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Topics - ectobius

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Pensieri, riflessioni, saggi / Trame
« il: Settembre 08, 2015, 08:47:20 »
Ho voglia di scrivere una storia, ma non mi viene in mente alcuna trama... e allora mi domando: ma è necessaria avere una trama quando si pensa di metter nero su bianco? Rifletto, e infine penso che sì, che la trama occorra, e penso anche che esista ancora chi crede di poter dare un significato permanente a quanto pensa di dire.
Un significato!
È prodigioso, comunque, credere ancora possibile il significare in questa epoca di crisi d’ogni certezza, in questa epoca della instabilità anche individuale... epoca della impossibilità a tracciare anche solo per sé un qualsiasi percorso deciso!, nel bene o anche nel male... un percorso con un senso definitivo.
In letteratura è già da molto che si è rinunciato a disegnare personaggi a tutto tondo... quei personaggi analizzati psicologicamente e dal carattere stabile dei grandi romanzi, quelli, per dire, dell’ottocento. Ora non ci sono più esempi in letteratura... non più trame... e anch’io, se vado a rileggere le cose da me scritte anche solo pochi anni fa... provo il senso di non essere stato io a scriverle, e a volte, nella vita spicciola di ogni giorno, anche riesco a perdere del tutto il mio autocontrollo e la stabilità di un sicuro comportarmi (mi è successo di recente con uno stronzo, e mi sono lasciato trascinare al suo livello).
La politica?... evanescente!... non esiste politica, c’è solo amministrazione… ed è già tanto se si tratta di buona amministrazione… e la stessa Storia, quella con la maiuscola, sembra in balia di novità… a quando la riabilitazione di Hitler?
E mi chiedo: quali eventi hanno potuto determinare con tanta rapidità tanti radicali cambiamenti.
Certamente sono intervenuti, a gamba tesa, la scienza e la tecnica in caotico sviluppo e hanno modificato radicalmente mezzi di trasporto e di comunicazione, la politica, le guerre… Le guerre! Oggi è certo che non si può più parlare delle guerre come ai tempi di quella in Vietnam... o anche solo delle guerre in Iraq.
Ci stanno trasmettendo, in questi giorni, le immagini dell’accoglienza ai profughi in Germania tra gli applausi del popolo… sono bastate le immagini di un bimbo morto vomitato da quello stesso mare che ne ha inghiottito nel suo fondo qualche migliaio… ma presto vedrete che gli stessi che oggi applaudono all’accoglienza, già domani si scontreranno con la polizia perché li scacci, ‘sti poveracci... bimbi compresi.
E altro fenomeno: in letteratura, come non mai, c’è un gran rifiorire di diari, e allora ancora mi domando: ha ancora senso parlare della propria vita oggi, quando essa viene forzata ogni giorno al mutamento.
E invece sì, un senso ce l’ha! Chi si dedica a un diario, secondo me, lo fa per darsi una assicurazione di stabilità personale… darsi uno schema di trama di vita… per avere la certezza di esistere.

“Vedi, una notte ho fatto un sogno. Guardavo il mondo e il mondo si stava sciogliendo. Ero in La Cienega e da lì vedevo tutto il mondo. E si stava sciogliendo. Una scena davvero forte, e realistica, assolutamente. Be’, ho pensato, se il mio sogno si avverasse sarebbe un bel disastro. Cosa potrei fare per impedirlo, ho pensato. Capite?
Poi ho pensato che se mi facevo forare l’orecchio o qualcosa tipo se mi tingevo i capelli, cambiavo il mio aspetto fisico, insomma, be’, allora forse il mondo non si sarebbe più sciolto. E così mi sono tinta i capelli e questo è un colore buono, solido. Dura da un sacco. Mi piace. Adesso credo che il mondo non si scioglierà più”.

(B. E. Ellis)


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Altro / Sproloquio
« il: Agosto 25, 2015, 09:53:25 »
Gironzolo solitario, ruttando e petando, intontito come se stessi combattendo con una laboriosa digestione.
Ho proprio l’aspetto di chi va in giro senza un perché: non il cane al guinzaglio; non il sacchetto della spesa; non un passo affrettato per un appuntamento. E nei pressi di un supermercato, come sempre e chissà perché, procedo lento A volte entro e faccio un giro fra carrelli sovraccarichi spinti da massaie sformate, ex veline tristi devastate dalle gravidanze e dal tempo… figli al seguito… necessari?... bah!, e mi immalinconisco.
All’esterno del supermercato c’è un cassonetto della monnezza, e una volta ho visto una anziana signora dignitosamente vestita… una signora!!!... che frugava, contorcendosi per la fatica, nel cassonetto del supermarket.
Il mio cervello cominciava a perdere qualche giro, quando un giovanotto si è fermato, e sorridente ha detto alla signora! di fare attenzione a non sporgersi troppo che ci poteva cascare dentro, al cassonetto E allora non si sarebbe potuto salvarla perché sarebbe stata indistinguibile dalla monnezza. Ha riso soddisfatto della battuta, il giovanotto La signora!, da vera signora, non ha risposto, ché “quando si è poveri c’è sempre di mezzo tanta stanchezza e troppa fretta”.
Mi sono ripreso e l’ho guardata negli occhi, la signora!, con severità. Mentre il mio cervello cominciava a fare giri intorno ad una  parola:
Vergogna!
Vergogna per chi?
Per il giovanotto spiritoso… di patate?
Per la signora muta?
No!
Era vergogna per me!
Per me che rimanevo fermo sullo sguardo lacrimoso, lo sguardo che si perdeva nel buco del culo della terra; vergogna per me che non riuscivo a ricostruire la storia della vita della signora che nessuno vorrà mai prendere in considerazione; né riuscivo a ricostruire la storia stupida della mia vita… la storia che mi dovrebbe perseguitare fino ad infilarmi in un incubo; e ancora vergogna per me incapace, di fronte a questo squallido episodio, di riflettere a fondo, di far girare qualcosa di più solido nel mio cervello…
Ribellione, perbacco!
Comunque… una signora!, che cerca qualcosa da mangiare in un cassonetto della monnezza è  spettacolo proprio indegno… anche come esempio… Spettacolo da togliere ogni speranza anche al più ostinato amante della vita… e sì!, che ce n’è bisogno di speranza!, per amarla la vita!... Sarà per questo che da ogni parte si raccomanda di fermarsi, per igiene mentale, a guardare solo esempi di coraggio… di carattere… di gioia!...
Gioia?
Disgraziati noi!
Tutto questo pensavo, ma non con la dovuta prontezza, ché allora, forse, sarebbe servito a qualcosa. Ma l’ho pensato con ritardo… la signora e il giovanotto sono già andati via… e lo penso adesso mentre  comodamente seduto scrivo battendo i tasti del PC.
Al momento avrei dovuto sputargli in un occhio al giovanotto…  invece ho solo fatto arrivar sera gironzolando… ammirando vetrine.
In un negozio elegante ho acquistato un giubbotto in pelle imbottito, molto caldo ed elegante… mi sono guardato nello specchio… mi sta proprio bene. Il giubotto vecchio l’ho regalato al primo “negro” che ho incontrato, che ere in maniche di camicia… co’ ‘sto freddo!
Mi sono rimesso l’animo in pace!?
Macché!, ché invece di rientrare a casa (sospendendo la sana abitudine di attaccarmi dopo cena allo schermo dei begli esempi raccomandati e gioiosi) mi sono avventurato per strade ben illuminate, e ne ho incontrati a bizzeffe di esempi edificanti: bar affollati per happy hour; le belle auto che filano sui viali a tutta velocità, decappottate nelle sere fredde per esibire stereo superwattificati e chiome bionde di donne in pelliccia… tutte le scene che riconciliano con la vita!... ma… nei vicoli, nelle strade poco illuminate, ho poi accostato la malvagità del mondo inferiore.
VERGOGNA!
In gruppo una strana accozzaglia di individui bivacca intorno a un baracchino della “caritas”, avvolti nella penombra quasi fusi nel vapore della notte e di alcune ciotole di bevanda calda… Volti bianchi che ballonzolano nell’oscurità come diretti verso un cimitero a presenziare un funerale… Ubriachi drogati… alcuni che borbottano fra sé… uno russa su una panchina scoreggiando, la faccia lurida a squame come quella di un serpente:
“Alzati, fannullone!”
Altri ancora pisciano in un cantone.
E c’è anche gente che mi passa accanto e dalla quale non riesco a distinguermi con chiarezza… la più scoraggiante delle visioni!
Si riuniscono di notte questi disgraziati… perché?
Si dice che la notte è il loro tempo, e si dice che la storia, quella vera, la si fa di notte quando gli impiegati come me dovrebbero dormire per ricaricarsi e riprendere domani la loro di storia… la storia insulsa… la storia monotona, alla quale non si è capaci di opporsi prima di marcire con lei.
Può essere vero che questi altri, riuniti di notte, siano una sfida?
La solo loro presenza una sfida?
Essi a rappresentare i veri contestatori di uno stile di vita duro a morire… che non morirà mai!
Ma valà!
Io sono solo… questi cosa sono?... sono forse ancora capaci di odiare?... No!, sono i sabotatori della cosiddetta gioia di vivere di questo ordinamento!, ecco!... messi lì a porre bastoni fra le ruote con pretesa di dimostrare che il sistema ha fallito?... ho i miei dubbi!
Sono degli inutili da eliminare in qualche modo… Picchiarli!… rinchiuderli! in un carcere o manicomio… Soluzione finale, ecco! Altro che pretendere di essere l’essenza della storia vera di questa nostra epoca.
Ma... che siano solo degli innocenti?, minacciati nel corpo e nella ragione nonostante la loro innocenza?
Comunque sia, questo è un mare cattivo, minaccioso, rabbioso, intenzionato a travolgere chi disperatamente va in cerca di salvezza ancorandosi alla riva, quella antica, lontano nel tempo… sulla riva a guardare dall’alto questa furia che scaraventa le barche in aria e annega i disperati in cerca di salvezza…
Mi colpiscono gli spruzzi... Mi ubriacherò!, ché  voglio provare a non essere più solo spettatore… attore voglio essere… Si!, ubriacarmi di baraonde, sporcizie, volgarità… di inferno nel bassofondo dell’esistenza! E chissà, forse nella corrente potrei trovare la calma, ritrovare il tempo per una partecipazione più pacata e anche, forse, la capacità di commuovermi sinceramente… provare una solidarietà sincera.
Uno stress… ecco… uno stress è quello che mi ci vorrebbe!, di quelli capaci di scuotere fino al fondo del buco del culo… Sì!... uno stress!... Cercarlo disperatamente!, e di questo mondo di cose serie non sentirne più parlare!, ché non è possibile uscire dal circolo vizioso dello spettatore-attore… da questo mondo che  condiziona… e allora assistere e partecipare allo spettacolo dei fattacci, delle madri che ammazzano i figli… i figli che ammazzano le madri… i fidanzati le fidanzate… i malfattori al comando… suicidi al gas con un gran bel Buuum!, che distrugga il condominio e se ne vada in compagnia e via così!... Ne val la pena!, piuttosto che la normalità sbandierata ad ogni scena: famiglie normali… ragazzi normali… madri normali… soap opera dal vivo.
Ed eccoci!, con gli amici seduti in poltrona nella attesa della partita alla TV da commentare, parteggiare… applaudire!, mentre vorremmo dirci qualcosa, e non   facciamo in tempo, ché c’è la partita... c’è la pubblicità!
E’ ora di discutere di arbitri cornuti, adesso.
Non c’è tempo per recuperare… se pur ci sia ancora qualcuno che ci pensa. Eppure se ne parla a lungo di ‘sti omicidi, ma è solo spettacolo che fa audience: la morte violenta a “Porta a porta” e compagnia bella… ché c’è anche l’intrigo del giallo.
Il macabro con intreccio è irresistibile, non lo nego.
Ma anche lo spettacolo del massacro stradale è mica male!… Mica l’incidente senza morti… non vale la pena fermarsi… non ci si ferma nemmeno in mezzo al deserto per chiedere se ci sia bisogno di qualcosa, un aiuto per cambiare uno pneumatico.
Si scavalcano i morti ammazzati sul marciapiede.
Le immagini shock sono proibite: via le foto dell’anoressica!... altro che stress!... Mai far vedere i corpi dei massacrati della strada tra le lamiere di auto che sono meraviglie della tecnica, che vanno ad oltre i duecento all’ora.
Le entraglie, le cervella che fuoriescono da crani spaccati come da vescica fessa?... non bisogna mostrarle!... nemmeno descriverle.
Io ci provo ad emozionarmi!
Cosa ci poteva essere di meglio (in quanto ad efficacia stressante della diretta) dello schianto degli aerei sulle due torri… il crollo delle due torri? Non mi emozionarono nemmeno loro! Anche loro, le due torri che crollavano, le recepivo, mentre si afflosciavano con il loro contenuto di morte, come spettacolo, e nonostante facessi sinceri sforzi per un più congruo atteggiamento.
Si presentavano irresistibilmente come un film con effetti speciali! Ed era reale, invece, lo strazio delle migliaia di vite di esseri umani che in quel preciso istante si spegnevano tra le fiamme… si lanciavano nel vuoto.
È che se si è saturi di spettacoli di massacri In Iraq, Afghanistan, in Palestina, nei film, in televisione… mentre sediamo a cena.
Sempre spettatori Sempre più confusi tra realtà e fiction.
Bellissimi gli aerei in decollo normale e verticale, da immense formidabili navi, prodigi della tecnica E i carri iracheni bruciati senza resti umani a bordo?… Ve li ricordate? Ci raccontarono che erano stati abbandonati per tempo, prima dell’impatto del missile… invece gli esseri umani si erano semplicemente sciolti alle temperature di migliaia di gradi. E le trincee ricoperte di sabbia, le ricordate?… con tutti gli iracheni a soffocarci sotto, a migliaia E tutto pulito e spianato, senza visioni di morte.
Confessate! L’avevate dimenticato!
Ma niente paura, non disperate Cancellate pure, tanto lo spettacolo continua… ce n’è sempre di nuovi, in abbondanza E la forza dello spettacolo mai visto mitiga, con la grandiosità dell’immagine. L’emozione!
Nel momento in cui l’aereo si infilava nella torre come un coltello in un pane di burro era l’immagine a tenere prepotentemente il campo, era secondario che vi stessero morendo atrocemente migliaia di esseri umani.
Vi ho assistito in diretta, e c’erano anche altre persone Tutti preoccupatissimi… a parole…
Eppure:
“Corri, accendi la tele, non perderti lo spettacolo!”.
Si parla con leggerezza di guerre Si ammirano gli strumenti di morte E quanta indifferenza allo “spettacolo” della morte per fame; alla notizia della compra-vendita di organi; i corpi degli annegati nel Mediterraneo; i corpi in fila su una spiaggia coperti da un telo, e il carabiniere tranquillo e annoiato di guardia che fuma una sigaretta.
Dovrei vomitare di emozione, se non di sdegno… non mi riesce!  Abbiamo ormai cervelli da coglioni! Il pensiero è impedito, non riesce a fare un giro neanche nelle più crudeli condizioni.
Non riusciamo a raggiungere la temperatura sufficiente acché il burro si possa sciogliere.



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Cassonetto differenziato / Coppia
« il: Agosto 11, 2015, 08:45:16 »
“La parola “coppia” deriva dal latino “copula”. “Nel medioevo il lemma venne contratto nella lingua psrlata, e divenne “copla”, cioè coppia, che significa  legame, ma anche congiunzione tra due persone”. 
In somma, e in altri termini, significa coito. Sinonimi indiscussi nel parlare comune, e copulare! è poi anche un ordine perentorio:
“Copulate e moltiplicatevi!!”, punto!
E via a procreare per ordine della natura (che, detto fra noi, la natura è innocente… siamo noi che ‘sto mondo lo stiamo rendendo un immondezzaio).
Scusate la parentesi!
Comunque non fu mai comandato dalla natura di copulare esclusivamente fra due esseri uniti in coppia.
La coppia!, è, naturalmente, un legame fragile che normalmente, in natura, si scioglie dopo l’atto dell’accoppiamento.
Il “legame per sempre!” è, invece, “dimensione etica”: “l’impegno, la dedizione, la fedeltà al legame, danno [solo] senso [legale] e direzione al rapporto, e L’amore di coppia, se non è orientato dall'ethos diventa “effimero”, insomma impegno dedizione e fedeltà al legame resistono solo se il cosiddetto amore di coppia sia orientato dall'ethos. Se ne deduce che l’amore di coppia è esclusivamente fattore culturale, legato all’interesse della società che aspira alla stabilità attraverso la famiglia legalizzata dall’istituto del matrimonio.
Tuttavia il vivere in coppia può esistere, in alcuni animali, ma si tratta quasi di eccezioni e dura solo fino alla crescita della prole e alla loro indipendenza.
Nell’uomo cessa per natura dopo l’accoppiamento… quel che segue, a mio parere, è innaturale, frutto dell’interesse di vivere sicuri in una società data. Ora si potrebbe discutere se questo modello di società è unico e se sia il migliore, ma il discorso diventa troppo lungo e molto difficile.
In altri tempi fidanzamento e matrimonio erano un patto tra famiglie, mentre la coppia del nostro tempo si forma per libera scelta… scelta fragile, temporanea se non diventa scelta una volta per tutte… e allora ha niente a che fare con l’amore, ma è solo il risultato di condizionamenti culturali… alla faccia della libera scelta.
Il fidanzamento aveva una ragione, un tempo, come attesa per la copula… cioè per il coito che veniva rigidamente negato fino al matrimonio (negato, io dico, per il timore che una volta raggiunto lo scopo dell’accoppiamento si esaurisse ogni progettualità).
Il fidanzamento oggi è sostituito dalla convivenza,“tempo della prova”. Dopo, si dice, si sta insieme finché c’è il reciproco amore. Ma il reciproco amore (per sempre), lo abbiamo detto, è solo fatto culturale destinato ad esaurirsi, prima o poi, con l’esaurirsi del desiderio.
Per questo motivo si è prodighi in blablabla di consigli per far comunque durare un’unione innaturale infiocchettandola con spiritualità e valori.
Ma il desiderio è chimica... e la chimica è instabile: pertanto, a partire da questa considerazione, si rivendica il diritto alla libertà personale, di pensiero, di espressione, di azione… ma è possibile  impunemente dirlo?... e sì, ché anch’io, dopo tutto questo razionale discorso, mi ritrovo titubante… e non mi spiego il perché.




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Cassonetto differenziato / Il business nazionale
« il: Agosto 10, 2015, 10:24:19 »
Sommersi!, e la raccolta differenziata non ce la fa più a ripulire… E allora?, perché non organizzare un parco dei rifiuti?, ordinato in colline ai lati di viali ben curati e tersi:?, rocce di cubi metallici; colline di carta pesta; distese desertiche di vetro triturato… e turisti… turisti… turisti paganti...il business nazionale!, che, incossapevoli di tanta ricchezza, stiamo inseguendo invano.
Vrang!…Pang!…Puff!…Slam!... schioppettii tintinnii; chiasso di locomotive; trattori vagoni in manovra; autotreni autogrù, e musica... sempre!
La motorizzazione!, invade l’aera e lo spazio… risate lontane, urla giocose, un intero circo viaggiante, nani e ballerine, un rombo cupo di grancassa, e tutti ingoiati in un gran portale: “Il luna park della monnezza!”, un affarone!

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Altro / "Lo struscio"
« il: Luglio 30, 2015, 15:26:35 »




Struscio!
Dal verbo strusciare, cioè strofinare: io struscio, tu strusci, egli…   e già dalle prime classi elementari tutti ne conoscono il significato.
Ma “lo struscio”?
Ah! Ah!, chi me sa dire cosa è?
Ci sono stati (e forse ancora ci sono) strusci famosi: quelli talvolta anche descritti in un qualche brano giornalistico-letterario: lo struscio napoletano per “i sepolcri”, la passeggiata in via Toledo, ad esempio; lo struscio fiorentino, che con precisione non so come si svolga… Ma de “lo struscio” - diciamo quello minore- sapete qualcosa?... di quello tipico dei paesi agricoli del Meridione d’Italia?… e forse anche di tutti i paesi del meridione mediterraneo?... che non è quello dei contadini che strusciavano le scarpe chiodate sull’acciottolato, in piena notte, per recarsi al lavoro nelle lontane campagne… no!, mi riferisco al rito, giornaliero e soprattutto borghese, di quei paesi, che, invece, è lo strusciare di scarpe non chiodate… scarpe borghesi dalla suola di cuoio e confezionate su misura da locali favolosi artigiani, gli “scarpari. Scarpe che scricchiolavano ad ogni passo in un suono segno di appartenenza ad una classe agiata: le scarpe “ cu lu shcam’ ”.
È questo il vero “struscio”, pilastro della vita sociale dei paesi del meridione d’Italia … anche se lo vogliamo chiamare struscio minore: è qui, “lo strscio”, da dove vi parlo; è il percorrere su e giù la via  principale del paese, il corso, che va dalla piazza della chiesa madre fino al municipio… e saranno più o meno trecento metri… Su e giù una infinità di volte dal primo fresco dell’imbrunire.
E sul corso si affacciano le attività più importanti del paese: la sede del partito comunista e i “saloni” di barbiere; il circolo sportivo, il circolo degli agricoltori e dei professionisti, e il circolo dei cacciatori; il bar di Lanzetta e il saloon del Texas di Tamburriello; la farmacia e la salumeria di Guidarelli; la cartoleria e il giornalaio; il monumento ai caduti della grande guerra, e il negozietto di Pepp’Antonio, ove si acquistano semi di zucca, ceci arrostiti, “vasc’nell” (che sarebbero le carrube, anche dette “strazzaculi” per il loro effetto costipante)… E tutto l’acquisto viene consumato, sgranocchiando, durante l’intero rito de “lo struscio”, che inizia dopo la “controra”. Il termine lo potete trovate anche sul vocabolario della lingua italiana, e sono le ore dopo il mezzogiorno, ma qui “controra” è sinonimo di riposo postprandiale, che è mica un riposino breve, magari su un divano scomodo… eh, no!... è proprio un dormire con tutti i crismi, per ore e a letto, in perfetto abbigliamento notturno: la casa è immersa nel più profondo silenzio (non circola a quell’ora, nelle strade, nemmeno un carretto), e nel buio più perfetto da scuri ermeticamente chiusi. Fino alle ore diciotto, almeno, dura la “controra”, e solo dopo quell’ora si esce di casa… e questa è anche l’ora che i negozi aprono i battenti… prima sarebbe inutile.   
Sulla piazza non ci si fissa appuntamenti: “… ci vediamo stasera!”… e ci si incontra infallibilmente. Se non ci si trova immediatamente, basta un fischio di richiamo: cinque note acute ravvicinate ed una bassa un po’ staccata. Qualcuno arriva, infallibilmente, ed hai una mano sulla spalla.
Poco per volta si crea una grande animazione lungo il corso, e sono dissolte le vertigini del vuoto, l’angoscia della noia, mentre solo ci si dondola in conversazioni senza scopo, dimentichi di se stessi nel guardare il mondo che vive.
Ad ogni reiterato incontro ci sono saluti con sollevamento del cappello, o magari anche solo con un sorriso… ma, a volte, gli incroci possono essere meno gentili: tra ragazzi rivali, soprattutto, e possono anche volare insulti ad ogni incrocio, finché non si decida di allontanarsi a regolare i conti in zone più periferiche e poco illuminate. Non si allontanano, allora, solo i due contendenti, ma un folto gruppo per assistere, agratis, ad un incontro di pugilato.
 E si va avanti così fino ad ora di cena… che proprio cena frugale non è: infatti ci si siede a tavola, sul tardi, per un vero e proprio pranzo, abbondante, composto da un primo piatto (pasta col ragù), un secondo ben condito, e la frutta… insomma un nuovo rinnovato pranzone a conciliare il sonno notturno.
Ma c’è anche uno struscio mattutino: la domenica… poco prima e dopo la messa cantata nella chiesa madre. I partecipanti a questo struscio sono tutti molto giovani (molte le ragazze), ché le bizzoche partecipano in massa al rito delle prime messe, al mattino, molto presto.
Chiamiamolo, questo, “struscio festivo”. Limitato a solo poche “vasche”, ma queste molto ricche di sguardi incrociati tra ragazzi e ragazze… che si intendono in qualche modo, e durante lo struscio serale alcuni si assentano per un po’… riappaiono dopo un po’… gli sguardi soddisfatti.
E infine il grande “struscio” alla festa del santo patrono, Santo Rocco.
Affollatissimo, ché vi partecipano anche i contadini residenti in paese, mentre quelli delle campagne restano relegati anche in questa solenne occasione sociale, esclusi, come chiusi in campo di concentramento… E scusate la digressione… doverosa, peraltro, ma che non vi distolga troppo dal clima di festa.
Luminarie e bancarelle restringono il già stretto percorso dello struscio, e alla festa del patrono lo struscio diviene anche occasione di contatto fisico… ufficialmente distratto, ma in realtà cercato e anche ben accetto soprattutto dalle striscianti abbigliate in abiti sgargianti e possibilmente provocanti.

Ah!, “Lo struscio!”.

Ma il vecchio emigrante è tornato ed ha trovato lo struscio serale  ridotto a pochi sparuti e tristi vecchietti, e limitato a solo poche vasche tra auto parcheggiate e negozietti chiusi… e i più giovani parlano una lingua sconosciuta: sciatta, povera, senza emozioni.
Ibrida inquinata da altri dialetti…

Ah!, “Lo struscio!”.


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Cassonetto differenziato / AAA. eroe cercasi
« il: Luglio 21, 2015, 07:20:08 »
In palazzo reale è stata ricevuta, e insignita della massima onorificenza della repubblica, l'eroina dello spazio; il migliorista, a suo tempo, ha ricevuto e abbracciato, sempre in palazzo reale, i due eroi (sic) assassini di poveri cristi.
Ma che paese è questo, alla ricerca disperata dii eroi improbabili?

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Pensieri, riflessioni, saggi / Iato
« il: Luglio 13, 2015, 17:03:15 »
Non so nulla delle umbratili figure che si sciolgono nel cielo sulfureo simile al cielo del giorno del giudizio Immagini remote e pallide, come appartenessero a fiabe, saghe e leggende. È la voce stessa del passato, che vediamo e ricordiamo solo in confuse immagini nella confortante nebbia di uno strategico oblio. Il mondo è tramontato, appena ieri, ma in maniera tanto più irrevocabile.
Binari di vita di un tempo… volutamente spezzati, interrotti, e infine perduti nella volontà illusa di ritrovarli… li segui con la stessa disperazione con cui un ubriaco cerca la via di casa dopo una notte di bagordi.
I ricordi!…
“Queste ombre troppo lunghe per il nostro breve corpo... questo strascico di morte”… si accendono in noi per un attimo; splendono su un lampo di visione che viene a coincidere in quel momento con uno stato d’animo che ci fa vibrare; eco istantanea; folgorazione… colore odore suono tangibilità. Tutto in un attimo che non è possibile evocare a piacimento, comunque frazione magica nel continuo equivoco su ciò che crediamo di vivere e ciò che viviamo in realtà. Frammenti in cui si sono perduti i nostri presunti paradisi.
Ombre e larve nel mondo problematico e nebuloso nel quale ci siamo perduti... un mondo nel quale non c’è posto per la fervida e nostalgica curiosità della fanciullezza.
L’Io è diviso… si frantuma e dissemina, lasciando irrecuperabili brandelli di se stesso nei luoghi e nei momenti della sua storia… identità inafferrabili!, evanescenze destinate a disperdersi, ché la vita, nella sua corsa, si lascia alle spalle l’esistenza in progressiva mutilazione, e si perdono, a una ad una, come strati di pelle:  maschere in fuga.
Ogni nostro amore è un continuo inseguimento, tentativo di raggiungere l’eco sempre più tenue di un misterioso riconoscimento risonato dentro di noi… Menzogna!, esistenza puramente letteraria.
E vien l’ora in cui tutti i nostri abituali legami diventano caduchi e vuoti; viene il giorno in cui i vecchi pascoli sono isteriliti, e noi, eterni nomadi, dobbiamo cercarne di nuovi, incapaci come siamo di coltivare il nostro campo.
Fra l’io e la vita si apre uno iato, e non è più la tua vita.

Una casa, una famiglia Nessuna certezza.
Cane randagio uso a ricevere pedate gironzola, disorientato, in un manicomio confuso tra i tanti contraddittori dettagli del luogo… impossibili da decifrare.
Cose, luoghi, presenze Inquietanti accadimenti… una miriade!, e una sola verità Quella del perdente che ha perso il filo della propria vita al punto di aver rotto i ponti con la storia, e che, in ginocchio, tra un attimo affonderà perché non sa che fare per ricomporla, la propria vita dimenticata Non sa dove rintracciare un motivo intorno a cui rinnovare le illusioni, darle un senso… alla propria vita.
Niente!
Tutto risulta falso nell’ingarbugliato eccesso di confusi pensieri: la turbinante sarabanda di un andare e venire.
Un prevedibile futuro corrisponde così poco a quello che si è stati e poi diventati, mentre ritornano, di quando in quando, immagini remote e pallide, come appartenessero a fiabe. Saghe e leggende, una realtà, fatta di cose che sembra non ci appartengano, che immediatamente si cancellano per imporre la concretezza provocando spavento. Cose che ci accorgiamo non sono più nostre, mentre ancora risuona l’eco lontana e distorta di un mondo tramontato in maniera irrevocabile.
È un mondo tutto nuovo, questo, ove c’è abbondanza di tutto… ma nel cattivo; ove possono succedere cose che si ritenevano impossibili. Ed è talmente strano quel che sta succedendo, che si finisce  col pensare  di star sognando.
Può succedere di tutto!, anche che un clownesco farabutto truffatore si proclami inviato dalla Provvidenza e diventi signore dei comportamenti e quindi delle nostre non vite.
 Non ci si può perdere in fantasie, eppure… eppure ha un suo splendore magico quella eco! Quel flash che a volte si accende in noi per un attimo; uno di quei momenti fondamentali che ci fanno vibrare nella fuggevole istantanea folgorazione di un altro mondo: eco di colori, odori, suoni… frammenti di un presunto paradiso.
Frazione di secondo!, ma frazione magica!
Equivoco!
Che presto si dissolve in ombre e larve nelle nebbie del mondo problematico nel quale siamo perduti, nel quale non c’è posto per la fervida e nostalgica curiosità della fanciullezza.
Contrada piena di malinconia e segreto tormento.
Fra l’io e la vita si è aperto uno iato… e questa non è più la tua vita. Mentre il cosiddetto progresso avanza con passo da vincitore e riduce a legna gli alberi.
Questa che dovrebbe essere la tua vita, ed è, invece, una spremuta d’angoscia.
Più tempo che vita, mentre l’anima vorrebbe volarsene via.

Ai ev e drimm…
Si, scritto proprio così
Ché il sogno era di tutti
Anche di chi non conosceva l’inglese
Io l’ho avuto!, il sogno
Ma che fine ha fatto?

“Che non se ne parli più!”.

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Cassonetto differenziato / Umanità e... umanità
« il: Luglio 07, 2015, 11:18:40 »
Umanità… cos’è?

È una domanda tanto impegnativa che fa paura rispondere.
Ma che facciamo?
La lasciamo lì appesa in un forum, senza nemmeno fare un tentativo… se non altro per buona educazione.
Io ci provo, e se dirò delle sciocchezze, sono sicuro che tutti sarete indulgenti.
Allora andiamo.
Secondo me c’è un’Umanità con l’iniziale maiuscola e un’umanità co la minuscola.
Ve lo dico subito: le mie preferenze vanno a quella minuscola.
Sull’Umanità, quella maiuscola, che si è espressa nella storia, il giudizio di qualità non può che essere globale, storico… non dico che anche, individualmente, non si possa esprimere un giudizio, ma sarà sempre, uno per tutti, ancora storico (anche se modesto e difforme da quello ufficiale).
Un modesto giudizio anche per me… il mio di giudizio, ad onta delle grandi conquiste dell’Uomo, è negativo. Sì, è vero!, l’Uomo è un animale di grande intelligenza e capacità, non lo si può negare, ma più conquiste nel campo della tecnica è stato capace di raggiungere, più si è delineato (precisato storicamente) come un MOSTRO.
L’umanità, quella minuscola, invece, è fatta di pezzi unici… e sono  meravigliosi… sì, proprio nel senso di meraviglia, stupore, e il giudizio, allora non può che essere frammentato, quotidiano… infinito. E per esprimerlo usiamo le categorie della simpatia-antipatia, del piace-non piace, della stima-disistima, della comprensione, della sensibilità… e…e…e…
E poi è… è… è…
Un giudizio infinito, perché ognuno è.
Infinito, ma rassicurante, perché con esso ci collochiamo anche noi. Se saremo minoranza, possiamo sentirci orgogliosi di appartenerci, e  liberi anche di mettere, su chi dico io, l’etichetta “STRONZO”, “POVERACCIO”, e non soffrire più per la sua presenza.
E la nostra libertà di coscienza sia sempre rispettata.

Probabilmente questa mia divisione circa “l’Umanità”, è una di quelle sciocchezze per le quale contavo sulla vostra indulgenza, ma non sono del tutto convinto.
Cerco di spiegarmi: c’è l’Uomo, entità collettiva: Umanità…. quella che ha fatto la Storia, e che non può che essere giudicato che a posteriori, nella Storia appunto, dove tutto capita lungo percorsi previsti.
Poi c’è l’uomo, l’individuo, “l’umanità spicciola”, quella che è attore di un divenire fuori della Storia (nella geografia piuttosto), e che si esprime attraverso una serie di atti nel corso di una vita costruita secondo uno stile. Non percorsi previsti, dunque, ma linee di fuga fatte di goffaggine, debolezze, balbettamenti vitali, insomma tutto ciò che ne va a costituire fascino e fonte di ogni nostra emozione.

Alcuni giorni fa mi sono detto: ho voglia di vedere un film che mi faccia piangere spudoratamente.


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Cassonetto differenziato / Dignità
« il: Luglio 06, 2015, 15:10:35 »
Conoscere la propria vergogna e
conservare la propria gloria,
un uomo così è un modello
                    sotto i cieli.”

Laozi


Anche gli animali hanno una loro dignità: innata! E possiamo riassumerla nel progetto di vita guidato dagli istinti forti, in assenza della cognizione di morte.
L’uomo in questo differisce dall’animale, poiché, sprovvisto di istinti forti, la sua dignità deve costruirsela. Il compito è gravoso, ma un aiuto gli viene dalla consapevolezza della morte ineluttabile.
Per l’essere umano la dignità è uno dei suoi maggiori valori: è sotto la sua guida, infatti, che l’individuo sceglie un percorso di vita degno, da compiere per sviluppare il proprio io nella sua originalità, e dare alla propria esistenza un aspetto rispettabile… insomma un saper esistere anche se solo, quanto meno, con senso estetico.
E dignità è fedeltà al progetto, costi quel che costi.
Ha a nemico, la dignità: il conformismo!, che, con la sua pressante opera di spersonalizzazione e appiattimento, tende ad annullare le individualità, con perdita dei tratti più personali che sono i soli, infine, a presiedere alla costruzione di superiori progetti di vita.
In altri termini, il conformarsi spesso porta alla perdita di dignità, di quel sentimento fatto di autostima, considerazione delle proprie capacità, rispetto degli altri, pur nell’esercizio geloso della propria originale costruzione di vita.
Oggi, poi… oggi stiamo vivendo l’epoca della massificazione e del consumismo alienante, e ciò che prevale tra i valori è “l’avere” rispetto “all’essere”, con tutti i corollari di svalutazione: di cultura, dignità, rispetto per degli altri… solidarietà!… Non più individui pezzi unici, ma  ridotti, anch’essi, alla stregua di oggetti da possedere.
Nella società odierna, ancor più che in tempi andati, ci sarebbe, invece, la necessità di operare la scelta tra le due categorie: “dell’avere” e “dell’essere”, a favore, naturalmente, di quest’ultima. Ma oggi ogni scelta individuale è molto più faticosa e dolorosa che mai: scegliere l’essere, cioè l’instaurazione di un rapporto vitale e autentico con il mondo, è divenuto arduo, tanto che giustamente ci si chiede se ha ancora un significato il termine stesso di “dignità”… termine desueto e difficile da incontrare finanche in letteratura.

E' possibile estendere il concetto ad un intero popolo?

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Cassonetto differenziato / Destino
« il: Giugno 29, 2015, 16:33:48 »
Una storia senza storia… storia mai consumata, voluta così da un destino che aveva continuato, comunque, a tenerci uniti fuori del tempo.
E il destino non ha qualifiche: non esiste un destino capriccioso; un “ destino cinico e baro”… E al destino non ci si può… anzi non ci si deve opporre, anche quando abbia dato inizio a una storia da non prendere in considerazione, ma che comunque, inevitabilmente, perseguiterà gli attori.
Una storia che doveva sopravvivere solo come leggenda: desiderio più che possesso; parole di pianto nel sentimento di una perdita senza rassegnazione; sacrificio per farla sopravvivere e volare alto con ali trasparenti in un cielo blu blu, blu… e da mai costringere a scendere a terra!
Sì!, ché tutti quelli che tornano indietro vivi da questo mistero hanno occhi scavati in profonde occhiaie e labbra arse… perenni reduci da una malattia.

Il destino!, la strana entità che, più spesso di quanto si creda, è già in noi prima che trovi l’occasione per raccontarsi. È in noi!, un po’ innato in germe, che prima o poi germoglia, e allora bisognerà accettarlo e vivere l’ineluttabile con dignità…   
Da stupidi ribellarvisi… aggettivarlo, spregiarlo: “cinico e baro” sei tu stesso, e  la vergogna (se vergogna dovrà esserci) devi tenerla tutta per te stesso!

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Cassonetto differenziato / Migranti
« il: Giugno 09, 2015, 06:38:50 »
È sera… autunno.
Mi reco, con l’auto, in stazione per acquistare un biglietto… un viaggio per… non ricordo dove… in un altro mondo?
Sul piazzale un uomo dall’età non definibile… sembra vecchio... infagottato in un incredibile sovrapporsi di stracci... forse indossa due cappotti, uno sull’altro, sudici e laceri. Si muove lentamente sorreggendo tre grosse buste di plastica… tutti i suoi averi… tutta la sua casa. Si ferma ad ogni cestino di rifiuti, poggia a terra le tre buste, e fruga.
Terminato il giro dei cestini si avvia lento verso l’interno della stazione, fumando una sigaretta appena arrotolata… col tabacco di cicche raccolte?
Dove andrà a dormire?
Certamente non gli sarà permesso accomodarsi nella calda sala d’aspetto…
Forse vive così per sua scelta… compiuta sull’incredibile accumulo di macerie di una vita.
Un viaggio per un altro mondo.

Sono alla ricerca di un parcheggio...  giro a lungo… non lo trovo.
Nei pressi, appartato, uno slargo poco illuminato, affollato da stranieri… per lo più neri. Bisogna diffidarne, ma solo qui c’è, forse, la possibilità di parcheggiare.
Lo spazio è appena sufficiente alle dimensioni dell’auto, ma due giovani uomini di colore scuro smettono di chiacchierare. Si avvicinano e mi guidano nella manovra. Scendo, ringrazio, ma vengo preso da un involontaria apprensione: ritroverò l’auto al mio ritorno?
L’auto è ancora lì al mio ritorno.
Gli stranieri, quasi tutti neri, sono ora una folla, vivacissima; hanno movimenti rapidi e precisi; ridono; l’aria vibra su un rotolare veloce di gutturali; uno piscia tranquillo in un tombino… non sembra ubriaco.
Vengo preso da uno strano timore, ma controllo i miei movimenti… loro manco mi guardano. Che sia solo il loro modo di stare insieme?, lasciare tutto alle spalle (un tutto enorme), e tirare a campare?
Ma si! Si lasciano, e solo ora possono farsi cadere la vita addosso, senza emozioni, senza la tristezza che pur si addirebbe loro: la guardano scorrere fuori, la vita… non vogliono rivedere il loro film dall’attraversata del deserto; i corpi qua e là nella sabbia, essiccati dal sole; le ossa umane calcinate; via via fino ai barconi, dove, all’impiedi, l’uno addossato all’altro nel barcone, i bisogni van fatti addosso; la morte vicina; i cadaveri da scaraventare in mare. Una sola alternativa: sbarcare su una terra d’Europea o morire… lo sanno, e vanno avanti.
 Quanto grande può essere la forza della disperazione!
Avanti sulle onde di un mare infido, ma: “In mare si muore una volta sola, mentre se stai [a casa  o] in Libia è come se morissi tutti i giorni…”.

E noi?, noi!, i deboli che osiamo anche disprezzarli.
Impariamo almeno il com-patire!… fino a sentire gli odori e soffocare; fino ad avere nelle orecchie il trapano delle grida, delle bestemmie… i gemiti. Questo, forse, ci strapperebbe al flusso distratto ed illuso di una vita comoda senza morte… Ci  obbligherebbe all’attenzione spasmodica?... A dare conto di ogni cosa?… Ci porterebbe all’etica della responsabilità?
Ma “... questo luogo non appartiene alle creature umane, nude e tremanti, ma ai macigni inarrestabili, alle macchine invadenti e alle loro ululanti invettive... e se non vai fino all’estremo conseguenze delle cose, immediatamente ti ritrovi di nuovo di fronte al nulla”.
Ne avremmo da imparare!
Imparare a guardare anche noi oltre le finestre… oltre gli schermi, attenti agli odori, ai gemiti, alle grida, le maledizioni, le bestemmie.
Per ora non impariamo nulla,  ma, infine, il puzzo di putrefazione sarà tale che nessuno più se ne potrà stare in disparte… troveremo molti compagni di viaggio, e l’arma del dolore ci salverà.
Solo allora non saremo più dei nulla!
 
È una domenica… domenica di sole, e ancora li ho visti!, questi neri. Vestiti a festa, e sorridenti sul piazzale della stazione. Si stringono le mani vigorosamente in larghi gesti... si abbracciano. Hanno guardato negli occhi la nera Signora e sono avidi di vita, amore, solidarietà.

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Altro / A berlino... tanti anni fa
« il: Giugno 04, 2015, 15:51:10 »
C’è la neve! sulle strade e sulle piazze, sui tetti sugli alberi e sui monumenti… C’è freddo! e si addice ad una Berlino di una sera di dicembre.
Una birreria sull’altro versante del viale periferico si raggiunge scendendo degli scalini… dalle finestre basse spande un caldo chiarore sulla neve e rompe il silenzio in cori cadenzati.
Seduto su una panchina sotto gli alberi, sporco e coperto di stracci... ubriaco un vecchio “teutone” col suo triste destino venuto da molto lontano.
Gli è di fronte in piedi chi ricorda... e forse riconosce quel vecchio omicida gratuito.
Il vecchio solleva occhi lacrimosi e spenti, ha un naso bitorzoluto grosso e livido, ghiaccioli sulla barba.
Tende la mano:
“De l’argent… s’il vous plait…”, dice in stentato francese.
Cinquanta marchi gli ha regalato da spendere nel suo ennesimo inutile tentativo di dimenticare.
Non ha ringraziato, il vecchio Si è alzato a fatica e sbandando si è avviato obliquo alla birreria inseguito da passi lievi e ostinati sulla neve… quelli dell'ombra di un ragazzo insanguinato, vittima inerme ed innocente del suo mitra.
La memoria ha seguito il vecchio... si è tolta il cappello:
"Sì, è lui!"
Poi si è seduto sulla panchina lasciata vuota e ha pianto.

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Cassonetto differenziato / La scuola
« il: Maggio 19, 2015, 11:36:38 »
La scuola fascista!: me lo ha raccontato un vecchio parente che ebbe “l’onore” di frequentarla in un paese delle Puglie, nel millenovecentotrentacinque! Gli anni del fulgore e delle grandi imprese di un popolo di eroi, naviganti, artisti… eccetera… anche se  per una buona metà analfabeti totali.  Tempi di pace sociale nel secolare vergognoso ordine di “giustizia sociale”.
Questo zio apparteneva, all’epoca, ad un una famiglia numerosa, dieci figli per la Patria, dieci figli cui consegnare le milioni di baionette Ma nessuno dei dieci fece mai il militare. Tutti esonerati. Una famiglia riservatamente benestante, e, per un sovrapiù di fortuna, non di ereditieri feudatari terrieri, e con una biblioteca in casa, privilegio massimo!
La scuola, dunque.
Uno stanzone enorme, quadri del duce, del re e il crocefisso. Riscaldata d’inverno con braciere, ccui contribuiva il calore umano di quaranta alunni, che emanavano un tepore dallo strano caratteristico odore di erbe e stallatico e sudore. Quattro lunghe file di banchi: tre file per gli asini, che erano i figli di contadini e artigiani; e una fila per i bravi file per i bravi, gli appartenenti alle classi privilegiate che al massimo arrivavano al ceto impiegatizio… e oltre le file c’erano anche i primi e gli ultimi banchi!  A operare le distinzioni.
Mio zio, figlio dell’industriale del paese, sedeva al primo banco della  fila dei bravi… Nella fila degli asini (in queste non c’era necessità di primi e ultimi banchi) i figli di contadini e artigiani erano tutti uguali e avevano cartelle di pezza e pezze al culo Avrebbero frequentato, quando andava bene, solo fino alla quinta elementare.
Di questi il maestro avrebbe fatto volentieri a meno: li considerava meno che ospiti sgraditi… Non si curava di loro, e pretendeva solo che se ne stessero buoni per quattro-cinque ore, altrimenti botte… e di gusto!, fino a lasciare segni E a casa il resto e tante grazie al maestro, perché “mazze e panelle fanno i figli belli”.
Ma questi ragazzi, nonostante fuori della scuola fossero i più bravi in tante cose, i più vivaci, e sapessero, e capissero molte più cose di molti della fila dei bravi… ebbene questi poveri ragazzi non sarebbero mai diventati belli ad onta del proverbio delle mazze, anche perché spesso mancavano le “panelle”. A fine del ciclo scolastico dell’obbligo sapevano a stento leggere (male) e scrivere (peggio)… e per loro iniziava il periodo di un precoce rapido invecchiamento: avviati allo sgobbo perdevano rapidamente la loro vivacità e nessuno più li invidiava… divenivano man mano oggetto di disprezzo… razza a parte… alieni! Fannulloni che s’erano meritato il loro destino di lavoro da bestie… e, all’occorrenza, di soldati di prima linea nelle guerre dei padroni.
Era giusto così!
E tutti, infine, ci credevano, preti compresi E loro stessi finivano per crederci!, e finivano anche con l’ ammirare e rispettare gli artefici del loro duro destino.

Ora esistono ancora le file dei bravi… che bravi non sono: si tratta dei diplomifici a pagamento, ma pagati in proprio solo in minima parte. È lo Stato che li sostiene E la scuola pubblica la si fa sempre più assimilare alle file dei banchi per gli asini di antica memoria, ma, ironia!, è solo dalla scuola pubblica che escono i pochi veramente bravi.
Per quale miracolo?


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Altro / Ritorno
« il: Marzo 27, 2015, 11:29:55 »
" E infatti eccoci qua!
Attratto!... misteriosamente attratto!...
e no sono il solo.
Altrettanto, misteriosamente, siamo in tanti
che torniamo a radunarci qui!
... di quando in quando.
E allora mi domando:
"Che cosa diavolo stiamo cercando?".
Un amico... un amore...?
Non li troveremo!
Non ci sono più!
La saggezza?
Si quella... forse.
Forse quella potremmo trovarla,
ma quello che con più certezza troviamo
è il fascino strano di ritrovarsi qui".

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Cassonetto differenziato / Specchi e... cinema
« il: Febbraio 08, 2015, 09:31:07 »
Il cinema è ancora muto. C’è fumo in sala, sì!, ma felicemente annebbia le menti; un violinista autodidatta riesce a commuovere e due grandi specchi deformanti sono gioia di bambini che, negli intervalli, vi si specchiano in chiassosa allegria d’innocenti squillanti risate, felici di smorfie.
Nessun adulto osa specchiarsi.
 Girano alla larga, gli adulti, e seri, fumosi, muti fissano in oblio solo lo schermo di fiabe consolatorie.
Dove sono finiti quegli specchi, ora che quella sala non c’è più e il cinema non è più muto?
Enormi, robusti, incorniciati in spesso legno di noce… Impossibile siano andati distrutti. Forse sono solo finiti in un qualche magazzino. Nascosti, inattivi, sepolti dalla roba vecchia e fuori moda e invendibile.
Dimenticati dietro mucchi di mobili tarlati, gli specchi del vecchio cinema, sono stati tenuti rigorosamente lontani dalla vista di adulti acquirenti che hanno timore a specchiarsi e scoprire che è solo presunzione il credere di aver fatto della loro vita un’opera degna.
Il negozio del rigattiere, dopo i tanti anni, è invaso dai tarli e il vecchio mobilio va sciogliendosi in polvere. E’ tempo di chiudere Smettere il commercio in crisi.
Si sbaracca, e il vecchio è stanco di vita.
Credenze e panche da chiesa basta muoverle che tutto crolla. 
E cosa appare?
Nascosti che è un secolo, eccoli gli specchi sporchi di stanchezza, e l’immagine che rimanda uno dei due è di un omino piccolo e grasso e stanco.
Vi si riconosce, il vecchio tarlato.
Quella è la sua immagine vera, quello che è sempre stato ed è… quello che si è finora si è negato e nel quale lo specchio del vecchio cinema ora squarcia in un varco mettendo in moto un film: il film di una vita.
Non è più possibile negarsi, né più possibile fuggire. Il film che si proietta nella mente del vecchio non è più muto, e ricapitola, inesorabile e con precisione impressionante, disillusioni, cadute, fallimenti.
Il commento è in sonoro, assordante e spietato.
Non regge, il vecchio.
Afferra una spranga e manda in frantumi entrambi gli specchi innocenti. 
E’ stata questa la fine misteriosa degli specchi, del vecchio cinema muto, del rigattiere.

“E ora cosa vuoi?”
“Voglio morire”.

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