai sommi sacerdoti del sinedrio “…”i suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato…”(28, 13).

Il tedesco Martin Dibelius (1883 – 1947), religioso protestante e docente di teologia del Nuovo Testamento, osserva che prima della risurrezione gli apostoli e i discepoli stavano nascosti o quasi, mentre dopo le apparizioni di Gesù risorto diventarono audaci. Secondo lui, come per altri,  gli aspetti “soprannaturali” dei racconti evangelici sono “teologumeni”: il teologùmeno è un'ipotesi teologica presentata come fatto storico. 

Il teologo tedesco David Friedrich Strauß (1808 – 1874) nel suo saggio “La vita di Gesù” considera miti e non verità storica le manifestazioni soprannaturali  del Risorto descritte nei vangeli. Per questo teologo i  delusi discepoli s’illusero che Gesù fosse ancora vivo e di averlo visto.
 
Ancora un altro tedesco, il teologo evangelico  Rudolf Karl Bultmann (1884 – 1976) nel suo saggio “Nuovo Testamento e mitologia" prospetta la demitizzazione del messaggio evangelico: il linguaggio mitico dei vangeli comunica una verità inaccessibile alla scienza, perciò il Gesù storico deve essere separato dal Cristo.  Per Bultmann la risurrezione è una verità di fede che fu storicizzata, perché i primi cristiani consideravano Gesù il salvatore atteso che liberava l’umanità dal male, dal peccato e dalla morte.

Per lo scozzese James George Frazer  (1854 – 1941), antropologo e storico delle religioni, la risurrezione di Gesù sarebbe la storicizzazione del mito della divinità che muore e risorge, in analogia con i miti di Osiride, Mitra, Dioniso,  Adone, Attis ed altri.
Nella mitologia dell'Antico Egitto, il dio Osiride, ucciso dal fratello Seth, fu risuscitato dalla moglie Iside e divenne il re dell'oltretomba e il giudice dei morti.
Per la religione degli antichi Egizi, la vita dopo la morte era la sola duratura e la morte costituiva un passaggio a tale vita. Il corpo veniva imbalsamato per preservarlo dalla corruzione e rimaneva nella tomba. Infatti solo se il corpo era intatto, il “Ka”, la forza vitale dell'uomo ed il “Ba”, l'anima, potevano andare nel Paese dei Morti.

Anche il zoroastrismo prevede la risurrezione corporea dei morti per un giudizio finale di Dio: il dualismo etico tra Bene e Male  è alla base di questa religione e si riflette anche sui concetti di Paradiso, Inferno e giorno del giudizio.

Pure nella mitologia greca ci sono personaggi risorti da morte e in alcuni casi c’è l’acquisizione dell'immortalità.
Alcuni teologi protestanti considerano la risurrezione di Gesù un evento spirituale o allegorico.

Gli studiosi non credenti considerano l'evento come non storico ma una leggenda. 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 06, 2014, 00:22:14
Le apparizioni di Gesù evocano le teofanie dell’Antico Testamento.

Nel Nuovo Testamento le Cristofanie avvennero dopo la sua risurrezione e prima della sua Ascensione.

Prima dei quattro evangelisti “canonici” fu Paolo di Tarso nel 55 circa ad elencare alcune apparizioni di Gesù ma non le descrisse: “…Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.
Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.
Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. (1 Cor 15, 3 – 8.)

Invece l’evangelista Matteo racconta che un angelo disse a Maria di Magdala e all’altra Maria che Gesù era risorto. “Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Salute a voi !’. Ed esse, avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: ‘Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno’” (28, 8 – 10). Gli undici discepoli (Paolo dice che erano 12) andarono in Galilea, “sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono davanti; alcuni però dubitavano” (28, 16 – 17).   
 
L’evangelista Luca narra che “…in quello stesso giorno (la domenica di risurrezione) due di loro ( due discepoli) erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (24, 13 – 16).
“Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli (Gesù) fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: ‘Resta con noi perché si fa sera e il giorno volge al declino’. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista” (24, 28 – 31).
Poi i due discepoli (uno di nome Cleopa ) fecero ritorno a Gerusalemme, “dove trovarono riuniti gli Undici (apostoli) e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: ‘Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone’.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma.
Ma egli disse: ‘Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore ? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io ! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho’.
Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare ?’ Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (24, 33 – 43).
“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia;” (24, 50 – 52).
Negli Atti degli Apostoli Luca dice che Gesù apparve ai suoi discepoli dopo la sua morte e rimase con loro per 40 giorni prima di salire al cielo: “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio” (1, 3).

I capitoli 20-21 del vangelo di Giovanni descrivono quattro apparizioni di Gesù dopo la sua risurrezione: a Maria di Magdala (21, 14-18); ai discepoli senza Tommaso (21, 19-23); ai discepoli con Tommaso la settimana seguente (21, 26-29), ai discepoli sulla riva del lago di Tiberiade (21, 1-23).

Mentre Maria di Magdala piangeva vicino al vuoto sepolcro vide due angeli e questi le chiesero: “ ‘Donna, perché piangi ?’ Rispose loro: Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto’.
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna perché piangi ? Chi cerchi ?’. Essa pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo’. Gesù le disse: ‘Maria !’ Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbuni  !’, (che significa Maestro !). Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: ‘Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’.

(Cosa vuol dire Gesù quando dice a Maria Maddalena Non mi toccare (la parola  "toccare" è quella usata  nelle traduzioni più antiche), perché non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli e dì loro: 'Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro' ? La  nota frase latina, Noli me tangere ("Non toccarmi"), è in contraddizione con l'invito di Gesù a Tommaso Didimo (più avanti nello stesso capitolo di Giovanni) di toccare le sue mani e il suo costato (Giovanni 20.27), e con il resoconto in Matteo (28,1-9) di Maria Maddalena "e l'altra Maria" che, "avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono").

Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto.
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’.
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono  al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi !’” (20, 13 – 21).
“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore !’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: ‘Pace a voi !’.
Poi disse a Tommaso: ‘Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente !’. Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio !’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno !’” (20, 24 – 29).

(A chi interessa vedere le “ossa del corpo” dell’apostolo Tommaso può recarsi ad Ortona, in provincia di Chieti, nella basilica a lui dedicata.  Furono portate in questa località dopo alcune traslazioni in tempi diversi.  Secondo una secolare tradizione, anche a Roma, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, si conserva una reliquia dell’apostolo Tommaso, una falange del dito indice. Un’altra reliquia di Tommaso, donata dalla chiesa di Ortona, è dal 1953 nella chiesa di San Tommaso apostolo a Chennai-Madras.   
Il nome di Tommaso, in aramaico, significa “gemello”, e stesso significato ha l’appellativo greco, Didimo, con cui l’apostolo viene anche indicato da Giovanni).  

Ancora Giovanni ci fa sapere che Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade, permettendo loro di pescare molto pesce. E nell’Apocalisse racconta  che mentre egli era in estasi ebbe un’altra fantastica visione di Gesù (1, 10 – 20).

L’evangelista Marco riassume le apparizioni della risurrezione, tratte da Matteo e Luca, e cita tre apparizioni. “apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva cacciato sette demoni” (16, 9); poi apparve a due discepoli, ma con altro aspetto, mentre i due “erano in cammino verso la campagna” (16, 12); “Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità” (16, 14). 

Gli studiosi sono quasi tutti concordi nel dire che la parte conclusiva del vangelo di Marco, dove narra le apparizioni del Cristo risorto, è un’aggiunta posteriore da parte di altri,  non presente nella versione originale.   

L’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi scrisse: “Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”  (1 Cor 15, 14 – 19). Con queste parole  il teologo  e scrittore Paolo (o Saulo) di Tarso, noto come san Paolo, evidenzia l’importanza fondamentale per il messaggio cristiano la fede nella risurrezione di Gesù Cristo. Se non si crede nella sua risurrezione la fede cristiana è “morta” e Gesù, in tal caso,  fu solo un rabbi, una personalità religiosa. Egli non è più il criterio di misura, ma è criterio la valutazione personale.

Joseph Ratzinger   Benedetto XVI), nel suo libro dedicato a “Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione” ha scritto: “Solo se Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il  mondo e la situazione dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio si è veramente manifestato.
Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente, ciò dipende dalla risurrezione. Nel ‘si’ o ‘no’ a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale” (pag. 270).

Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 07, 2014, 00:10:51
"Tempo di Pasqua":  dalla domenica di Pasqua alla domenica di Pentecoste.

La parola "Pasqua": deriva dal latino "Pascha", che è un adattamento, tramite la lingua greca, della parola ebraica "Pesach" o "Pesah", che significa "passaggio”, “passare oltre”. 

Pesach nella religione ebraica  è la festività pasquale: dura otto giorni (in Israele un giorno in meno),  ricorda la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto e l'esodo del popolo d'Israele guidati da Mosé verso la "Terra Promessa", in Palestina. La Pasqua Ebraica cade quest'anno dal 15 al 22 aprile 2014.

Le date della Pasqua ebraica e cristiana variano perché dipendono dai cicli lunari.

La Pasqua cristiana condiziona le date del Carnevale, della Quaresima e della Pentecoste. Questa parola deriva dal greco “pentèkoste” e significa “cinquantesima” (giornata).
 
Nell’ebraismo la pentecoste è una festa di ringraziamento: viene celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica per commemorare la rivelazione di  Dio sul monte Sinai, dove dette a Mosé la legge, la Torah. Invece la Pentecoste cristiana commemora 50 giorni dopo la Pasqua la discesa dello Spirito Santo tra gli apostoli.

Testi, tradizioni e valori della religione ebraica furono  in parte adottati dalle prime comunità di cristiani, non avendo una propria liturgia.

Per la Pasqua ebraica la prescrizione mosaica dispone il rito  dell’immolazione dell’agnello, simbolicamente rielaborato dai cristiani collegandolo alla crocifissione di Gesù, considerato come l’agnello sacrificale.

La Pasqua ebraica cade nel plenilunio, cioè quando c’è la luna piena successiva all’equinozio di primavera, tra il 19 ed il 21 marzo.  Il calendario religioso ebraico fa coincidere quel plenilunio con il quattordicesimo giorno del mese di Nisan, e la Pasqua ebraica si celebra nella notte tra il 14 ed il 15 di Nisan, indipendentemente dal giorno della settimana in cui ricorre. Può capitare che il plenilunio coincida con la domenica e vengano celebrate nella stessa data la Pasqua ebraica e la Pasqua cristiana.

La festa mobile della Pasqua cristiana avviene nella prima domenica successiva  al  plenilunio (luna piena) dopo l’equinozio di primavera,  che può essere il 19, il 20 o il 21 marzo e non necessariamente il 21 marzo, data fissata  nel 325 dal Concilio di Nicea, l’attuale Iznik, 130 km da Istanbul.

Il Concilio di Nicea fu voluto dall'imperatore  Costantino I  per  ristabilire tra i cristiani la pace religiosa e costruire l'unità della Chiesa.

Nel periodo paleocristiano la data di commemorazione della Pasqua non era unica. Si contrapponevano  dispute teologiche e diverse opinioni tra le Chiese d’Occidente e quelle d’Oriente.

La Chiesa di Roma preferiva fare memoria della risurrezione di Cristo nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera, invece le Chiese d’Oriente volevano ricordare la risurrezione di Gesù il 14 di Nisan, in coincidenza con la Pasqua ebraica.

A Nicea, anche a causa del  crescente antisemitismo tra i cristiani non ebrei, fu deciso di collegare la resurrezione di Cristo all'anno solare e al calendario emanato da Giulio Cesare (calendario giuliano),  utilizzando l'equinozio di primavera come riferimento fisso per la determinazione della Pasqua cristiana.

Il Concilio di Nicea stabilì la celebrazione della Pasqua cristiana nella prima domenica dopo il plenilunio (la luna piena) successivo all’equinozio di primavera.  Se la luna piena compariva di domenica  e la festività cristiana coincideva con la ricorrenza ebraica, la Pasqua cristiana veniva celebrata la domenica successiva, per evitare coincidenze tra le due feste religiose. Il compito di stabilire, ogni anno, tale giorno fu affidato alla Chiesa di Alessandria d'Egitto, ma successivamente, la Pasqua venne fissata tra il 22 marzo ed il 25 aprile, nella prima domenica dopo il plenilunio che segue l'equinozio di primavera.

L’anno liturgico della Chiesa cattolica  non fu elaborato  iniziando dalla nascita di Cristo, ma dalla sua risurrezione. Per questo la festa più antica della cristianità non è il Natale, ma la Pasqua, e la liturgia celebra l’evento pasquale come “giorno di Cristo Signore”.

La“risurrezione di Cristo” fu  un evento reale o un’interpretazione teologica per dare attuazione alla profezia di Ezechiele ? Nell’Antico Testamento c’è il “Libro di Ezechiele”, composto di 48 capitoli, nel 37/esimo questo profeta in una visione surreale descrive lo spirito creatore di Dio che resuscita i morti.     

Nel Nuovo Testamento la risurrezione è tradotta  sia col verbo “egheirein”, che significa “risvegliare”... dalla morte, simbolicamente intesa come un sonno, sia col verbo “anistemi”, che significa “alzarsi”.

Con linguaggio simbolico si vuole indicare che Gesù come uomo muore ma si “risveglia” alla vita divina. 

La Pasqua invita i cristiani a credere nel mistero della morte e risurrezione. Come mistero ha ovviamente  bisogno dell’obbedienza della fede, della fiducia dei credenti.

La celebrazione della Pasqua nei primi tre secoli di vita della Chiesa non aveva  un periodo di preparazione. Ci si limitava al digiuno nei due giorni precedenti la Pasqua.

Quando nel IV secolo a seguito del rescritto costantiniano del 313  i cristiani ebbero libertà di culto e con l’imperatore Teodosio I  il cristianesimo divenne la religione di Stato dell'Impero Romano, la Pasqua fu inserita anche nel calendario come festa della Resurrezione di Cristo.

Nel 1582, la riforma del calendario giuliano  (dal nome di Giulio Cesare in vigore dal 46 a. C.)  e la conseguente adozione del calendario gregoriano (dal nome del pontefice Gregorio XIII)  che adoperiamo ancora oggi, eliminò le difficoltà legate alla definizione dell’anno liturgico e alla datazione della Pasqua.

Dal 1752 la Pasqua viene celebrata nello stesso giorno dai cristiani d’Occidente, sia cattolici sia protestanti. Invece le Chiese ortodosse (che non accettarono il calendario gregoriano)  per definire l’anno liturgico adoperano ancora il calendario giuliano, per conseguenza celebrano la Pasqua la domenica precedente o conseguente a quella delle Chiese cristiane d’Occidente. La loro Pasqua può variare dal 4 aprile all'8 maggio.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 13, 2014, 13:25:30
Pasqua ebraica: tradizioni e simboli

La Pasqua ebraica è denominata Pesach e significa “passaggio”, ma anche “liberazione”. Il lemma deriva da “pasach”: “passare oltre”, questa frase evoca la liberazione del popolo israelita dalla schiavitù in Egitto e l’esodo verso la terra promessa, in Palestina.

La Pasqua ebraica dura otto giorni, sette in Israele. 

Nella Bibbia ebraica Pesach indica il 14 di Nisan: nome  che deriva da “nes” (= miracolo); per la tradizione talmudica è il  primo mese dell’anno, collegato all’esodo dall’Egitto al tempo di Mosé; invece è  il settimo mese del calendario ebraico secondo il computo ordinario, e corrisponde ai mesi di marzo-aprile. 

“E il primo mese, il 14/esimo giorno del mese, sarà la Pasqua del Signore” (Libro dei Numeri 28, 16). “E dovete osservare la festa dei pani non lievitati. (…) Per sette giorni (…) dovete mangiare pani non fermentati (Libro dell’Esodo: 12, 17 – 20).    Il pane azzimo, non lievitato, è denominato “matzah”, plurale “matzot”. 

Durante la festività le bevande fermentate ed  il pane con lievito sono proibiti.

Nell’antichità vigeva l’obbligo dell’offerta di un agnello  per il sacrificio nel tempio di Gerusalemme nel pomeriggio del 14 del mese di Nisan. Nel nostro tempo le comunità ebraiche dedicano le prime due sere di Pesach alla tradizionale cena in ambito familiare rispettando un determinato ordine sequenziale di cibi e preghiere; tale ordine è detto  in ebraico “seder”.

Al centro del tavolo si posa il “piatto del Seder”, con simbolici cibi di Pesach.

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Nelle prime due sere di Pesach durante la cena viene letta l’Haggadah (= racconto): la “Haggadah di Pesach”  narra l’esodo dall’Egitto degli Ebrei schiavizzati. Il capofamiglia legge brani di letteratura biblica e post-biblica, composizioni poetiche, salmi e rituali di preghiera.  I bambini nella famiglia vengono coinvolti per far apprendere loro l’antica storia ebraica.

La caratteristica  cena inizia con il Qiddush (santificazione).

Sulla tavola ci sono tre matzòt: uno dei tre pani viene spezzato prima della berachà (benedizione), che poi viene recitata sugli altri due pani interi.

Altri cibi presenti:

Maròr: erba amara, per ricordare l'amarezza della schiavitù del popolo ebraico in Egitto;  di solito viene usata la cicoria, il rafano o la latturga.

Zeroà: zampa arrostita di agnello o di capretto, simboleggia l’antica offerta dell’agnello sacrificale nel tempio di Gerusalemme in occasione della Pasqua.

Betzah: uovo sodo, per ricordare la distruzione del tempio di Gerusalemme e  simboleggiare la continuità della vita.
 
Karpàs: gambo di sedano (oppure un pezzo di cipolla cruda) per ricordare la concomitanza di Pesach con la primavera.

Korekh: somiglia al sandwitch, fatto con matzah, maror  e charosset ( salsa dolce e compatta che viene preparata con mele, pere, frutta secca  e  vino; viene preparata per evocare la malta usata dagli ebrei.
 
Afiqomen: è il pezzo di azzima nascosta all’inizio del Seder; viene mangiata  in ricordo dell’agnello pasquale, che veniva consumato al termine del pasto quando esisteva il tempio di Gerusalemme. L’afiqomen va consumata entro la mezzanotte (ora 1.00 legali circa).

Durante la cena si debbono bere quattro bicchieri di vino, ma ai bambini viene data acqua o succo d’uva. 

Alla fine del pasto si recita la preghiera di “benedizione del nutrimento”, la Birkhat haMazon, e la lode di ringraziamento, l'Hallel,  dopo cui si può bere solo acqua sino all'alba.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 14, 2014, 10:24:53
Pasqua cristiana: tradizioni e simboli

La Pasqua cristiana commemora la risurrezione di Gesù ma ha radici nella Pasqua  ebraica (Pesach), che ricorda l’esodo del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto. 

Il lemma ebraico Pesach nella lingua aramaica è denominato “pasha”, tradotto in latino nella forma “pàscha”, da cui deriva il termine italiano Pasqua.

L'Ultima Cena di Gesù insieme ai suoi apostoli avvenne secondo le modalità proprie del seder di Pesach. Da quanto si legge nel vangelo di Giovanni e da altri particolari della Passione, il giorno della morte di Gesù avvenne il 14 di Nisan, durante il quale venivano immolati gli agnelli sacrificali e  la sera si celebrava la Pasqua ebraica. 

I tre vangeli sinottici considerano il rito del pane e del vino nell’ultima cena di Gesù il momento in cui la Pasqua di Cristo sostituì nei giudei cristiani  il significato della Pasqua ebraica.

Nel Vicino Oriente le comunità cristiane ricordavano la risurrezione di Cristo  il 14 di Nisan, inizio della Pasqua ebraica, invece la Chiesa di Roma commemorava la Pasqua la domenica successiva al 14 di Nisan. Le differenti date furono oggetto di controversie tra la pars occidentalis e quella orientalis, ma furono superate nel  325 durante il Concilio di Nicea, nel quale venne deciso  che la Pasqua di risurrezione di Gesù  doveva essere celebrata da tutta la cristianità nello stesso giorno: la domenica seguente il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera, considerato all’epoca corrispondente al 21 marzo, e di non farla coincidere con la Pasqua ebraica il 14 di Nisan.  Il compito di stabilire la data, ogni anno, fu affidato alla Chiesa di Alessandria d’Egitto,  ma successivamente, nel 525, la  data della Pasqua  cristiana venne fissata fra il 22 marzo e il 25 aprile.

Anche la  Pasqua cristiana viene festeggiata con alcuni simbolici cibi cui sono attribuiti  significati di rigenerazione, come la stagione primaverile che rigenera la vegetazione dopo il riposo invernale.

Uovo, colomba e agnello prefigurano la rivelazione cristiana.

La colomba evoca lo Spirito Santo nell’iconografia cristiana ed il ricordo del biblico “diluvio universale”: la colomba tornò nell’arca di Noè con un rametto di ulivo nel becco, segno della fine del diluvio e di riconciliazione tra Dio e l’umanità, perciò simboleggia la pace.

L’agnello e l’ariete sono gli animali “sacrificali” delle più antiche religioni.
L’agnello, uno dei simboli della Pasqua ebraica, assunto dalla Pasqua cristiana e rappresentato nell’iconografia come l’Agnus Dei, l’immagine di Gesù sacrificato sulla croce per la salvezza spirituale dell’umanità: “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi”. Per la teologia cattolica  il sacrificio Cristo  servì per liberare l’umanità dal peccato originale e per mostrare a questa il proprio destino: la resurrezione nel  “giorno del giudizio finale”. Cristo è anche il “Buon pastore” della parabola evangelica.

L’uovo, nelle antiche mitologie e religioni significa l’inizio della vita e del mondo. L’uovo nasce da un essere vivente e dà origine ad una nuova vita: simbolo universale del rinnovamento periodico della natura, di rinascita, e di risurrezione di Gesù per i cristiani.
La tradizione del dono di uova è documentata già fra gli antichi Persiani, dove era diffusa la tradizione dello scambio di uova di gallina all'inizio della stagione primaverile, seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi ed i Greci.
Il Cristianesimo riprese le tradizioni che vedevano nell'uovo un simbolo della vita, rielaborandole nella nuova prospettiva del Cristo risorto.
L'usanza dello scambio di uova decorate venne sviluppata nel medioevo come regalo alla servitù. Invece nella nobiltà si diffuse l’usanza di scambiarsi uova costruite con materiali preziosi e decorate. Nel XIX secolo ebbero successo fra le persone economicamente benestanti le uova decorate dall’orafo Peter Carl Fabergè. Gli altri come dono augurale si limitavano all’uovo  sodo decorato, poi venne diffuso quello di cioccolato, ormai diventato in Italia un affermato prodotto commerciale della tradizione pasquale. 

Oltre ai tre citati simboli pasquali ci sono localmente altri cibi simbolici che vengono preparati per la Pasqua. Ne indico alcuni a me noti.

A Napoli è famosa la “pastiera”: dolce di pastafrolla, ricotta, uova e grano.  Si narra che furono le monache del monastero  di San Gregorio Armeno ad ideare questo simbolico dolce pasquale per celebrare la risurrezione di Gesù .
Altri dolci tradizionali nella regione Campania sono il “casatiello” ed il “tortano”: hanno la forma di ciambella, vuota al centro, per ricordare la corona di spine messa sul capo di Gesù Cristo. 
ll casatiello ha degli ingredienti in più del tortano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella, ma in modo che la loro parte superiore rimanga visibile.

In provincia di Chieti un dolce tipico del periodo pasquale è il “fiadone”, a base di ricotta e formaggio grattugiato. Ci sono anche i mostaccioli, le pupe (per le bambine), i cavallucci (per i bambini), i cuori per gli innamorati.

"fiadone"
(http://farm4.static.flickr.com/3536/3845963644_6e8c10543b.jpg)

"mostaccioli"
(http://www.vastospa.it/html/tradizione/immagini/ric_dolci_torte_past7.jpg)

"pupa"
(http://www.vastospa.it/html/tradizione/immagini/trad_pa_locali_dolci4.jpg)

(http://www.vastospa.it/html/tradizione/immagini/trad_pa_locali_dolci3.jpg)
"cavalluccio"
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 15, 2014, 11:48:59
Lunedì dell’angelo  

Il “Lunedì dell’angelo” è anche denominato lunedì di Pasqua o Pasquetta.  E’ un giorno festivo, ma non di precetto per i cattolici. Questa festività fu introdotta dal Parlamento italiano nel 1949 per allungare il periodo pasquale, così come avvenuto per il periodo natalizio con il 26 dicembre.

Nel “Vangelo del giorno” la Chiesa cattolica commemora l'incontro dell'angelo o degli angeli con le donne giunte al sepolcro di Gesù, dove vengono informate dagli esseri celestiali della risurrezione del loro messia (At 2, 14 – 32) e ricevono l’ordine di annunciare ai discepoli lo straordinario evento. 

Ci sono discordanze fra gli evangelisti sul numero degli angeli.

L’evangelista Marco narra che Salome, Maria di Magdala e Maria di Giacomo acquistarono gli oli aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù, e che la domenica mattina si recarono al suo sepolcro, dove videro  un giovane, seduto sulla destra della tomba, vestito d’una veste bianca. Era l’angelo inviato dal Signore per annunciare loro che Gesù Nazareno è risorto (16, 1 ss).

L’evangelista Matteo (28, 1- 10) racconta che le donne erano due: “Maria di Magdala e l’altra Maria” e che  “un angelo del Signore” scese dal cielo. “Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve”. L’angelo disse alle donne: “Non è qui. E’ risorto, come aveva detto” (28, 1 – 6). 

Luca, invece, non dice  quante donne erano, ma si limita a dire che le donne venute con Gesù dalla Galilea ( 23, 55), il primo giorno dopo il sabato si recarono  alla tomba per ungere il corpo di Gesù con gli oli profumati, ma trovarono il sepolcro vuoto. Apparve loro due uomini “in vesti sfolgoranti” che dissero: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo ? Non è qui, è risuscitato” (24, 1 ss).  Questo evangelista aggiunge che fra le donne c’erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo, e non cita Salome (24, 1 ss).
   
Giovanni cita soltanto Maria di Magdala come donna che si era recata al sepolcro “e vide due angeli  in bianche vesti” (20, 11 – 13). 

Dal sacro al profano.

Se le condizioni del tempo sono buone la Pasquetta viene usata per la gita o la conviviale all’aperto.

(http://countrybred.com/cms/wp-content/uploads/2011/04/Pasquetta-Picnic.-Photo-courtesy-of-La-Stampa-www.lastampa.it_.jpg)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 17, 2014, 07:26:03
Ottava di pasqua  (Octava Paschae)

L'Ottava di Pasqua è costituita dagli otto giorni che seguono la Pasqua, compresa la domenica di risurrezione.

L’apparizione di Gesù l’ottavo giorno dalla risurrezione contribuì alla formazione dell’ottava di Pasqua (vedi Gv 20, 26),  ma l’usanza di prolungare la festa di Pasqua deriva dalla Pasqua ebraica che dura otto giorni, sette in Israele.  Quest’anno  la festività di Pesach è dal 15 al 22 aprile 2014, in parte si sovrappone alla Pasqua cristiana, che cade il prossimo 20 aprile.
 
Seguendo l’uso ebraico la Chiesa cattolica considera come un unico giorno di festa  la settimana che va dalla domenica di Pasqua alla domenica successiva,  detta “domenica in albis”.

Nel periodo paleocristiano l’”ottava di Pasqua” finiva il sabato, ma nel VI secolo, durante il pontificato di Gregorio I, detto Gregorio Magno, fu prolungata fino alla “Dominica post Albas”, successivamente denominata “Dominica in albis”.
 
L'espressione “Ottava di Pasqua” indica anche  l'ultimo giorno dell'ottava (“Octava dies”),  di solito detto  “seconda domenica di Pasqua” o “Domenica in albis”, perché nei primi secoli della Chiesa il battesimo veniva impartito durante la Messa della “veglia pasquale” nella notte di Pasqua ed i battezzandi indossavano una tunica bianca, che portavano per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, perciò detta “domenica in cui si depongono le bianche vesti”, “in albis vestibus”.   

Dall'anno 2000 per volontà del Papa Giovanni Paolo II, durante la domenica in albis la Chiesa cattolica celebra la “Divina Misericordia di Dio”.

Per la Chiesa luterana l'equivalente della domenica in albis è il "Quasimodogeniti", questo nome deriva dall’antifona tratta dalla prima “Lettera di Pietro”: “Quasi modo geniti infantes, Halleluja, rationabile, sine dolo lac concupiscite” (1. Petr 2, 2). (= Come neonati bramate il puro latte spirituale”).
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 21, 2014, 00:11:21
Ascensione di Gesù

Il vocabolo “ascensione” deriva dal latino “ascènsus” e significa salita, in questo caso quella al cielo di Gesù, che sarebbe avvenuta quaranta giorni dopo la sua risurrezione: 40 è il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo testamento esprimono il tempo dell’attesa, del ritorno del messia, indica anche un periodo cronologico di prova, di isolamento, di purificazione.
 
Secondo l’evangelista Marco (16, 19) Gesù “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”. Ma Cristo ascese in cielo o fu assunto in cielo ? C’è differenza tra ascensione ed assunzione. Gesù è Dio e Figlio di Dio, parte della Trinità, va in cielo per ascensione,  per propria volontà. 

Nel linguaggio biblico  “sedere alla destra di Dio” significa condividere il potere sovrano. E Cristo instaura il suo “regno”, compimento della visione del profeta Daniele: (Il Vegliardo) “gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dn 7,14). L’affermazione che Cristo siede alla destra del Padre riprende anche l’annuncio profetico del salmo 109 (110), dove Dio stabilisce il re alla sua destra, come segno della sua potenza.

Invece l’assunzione di Maria è decisa da Dio che associa al potere sua madre,.
L'assunzione di Maria in cielo è un dogma cattolico,  il quale afferma che Maria quando morì salì in Paradiso con l’anima e con il corpo.

Luca in modo più dettagliato narra che i due discepoli che incontrarono Gesù sulla strada per  Emmaus tornarono a Gerusalemme dove trovarono riuniti gli undici apostoli e gli altri che erano con loro. I due riferirono ciò che era accaduto lungo la via e che avevano riconosciuto il loro Signore nel momento in cui spezzava il pane.  E mentre essi parlavano di queste cose, Gesù apparve in mezzo a loro per dialogare. “Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo” (24, 50 – 51).     
La conclusione lucana stupisce perché dice che i discepoli erano pieni di gioia anziché essere tristi   dopo l’ascensione di Gesù che si era allontanato per sempre da loro. Si può dedurne che i discepoli non si sentivano abbandonati  da lui. Erano sicuri che Egli continuava a stare vicino a loro in diversa maniera.

La conclusione del vangelo di Luca aiuta a comprendere meglio l’inizio degli “Atti degli apostoli” in cui si narra che Gesù  “…fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo.
E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo ? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo’.
Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano” (1, 9 – 13).

La nube che accolse Gesù e lo sottrasse agli occhi dei discepoli, evoca  il momento della trasfigurazione in cui una nube luminosa si posò su Cristo e i suoi discepoli (vedi Matteo 17, 5; Mc 9 , 7; Lc 9, 34 s), ma evoca anche la nube che coprì il popolo ebraico nel deserto, accompagnandolo nel suo cammino verso la terra promessa (Es 40, 36 – 38).

Nel vangelo di Giovanni, è scritto che Gesù disse ai suoi discepoli: “Vado e vengo a voi” (14, 28). Il suo andarsene è anche vicinanza, presenza permanente.

“Ecco, io sono con voi tutti i giorni,fino alla fine del mondo”(Mt 28,20): Gesù rivolge queste parole ai discepoli dopo aver affidato loro il compito di andare nel mondo per far conoscere il suo messaggio. Con l’ascensione finisce la presenza terrena di Gesù, del “Cristo come uomo” (2 Cor 5, 16) ed inizia la sua presenza invisibile nello Spirito Santo. Per i credenti Egli è presente nell’eucarestia ed attendono il suo ritorno, la parusia.

Il luogo  dover avvenne l’ascensione di Gesù non è citato nei vangeli,  ma dalla lettura degli “Atti degli Apostoli” gli studiosi propendono per l'Orto degli ulivi, poiché  dopo l'ascensione i discepoli “ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato” (At 1, 12). E la tradizione ha consacrato questo luogo come il Monte dell'Ascensione.
 
(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/6f/5035-20080122-jerusalem-mt-olives-ascension-edicule.jpg/220px-5035-20080122-jerusalem-mt-olives-ascension-edicule.jpg)
Gerusalemme: edicola dell’ascensione

(http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cc/5029-20080122-jerusalem-mt-olives-ascension-rock.jpg/220px-5029-20080122-jerusalem-mt-olives-ascension-rock.jpg)
roccia dell’ascensione all’interno dell’edicola.

La festività dell'Ascensione è molto antica. La prima testimonianza è del teologo, esegeta e storico  Eusebio (265 – 340 circa).  Nel quarto secolo anche Agostino, vescovo d’Ippona, descrisse la festa dell’ascensione come solennità diffusa. 

Nel 306 durante il Concilio di Elvira (l’attuale Granada, in Spagna) fu discussa la data in cui celebrare l'Ascensione, e si decise di non commemorarla nel giorno di Pasqua, né in quello di Pentecoste, perché, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, l'ascensione di Gesù avvenne 40 giorni dopo la Pasqua, che è una festa mobile, per conseguenza varia anche la data della festività dell'Ascensione, che avviene il giovedì della sesta settimana del “tempo pasquale”: nel 2014 si celebra giovedì 29 maggio. Tale giorno è considerato festivo in alcune nazioni,  mentre in altre la ricorrenza  liturgica non  ha effetti civili, e la Chiesa cattolica posticipa la solennità  religiosa alla domenica successiva, la settima del “tempo di Pasqua”, come avviene in Italia dal 1977, anno in cui fu soppressa questa festività civile per eliminare alcuni “ponti festivi” infrasettimanali.

Nella Chiesa cattolica la festa dell'Ascensione è di precetto. Nei tre giorni che  la precedono  viene celebrato il triduo, noto anche come “rogazioni”: preghiere, atti di penitenza e processioni.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 22, 2014, 07:16:14
Pentecoste:  parola d’origine greca che significa “cinquantesimo (giorno)”, commemorato con riferimenti diversi sia  dalla religione ebraica sia dalla religione cristiana. 
 
Pentecoste ebraica: è denominata ”Shavu’oth”, significa “settimane” e ricorda l’esodo dall’Egitto del popolo israelita, che si diresse verso Canaan e  dopo sette settimane giunse dinanzi al monte Sinai, sul quale salì Mosé  e vi rimase 40 giorni e 40 notti, dopo i quali ricevette da Dio i cosiddetti “dieci comandamenti” detti nella Torah “assereth ha-dibberoth”, le “dieci parole”.

Gli ebrei di lingua greca diedero il nome di pentecoste alla festa di “Shavu’oth” perché cade 50 giorni dopo Pesach, la loro  Pasqua, già descritta in un precedente post.   

Nel calendario ebraico Shavu'òt è il 6 del mese di Sivan.  Nel Tanakh è chiamata "Festa della mietitura"  (Esodo 23, 16), oppure " "Festa delle primizie" (Numeri 28, 26), perché l’origine della festa è agreste.

Gli ebrei della diaspora festeggiano Shavuoth per due giorni, un solo giorno in Israele. Nel 2014  si celebrerà  il 4 e 5 giugno. La prima sera di Shavuot, 18 minuti prima del tramonto, vengono accese alcune candele,  si leggono dei versi della Torah e qualcuna delle 613 mitzvot (precetti).  Al mattino  i fedeli si recano nella sinagoga per offrire fiori al tempio e per ascoltare la lettura dei “Dieci comandamenti”.

Pentecoste cristiana: commemora la discesa dello Spirito Santo sul cenacolo degli apostoli con Maria, la madre di Gesù,  50 giorni dopo la risurrezione del loro messia.

La data è mobile perché dipende da quella pasquale e viene celebrata di domenica.

Gesù risorto, asceso al cielo, compie la promessa fatta ai discepoli di inviare lo Spirito Santo, come narrato dall’evangelista Giovanni (Gv 14, 15-16 e 23-26).

Negli “Atti degli apostoli” è scritto che “Mentre il giorno  di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (2, 1 – 4).

Con l’effusione dello Spirito Santo venne realizzata la promessa di Gesù al suo apostolo Pietro:  "Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa,…” (Mt 16,18), la Chiesa di Cristo,  iniziata quella sera a Gerusalemme dalla  prima comunità cristiana (At 2, 42 – 48), perciò si dice che la Chiesa nacque nel giorno di Pentecoste.  I “fondatori” erano ebrei convertiti al cristianesimo che poi crearono altre Chiese locali.

(segue)
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 23, 2014, 00:09:02
Pentecoste cristiana/2

“Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. Et tibi dabo claves regni coelorum,  quodcumque ligaveris super terram erit ligatum et in coelis, et quodcumque solveris super terram erit solutum et in coelis”(Mt 16, 18 – 19). Queste parole furono dette da Gesù all’apostolo Pietro quando era ancora vivo e con i suoi discepoli frequentava Cesarea di Filippo, luogo che venne distinto da altri con lo stesso toponimo aggiungendo l’appellativo del sovrano locale, il tetrarca Erode Filippo II (20  a. C. - 34, figlio di Erode “il Grande” e della sua terza moglie, Cleopatra di Gerusalemme, fratellastro di Erode Antipa e di Erode Archelao. Questa località è nel territorio siriano , a 55 km da Damasco, ed è oggi nota col toponimo “Baniyas”,  sulle pendici del monte Hermon, sulle alture del Golan,  attualmente controllate dagli israeliani. Cesarea di Filippo non va confusa con Cesarea fondata da Erode il Grande, nota anche come Cesarea Marittima,  situata in Palestina sulla costa israeliana tra Tel Aviv ed Haifa.   
 
L’evangelista Matteo ci fa sapere che “Gesù nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: ’La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?’. Risposero: ‘Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti’. Disse loro: ‘Voi chi dite che io sia?’.
Rispose Simon Pietro: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. E Gesù: ‘Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli’.
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo” (16, 13 – 20).

segue
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 24, 2014, 00:10:40
Pentecoste cristiana/3

La Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa e gran parte delle Chiese riformate riconoscono che Pietro ebbe  un ruolo  preminente tra gli apostoli, ma l'entità del suo  primato è  ancora oggetto di dispute,  che  coinvolgono anche il primato papale, riconosciuto solo dai cattolici e in misura minore dagli ortodossi.

La Chiesa ortodossa  considera il pontefice un “primus inter pares” fra i cinque patriarchi storici,  invece le Chiese protestanti non riconoscono nessun primato, né al papa né ai patriarchi delle chiese orientali, in quanto reputano che l'istituto papale non sia in accordo con le Sacre Scritture.

La Chiesa cattolica fa derivare il primato papale dal primato di Pietro, considerato dalla tradizione il primo vescovo e primo papa della comunità cristiana di Roma, ma non ci sono prove storiche del pontificato petrino.

E’ scarsa la documentazione sui primi papi nel periodo paleocristiano: essi  avevano solo il titolo di vescovo di Roma. La più antica menzione del titolo di papa è incisa su un'epigrafe marmorea rinvenuta  nelle catacombe di San Callisto, a Roma: il diacono Severo  fece scavare dai fossori un doppio cubicolo  per sé e la sua famiglia in occasione della morte della figlia di circa dieci anni, dicendosi autorizzato dal "papae sui Marcellini” che pontificò dal 295 al 304.  Nell’epigrafe c’è scritto: “Cubiculum duplex cum arcosoliis et luminare Jussu papæ sui Marcellini diaconus iste Severus fecit mansionen in pace quietam . . .” ("Il Diacono Severo fece questo doppio cubiculum, con i suoi arcosolia e luminaria per ordine del suo Papa Marcellino come quieta residenza di pace per sé e per la sua famiglia").

Il vocabolo “papa” deriva dal greco “pàppas”, questa parola è attestata dal III secolo nell’uso familiare per  indicare il "padre".

Nel periodo tardo antico per l’incarico vescovile veniva scelto un laico o un diacono, in particolare l’arcidiacono (il capo dei diaconi  con mansioni amministrative in una comunità cristiana o Chiesa locale) che di solito era anche segretario del vescovo e spesso gli succedeva nella responsabilità della diocesi.  Un esempio è Germano, vescovo di Auxerre, prima della  sua consacrazione era un comandante militare e funzionario imperiale.

Chi veniva eletto, se laico, riceveva  l'Ordine sacro di diacono, presbitero o vescovo.

La parola vescovo deriva dal latino “episcopus” e questo dal greco “episkopos”, che significa ispettore, sorvegliante, perciò a tale carica veniva scelto l’individuo capace di governare la Chiesa locale, ma le mansioni furono definite nel tempo. 
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Aprile 29, 2014, 17:01:38
Pentecoste e lo Spirito Santo

Nel testo ebraico dell’Antico Testamento non è citato lo Spirito Santo come persona divina ma come Spirito di Dio,  capace di creare anche la vita naturale cosmica: “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. Questi primi due versetti del libro della Genesi sono l’incipit della Bibbia e della Torah.

Genesi (in ebraico “bereshìt”, = "in principio", dall'incipit), parola che deriva dal lemma greco  “ghènesis” (= "nascita", "creazione", "origine"); in latino “genesis”:  è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana.

Il testo della Genesi che noi leggiamo fu rielaborato più volte nei secoli da ignoti rabbini dell’epoca. La redazione definitiva del libro risale al VI – V secolo a. C., ed è basata su precedenti tradizioni orali e scritte.  E’ un libro di storia religiosa con contenuto mitico, allegorico e didascalico; pur non essendo veri i particolari, sono importanti le idee fondamentali di relazione con Dio.

Nell’edizione ebraica veterotestamentaria il nome di Dio è menzionato “Jhwh”  oppure “Elohim”, ed il riferimento allo Spirito è sempre accompagnato da un genitivo di appartenenza. Oltre a “Spirito di Dio” (= ruah Elohim) nel caso della creazione, è menzionato lo “Spirito del Signore” (= ruah Jhwh) nella relazione di Dio con le cose da Lui create; solo due volte c’è “Spirito di Santità” (= ruah qodesh), e la parola “santità” è usata come sinonimo di “Dio” (Is 63, 10 – 11; Sal 51, 13).

Il termine “Spirito” deriva dal latino “spiritus”, che nell’antichità indicava il leggero "soffio" di vita, perciò  i termini espirare, spirare. Nella lingua ebraica  per il vocabolo Spirito viene usato il lemma  “ruah” (= soffio, e può indicare il respiro,  l’ aria,  il vento); nella lingua greca “pneumatos”, da cui  “pneumatologia”, la scienza dello Spirito, branca della filosofia e della teologia cattolica che studia la dottrina dello Spirito Santo.  La teologia pneumatologica cristiana ha radici in quella ebraica.

Nell’antica filosofia greca il concetto di “pneuma”  (= soffio, respiro, alito) venne scisso dal concetto di “anima – psiche”, anche se pure questo è collegato al significato di vento, soffio, respiro dell’individuo.
La separazione dei due concetti fu elaborata da Socrate e poi da Platone. Il soffio, il respiro divino e divinizzante  fu indicato col nome di  pneumatos, per designare  un "essere", una "entità",  un "soffio" separato dalla nostra dimensione e vita umana, e poi concepita, nella sua accezione dualistica, in "spirito benigno" e "spirito maligno", ad esempio come entità angeliche nel Bene, e demoniache nel Male.

L’apostolo Paolo ed i primi testi neo-testamentari distinsero le "cose del soma" (carne/corpo/uomo) dalle "cose del pneuma" (lo "Spirito"), dando quindi ulteriore sostegno a quello che diventerà il concetto filosofico occidentale dei "tre corpi": soma (corpo), psyché (mente, anima umana) e pneuma (il puro spirito). Nel periodo paleocristiano lo “Spirito di Dio”, lo “Spirito Santo”, veniva anche indicato come “Spirito di verità”, “Spirito consolatore” oppure “Paraclito” (dal greco “para-kaleo” = “invoco presso”).

Il carattere divino del pneuma  è anche nel Libro della Genesi. Jahvé (Dio) "soffiò" l'alito della vita (il "soffio sacro", in ebraico  "ruah hakodesh") nelle narici di Adamo: “Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2,7).

Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Maggio 03, 2014, 00:16:21
Pentecoste e lo Spirito Santo/2

Dio è uno e “trino”,  indivisibile ed incomprensibile nella sua essenza strutturale.

Come è possibile affermare che Dio è "uno e trino"? Secondo la fede cristiana la natura divina è al di là della conoscenza scientifica, ed è incomprensibile e non conoscibile. La paradossale identità unica e trina di Dio, è un mistero della fede, un dogma che ogni  cristiano-cattolico  deve credere come vero, ma chi non crede lo considera una sciocca assurdità. 

Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo formano la cosiddetta “Trinità” ( dalla radice greca “trias”, in latino “trinitas”),  sconosciuta nell’Antico Testamento, che cita Yhwh (Dio) come Padre perché considerato creatore dell’universo.

Nel Nuovo Testamento la Trinità non è esplicità ma appare concettualmente nel vangelo di Matteo, quando Gesù dice ai discepoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (28, 19). 

La prima elaborazione del concetto trinitario fu di Teofilo, vescovo di Antiochia, nel 181.  In seguito Tertulliano, nel 220,  usò il termine “trinitas” per definire le tre persone.  Nel  “De pudicitia”( XXI)  espose il concetto che il Figlio è della stessa sostanza del Padre e che vi è una sola sostanza nei tre, uniti tra loro.

Dio Padre generò il  Figlio, Gesù Cristo, il quale chiama il suo Dio-Padre con la parola aramaica “Abbà” ( = "papà"; Mc 14,36; cfr. Gal 4,6; Rm 8,15). Per gli apostoli Gesù  era l’incarnazione del Dio invisibile (Col 1, 15), che “in principio [...] era presso Dio e il Verbo (logos) era Dio” (Gv 1,1).
Dal Padre e dal Figlio procede lo  Spirito Santo, considerato “increato”, perché di natura divina e non creato.

In Gesù la presenza dello Spirito Santo risale alle origini stesse del suo essere come uomo. Infatti nei racconti dell'annunciazione dell'angelo a Maria riportati nei vangeli, il concepimento di Gesù è descritto come opera dello Spirito Santo (Matteo 1,18 e Luca 1,34-35).

Negli Atti degli apostoli (2, 1 – 11) c’è la narrazione della manifestazione dello Spirito Santo. Gli apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme per festeggiare la Pentecoste ebraica, e  “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’ improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. (At 2,1-4)

Durante il discorso di addio Gesù promette ai suoi seguaci di non lasciarli soli  e che invierà loro lo Spirito Santo,  il paraclito  (= consolatore).  Il lemma “paraclito” deriva dal greco paracletos, un termine del linguaggio giuridico;  l'equivalente latino è l'ad-vocatus, cioè "avvocato", inteso come "difensore" o "soccorritore".

Nel Nuovo Testamento è frequente  la locuzione "Spirito Santo"  (in greco “pneuma hàghion”) oppure “Spirito di Dio, “Spirito del Padre” (Mt 10, 20), “Spirito del Signore” (con riferimento a Dio e non a Gesù Cristo, vedi  Lc 4,18; At 5,9; 8,38; 2Cor 3,17-18),  "Spirito del Figlio"  (Gal 4,6),  "Spirito di Cristo" (1Pt 1,11) "Spirito di Gesù"  (At 16,7)  "Spirito di Gesù Cristo” (Fil 1,19).
 
Contro le eresie, che rifiutavano l'uguaglianza delle tre persone in Dio e la divinità di  Gesù Cristo,  in particolare il monarchianismo e l'arianesimo, furono convocati due concili: quello di Nicea nel 325 e  quello di Costantinopoli  nel 381.
Il concilio di Nicea dichiarò Cristo “homooúsios” (in greco, 'della stessa sostanza' del Padre) per correggere l'errore della fazione omoiusiana ('di sostanza simile').

Il concilio di Costantinopoli confermò il credo niceno ed introdusse la consustanzialità dello Spirito Santo con il Padre e il Figlio mediante l’espressione: ”Credo in Spiritum Sanctum qui ex Patre per Filium procedit “(Credo nello Spirito Santo, che procede dal Padre attraverso il Figlio).

La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse differiscono nell'interpretare il dinamismo trinitario: per gli ortodossi lo Spirito Santo procede solamente dal Padre, mentre per la Chiesa cattolica procede dal Padre e dal Figlio.
Al III concilio di Toledo, nel 589, la Chiesa occidentale aggiunse al  cosiddetto simbolo niceno l'espressione Filioque: parola in lingua latina che significa “e dal Figlio”: “Credo in Spiritum Sanctum qui ex Patre Filioque procedit” (“Credo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio”).

La fede in un Dio uno e trino è fondamentale nella fede cristiana, ed il  il battesimo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sancisce l'ingresso nella comunità dei credenti.

Per la formulazione del dogma della Trinità la Chiesa dovette sviluppare una terminologia propria ricorrendo a nozioni di origine filosofica: "sostanza", "persona" , "ipostasi", "relazione", ecc.. La Chiesa adopera il termine "sostanza" (reso talvolta anche con "essenza" o "natura" ) per designare l'Essere divino nella sua unità; i vocaboli "persona" o "ipostasi"   per designare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nella loro reale distinzione reciproca;  la parola "relazione" per  indicare la distinzione tra le  tre Persone divine.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Maggio 05, 2014, 11:49:38
Il termine « Spirito » traduce il termine ebraico ruah, che nel suo senso primario significa soffio, aria, vento. Dal profeta Isaia è chiamato “Spirito Santo” (63:11), in ebraico "ruach haQodesh".

Per la religione cristiana Lo Spirito Santo è lo spirito di Dio, che offre 7 doni e nove frutti.

I doni sono enumerati nell’undicesimo capitolo del “Libro del profeta Isaia”. Nel testo ebraico ne erano nominati solo sei, mancava la pietà,che fu aggiunta nella versione in lingua greca dell’Antico Testamento, detto “Bibbia dei Settanta”.

I sette doni sono: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio.

 Ai sette doni l’apostolo Paolo nella “Lettera ai Galati”  aggiunse nove “frutti” dell’azione dello Spirito Santo: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo (5, 22). 
 
Il misterioso Spirito Santo viene raffigurato tramite immagini e simboli desunti dalla Bibbia e dalla tradizione della Chiesa. I più usuali sono: l’acqua, il fuoco,  il vento, l’unzione con l’olio, il sigillo,  la nube e la luce, la mano, il dito, la colomba.
 
Acqua: simbolicamente indica l'azione dello Spirito Santo nel Battesimo, poiché dopo l'invocazione dello Spirito Santo essa diviene il segno sacramentale  della nuova nascita in Cristo.

Fuoco:  in alcune religioni il fuoco ha un posto fondamentale nel culto ed è spesso simbolo della divinità e come tale adorato. Il dio sumerico del fuoco, Gibil, era considerato portatore di luce e di purificazione; a Roma c’era una fiamma sempre accesa custodita dalle Vestali, simbolo di vita e di forza.

Nell’Antico Testamento, Dio si rivela a Mosè sotto forma di fuoco nel roveto ardente che non si consuma; nella colonna di fuoco Dio Illumina e guida il popolo ebraico nelle notti dell’esodo; durante la consegna delle Tavole della Legge a Mosè, per la presenza di Dio il Monte Sinai era tutto avvolto da fuoco;  il fuoco è presente anche nelle visioni profetiche.

Nel Nuovo Testamento lo Spirito Santo è indicato sotto forma di lingue di fuoco nella Pentecoste. Inoltre, Giovanni Battista annuncia Gesù come colui che battezza in Spirito Santo e fuoco (Mt 3, 11; Lc 3, 16).

Vento: nel contesto biblico  il vocabolo ebraico “ruah” è polisemico: può significare alito, respiro, soffio, vento.  La terza persona della Trinità viene anche simboleggiata dal vento: durante la pentecoste ebraica sui discepoli “Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento…” (At, 2, 2). 

“Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3, 8.

L'unzione con l’olio:  tradizione  descritta nell'Antico Testamento. Ricevevano l'unzione  i re (es. re David),  ma anche i sacerdoti e talvolta i profeti. Il simbolo dell'unzione con l'olio doveva esprimere la forza necessaria all'esercizio dell'autorità.

Nel suo intervento nella sinagoga di Nazaret, all'inizio della vita pubblica, Gesù cita un verso del profeta Isaia: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is 61, 1; Lc 4, 18). Il predetto verso  di Isaia riguarda la forza di natura spirituale necessaria all'adempimento della missione datagli da Dio. Gesù dice che  lui è l’eletto di Dio,  il “Cristo”   (= “messia” in ebraico”)  che significa “unto”, l’unto del Signore.

Negli Atti degli apostoli l’apostolo Pietro accenna  all'unzione ricevuta da Gesù: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (10, 38).

L’olio nella liturgia deriva principalmente dai testi del Nuovo Testamento: Gesù conferisce ai suoi discepoli il mandato di ungere con olio i malati ( Mc 6, 13).

Nell'iniziazione cristiana l’unzione  è il segno sacramentale della “confermazione”,  detta “crismazione”dalle Chiese ortodosse.

Sigillo: è collegato al simbolo dell'unzione, indica come l'alleanza tra Dio ed il popolo di Israele abbia carattere definitivo.

Su Gesù Cristo “Dio ha messo il suo sigillo” (Gv 6,27), e in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo:l'effetto indelebile dell'unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Ordine.

“In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso” (Ef 1, 13).

La nube e la luce:  questi due simboli sono inseparabili nelle manifestazioni dello Spirito Santo. Fin dalle teofanie dell'Antico Testamento, la nube, oscura o luminosa, rivela Dio.  Nel “Libro dell’Esodo” indica la presenza di Dio nelle vicende del popolo ebraico in fuga dall’Egitto (19, 9; 24, 15 – 16; 33, 8 – 9).

Nel Nuovo testamento è scritto che lo Spirito Santo scese sulla Vergine Maria e su di lei stese la  “sua ombra”, per farle concepire Gesù Cristo.
Sulla montagna della trasfigurazione lo Spirito Santo  viene nella nube che avvolge Gesù, Mosè, Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni, e « dalla nube » esce una voce che dice: “Questi è il mio Figlio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35).
Una nube sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli il giorno dell'ascensione.

Mano: imponendo le mani Gesù guarisce i malati e benedice i bambini. Nel suo nome, gli apostoli usarono le mani per compiere gli stessi gesti. Mediante l'imposizione delle mani gli apostoli invocavano la discesa dello Spirito Santo sui fedeli.  La Chiesa ha conservato questo segno dell'effusione  dello Spirito Santo nelle epiclesi sacramentali.

Dito: Dio incise con il dito le  petrose Tavole della Legge (decalogo) sul Monte Sinai (Es 31, 18).
Con il dito  Gesù cacciò i demoni che lo tentavano.
L'inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo come “dexterae Dei tu digitus”: dito della mano di Dio.

Colomba: Nell'Antico Testamento la simbolica colomba è citata più volte.

“Lo Spirito di Dio come una colomba aleggiava sopra le acque”(Gn 1, 2).
Una colomba porta a Noè il rametto d'ulivo, mostrandogli così la fine del “diluvio universale” e l'inizio di una nuova era di pace tra Dio e l’umanità (Gn 8, 11)
Il profeta Osea paragona Israele ad una colomba (7, 11).
Nel Cantico dei Cantici (5,2 e 6,9) “mia colomba” è un appellativo affettuoso rivolto alla Sulamita dal pastore innamorato
Nell’iconografia cristiana è diffusa la simbolica colomba dello Spirito Santo.
Durante il battesimo di Gesù nel fiume Giordano comparve lo Spirito Santo sotto forma di colomba (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Gv 1, 31-33).

In alcune chiese l’eucarestia  viene conservata nella custodia metallica a forma di colomba appesa al di sopra dell'altare.
Titolo: Re:da Carnevale a Pasqua
Inserito da: Doxa - Maggio 06, 2014, 11:11:13
Nel periodo paleocristiano l’annuncio della fede veniva proposto con diverse modalità. Un ruolo fondamentale  ebbero  gli artisti, in particolare pittori e scultori, per la rappresentazione simbolica dei cosiddetti misteri della fede, uno dei quali è il “Dio-Trinità”, che si rivela unico in tre persone. Le immagini evidenziano le molteplici elaborazioni.

Nell’alto medioevo le tre persone della Trinità venivano spesso simboleggiate in forme astratte o figure geometriche: triangolo equilatero, tre cerchi intrecciati, tre cerchi concentrici crocisegnati; lo Spirito Santo che discende sulla Vergine e sugli apostoli veniva  raffigurato come fiammelle, successivamente venne simboleggiato dalla colomba.

Nel V secolo il francese Meropius Pontius Paulinus (355 – 431), detto Paolino di Nola perché fu vescovo di questa città, scrisse in una delle sue epistole che nella basilica di san Felice, a Nola, tre figure simboliche rappresentano la Trinità:
Dio Padre è raffigurato con una mano che esce dal cielo;
il Figlio (Gesù Cristo) con un agnello,  in aderenza a quanto detto dal Battista: “Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!. Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli  e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l’agnello di Dio! (Gv 1, 29.35-36);
lo Spirito Santo è rappresentato come una colomba, per coerenza col testo evangelico di Matteo: “Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui” (3, 16).

In Occidente,  il pontefice Gregorio I (detto papa Gregorio Magno, chiamato al soglio pontificio nel 590 e vi rimase fino alla sua morte nel 604) giudicò l’arte figurativa efficace strumento per la diffusione della fede, perché tenta di mostrare visivamente ciò che si professa con le parole, concorre all’istruzione ed alla formazione cristiana anche delle persone che non sanno leggere e scrivere e non hanno altri strumenti di conoscenza e formazione.

Nel 787 il II Concilio di Nicea ribadì che l’arte cristiana esprime con le forme ed i colori ciò che la Sacra Scrittura afferma con le parole;  illustra i misteri divini traducendo visivamente non il “mysterium fidei” in quanto tale, ma i testi che la Tradizione cristiana ha formulato per esprimerli e renderli comunicabili.

Nel XII secolo si affermò anche un'immagine della Trinità ispirata da una risposta che Gesù diede al Sommo Sacerdote durante il processo di fronte al Sinedrio: “gli rispose Gesù: ‘D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio’” (Mt 26, 64). Il Padre viene rappresentato con alla sua destra il Figlio, seduti su uno stesso trono. Tra di essi è posta la colomba rappresentante lo Spirito Santo. Dio Padre è raffigurato come un anziano, frequentemente con un globo e/o lo scettro, e talvolta con aureola triangolare, mentre il Figlio è accompagnato dai simboli della Passione.

Dal XII al XV secolo aumentarono le tipologie di immagini trinitarie, una delle quali fu denominata “trinità eucaristica”, ne è un esempio in Piemonte  l’iconografia della ss. Trinità nel Sacro Monte di Ghiffa, su una collina boscosa con vista sul Lago Maggiore. C’è il santuario, tre cappelle dedicate a differenti soggetti biblici ed il porticato con la “Via Crucis”.   Nel suo contesto accoglie le rappresentazioni del mistero dell’unita e trinità divina. Fra le più significative ce ne sono tre: la Trinità rappresentata da tre persone uguali e distinte; la Trinità rappresentata da tre figure distinte e differenti; la raffigurazione del Padre che tiene tra le braccia la croce su cui si trova il Figlio, sovrastato dallo Spirito Santo in forma di colomba. Quest’ultima rappresentazione è in bassorilievo su una delle tre campane del santuario.

Dal periodo rinascimentale ad oggi sono tanti gli artisti famosi che hanno realizzato note opere riguardanti le persone trinitarie ma esulano dal mio tema riguardante il tempo pasquale che viene concluso dalla pentecoste e questa conclude il topic. Ringrazio Nihil e gli eventuali lettori per la pazienza avuta nel leggere quanto ho scritto sull’argomento.