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Post - victor

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Altro / 003 - Pagine dal diario di un ragazzo felice - Da mio nonno 2
« il: Settembre 27, 2011, 22:04:06 »
Da mio nonno - Parte seconda

Quell'estate la trascorsi tutta in casa di mio nonno. La vita veniva scandita dal suono delle campane. La mattina alle sei, le campane del convento dei cappuccini suonavano la sveglia, a mezzogiorno suonavano una seconda volta e ci si sedeva a tavola. Quando ci si sedeva per pranzare, nella grande cucina, mio nonno stava seduto a capo tavola ed a me era stato assegnato il posto di fronte a lui, all'altro capo tavola. Mi spiegarono che essendo morto l'unico figlio maschio di mio nonno ed essendo io il nipote maschio più grande, quando io ero presente, questo secondo posto d'onore toccava a me di diritto e quando c'ero io nessuno poteva occuparlo.

Mia madre, scherzando, ogni tanto mi diceva che io ero cresciuto con il complesso del “maggiorascato”. La sera, al tramonto del sole, quando la campana del convento suonava l'Ave Maria, mio nonno, mentre le donne preparavano la cena,  iniziava la recita del rosario, ma io avevo il permesso di continuare a giocare in cortile. Al termine del rosario tutti, la famiglia e la servitù, ci si sedeva ciascuno alla sua tavola.

Dietro il palazzo c'era un grande cortile e oltre il cortile si estendeva la proprietà di mio nonno (era chiamato il mandorleto) e quelle di altri parenti dove io potevo girare e scorazzare liberamente. A fianco del cortile c'erano vari magazzini, la stalla con il fienile, e l'ovile per la mandria delle capre. C'erano anche delle case nelle quali abitavano varie persone, tutte, più o meno, legate da rapporti di lavoro con la famiglia di mio nonno. Io giravo a destra e a manca, entravo e uscivo da quelle case, assaggiavo quello che loro cucinavano, giocavo con le ragazzine in quanto i ragazzi erano al lavoro in campagna.

Mio nonno mi aveva posto due soli limiti: potevo uscire dal cortile, ma non dovevo giocare per la strada e non dovevo superare i confini della proprietà sua e dei parenti, ma questi confini si estendevano per circa cinque km per cui avevo molta libertà. Io ho sempre rispettato queste due limitazioni. Per il resto mi sentivo un principe.

Maria per buona parte della giornata doveva dedicare il suo tempo a me. In pratica la mattina completata la pulizia delle stanze da letto poteva veniva a giocare con me fino a quando veniva chiamata per accendere il fuoco per il pranzo del mezzogiorno. Così pure il pomeriggio, riordinata la cucina, tornava a stare con me fino a quando le campane del convento dei cappuccini suonavano il vespro e doveva accendere nuovamente il fuoco per la cena. I ritmi della giornata e le faccende domestiche erano scanditi dal suono delle campane.

Di giorno con Maria giravamo e correvamo per la campagna e per le colline. Lei si arrampicava sugli alberi per raccogliere fichi, mandorle, ancora non completamente mature che mangiavamo con tutto il mallo, raccoglieva anche le azzeruole, ed altri frutti. Io l'aiutavo ad arrampicarsi spingendola per il sedere. Quando era sui rami mi piaceva guardare sotto la sua gonna. E lei che se ne accorgeva, mi osservava maliziosa. Talvolta ci nascondevamo in un angolo o dietro una siepe e facevamo ciò che avevamo fatto la prima sera e non era più possibile fare in quanto a letto ci andavo da solo.

Quando Maria era occupata a casa, e io ero solo, andavo nelle case dei vicini. Le mamme mi accoglievano volentieri nella loro casa e mi accontentavano in tutto quello che chiedevo. I bambini piccoli mi guardavano a rispettosa distanza, non c'erano ragazzi maschi della mia età in quanto erano al lavoro, in campagna con il loro padre, oppure dal “mastro” per imparare un mestiere. C'erano solo ragazzine della mia età o poco più grandi che facevano a gara per coccolarmi o per farmi dei regalini. Catturavano grilli e farfalle da dare da mangiare ai miei uccelli, mi regalavano un sasso strano o colorato, un pezzo di specchio rotto, una zappetta rotta e sgangherata con cui scavare la terra o un pezzo di stoffa. Cose bellissime per quei tempi, cose che oggi è difficile capire. Talvolta veniva qualche altra ragazzina di un altro quartiere e guardandomi si dicevano sottovoce “è il nipote del cavaliere”.

Talvolta chiedevo alla zia il permesso di fare venire le ragazzine a giocare con me nel cortile o sull'aia dove veniva trebbiato il grano. Ero l'unico maschio con tante ragazzine attorno. Lorenza, la persona di servizio mi prendeva in giro dicendo che tutte le ragazzine erano innamorate di me e io mi arrabbiavo. Ne ricordo una la quale, quando poteva, stava sempre vicino a me e mi copriva di attenzioni. Sua madre la chiamava sempre “fai questo, fai quello, vai a prendere questo, vai a portare quello”, e lei ubbidiva sempre in silenzio.

Qualche volta mi diceva “mi aiuti – oppure – mi accompagni” ed io cercavo sempre di accontentarla in quanto le leggevo negli occhi il dispiacere di doversi allontanare da me. Ricordo che, quando nessuno ci vedeva, mi carezzava i capelli e il viso, ma io non capivo... un'altra volta, mentre eravamo sull'aia a giocare e a rotolarci sulla paglia mi abbracciò e mi diede un bacio sulla guancia... quella volta capii, ma la mia mente era presa da Maria ...


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Altro / Re: Da mio nonno 1
« il: Settembre 27, 2011, 21:54:22 »
Rispondo a Nihil.

Se hai vissuto in campagna, che sia al sud o al nord i ricordi sono necessariamente particolari.

Ma io sono convinto che anche tu sei del sud.

Perché non ci racconti qualcosa anche tu?

Dai, Nihil, fai uno sforzo e narra anche tu …

Ciao, Victor


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Altro / Re: Da mio nonno 1
« il: Settembre 27, 2011, 21:53:31 »
Rispondo a Presenza.

Grazie per l’apprezzamento. Sei molto gentile.

Comunque leggi il seguito …

Si, Presenza, sono del sud …

Ma, io amo dire che la Sicilia, la mia terra, è la Svizzera del Mediterraneo …

Di dove sei tu?

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Erotico / Re: Meglio le corna o la noia
« il: Settembre 27, 2011, 21:02:10 »
Nihil,

Indiscutibilmente il problema è complesso e le interpretazioni personali sono infinite.

Il tuo intervento, anche se breve è molto profondo e articolato.

Avrò bisogno un poco di tempo e di riflessione per risponderti. Ma ti risponderò.

Ciao e grazie

Victor

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Altro / 002 - Pagine dal diario di un ragazzo felice - Da mio nonno 1
« il: Settembre 27, 2011, 00:13:31 »
Estate 1944

Da mio nonno 1

Gli alleati erano sbarcati l'anno precedente e pertanto da noi la guerra era finita, anche se continuava nel resto dell'Italia. Avevo 8 anni ed avevo completato la terza elementare. Il governo alleato aveva tolto l'ammasso del grano e il commercio del pane e della farina erano tornati liberi. L'ammasso del grano era l'obbligo che il governo aveva imposto agli agricoltori di consegnare tutto il frumento raccolto allo stato che successivamente provvedeva a distribuire il pane e la pasta razionati, cioè tanti grammi a persona mediante le tessere.

Era il mese di giugno e mio nonno, appena raccolto il grano, provvide a macinarlo e inviò, con don Vincenzo il carrettiere, alcuni sacchi di farina alla nostra famiglia. Scaricati i sacchi, mio padre e mia madre mi misero sul carro e mi mandarono da mio nonno e da mia zia per passare le vacanze estive con loro. Viaggiammo tutto il pomeriggio e tutta la notte percorrendo circa 60 Km.

Ero eccitato e felice per la nuova avventura che stavo per affrontare. Avrei trascorso tutte le vacanze con mio nonno e mia zia. La notte dormii coricato sulle tavole del carro, coperto dai sacchi di farina vuoti, mentre questo sobbalzava ad ogni asperità della strada.

Durante il viaggio il pensiero correva a mio nonno ed a mia zia. L'ultimo ricordo che avevo di mia zia, che non si era sposata, era struggente. Doveva nasce la mia sorellina ed io ero ammalato di tosse convulsiva (allora la pertosse veniva chiamata così per via dei suoi attacchi terribili e convulsivi e non esisteva la vaccinazione). Così i miei genitori mi avevano portato da lei per non contagiare la piccola, quando sarebbe nata, perché avrebbe rischiato di morire (ma io tutto questo non lo sapevo). Ricordo quei terribili attacchi di tosse che mi squassavano il petto e tutto il corpo, ricordo mia zia che mi stringeva a sé, piangendo in quanto soffriva per la mia sofferenza e non poteva fare nulla per lenire o calmare quegli attacchi di tosse.

Arrivammo all'alba, erano tutti svegli e ci aspettavano. Ricordo ancora come mi accolsero tutti festanti. C'era tutta la servitù. Donna Febronia, l'anziana serva che lavorava in casa del nonno la mattina e che il pomeriggio tornava a casa propria (doveva attraversare soltanto la strada perché la sua casa era proprio di fronte). Lorenza, che era a servizio pieno e dormiva nella casa del nonno. Maria, una ragazzina due anni più grande di me e che dormiva anche lei nella casa. Apparteneva ad una famiglia con nove figli e sua madre l'aveva affidata a mia zia perché le desse un aiuto, ma principalmente affinché loro avessero una bocca in meno da sfamare (erano tempi molto tristi). C'era don Filippo che veniva la domenica e si occupava di coltivare l'orto e fare tutti i lavori pesanti.

Mio nonno viveva in un gran palazzo costruito in pietra lavica, ai margini del paese, che si proiettava in mezzo alle campagne. Salii a casa, la ricordavo appena, l'ultima volta che l'avevo vista era stato prima della guerra. La casa era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti e ancora non era stata completamente riparata, pertanto non era completamente agibile. Aveva di tutto. A piano terra c'era la cantina, il granaio, la carbonaia, la legnaia, la falegnameria (per uso proprio), la stanza del forno (il pane si faceva in casa) e tanti magazzini. Nel cortile c'era un grande pollaio e dietro il pollaio c'era la stalla e l'ovile in cui stazionavano le capre. Una serie di casette, sempre di proprietà di mio nonno, circondavano la casa. In queste case abitavano diverse persone che per il lavoro dipendevano direttamente o indirettamente da mio nonno che veniva chiamato da tutti il cavaliere.

Al primo piano della casa c'erano una infinità di camere le quali stavano quasi sempre chiuse, ad eccezione delle camere da letto. Tutta la vita si svolgeva in cucina. Una grande cucina dove si viveva tutto il giorno. Su una parete i fornelli, sia quelli piccoli a carbone, che quelli grandi a legna con delle grosse pentole di rame. Sulla parete accanto c'era il ripiano delle “quartare” (i recipienti con cui si portava l'acqua in casa, ancora non c'era l'acqua corrente) ed i “bagani” (le vasche in ceramica smaltata verde in cui si lavavano i piatti e le stoviglie). Sulle altre due pareti si trovavano tanti armadi. Al centro c'era una grande tavola che serviva per lavorare e sulla quale pranzavano mio nonno e la sua famiglia. Un po' più distante c'era la “buffetta” un'altra tavola anch'essa abbastanza grande, ma più bassa, sulla quale mangiava la servitù. Alla cucina si accedeva dalla scala di servizio. In pratica tutti entravano e uscivano da questa scala perché la “scala grande” stava sempre chiusa.

La sera del giorno in cui sono arrivato eravamo tutti seduti a tavola e la mia testa, a causa della stanchezza e del sonno, come ho detto avevo passato tutta la notte sul carro, ciondolava “nel piatto”. Così mia zia diede disposizione a Maria di portarmi a letto. Raggiunta la stanza da letto, all'altra estremità della casa, Maria preparò il mio letto e il pigiama, poi mi tolse i pantaloni, la camicetta, le scarpe e fece l'atto di togliermi le mutandine. Ma io le tenni strette con le mani.

Riprovò una seconda volta e anche questa volta glie lo impedii. “Ti vergogni?” mi chiese. Dopo un poco, non ricordo come fu, ci ritrovammo tutti e due nudi dalla vita in giù.

Osservavo le sue gambette magre (oggi sarebbero state definite anoressiche). Ma erano magre per la fame che c'era a quei tempi. Osservavo la sua vita e suoi fianchi sottili. Guardavo il suo sesso appena pronunziato, aveva la forma di un grosso chicco di caffè! Era la prima volta che mi capitava di osservare il sesso di una ragazza così da vicino. Poi lei prese l'iniziativa e prese il mio pisello in mano e si mise a manipolarlo. Mentre lei lo toccava notai che si gonfiava e si drizzava.

Era una sensazione piacevole. Lei, poi, prese la mia mano e la portò sul suo sesso. Come era morbido e delicato! Presi ad esplorarlo. Mi piaceva toccarlo. Così cominciò la mia scoperta di una ragazza!

(continua)

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Altro / Re: Cinque anni
« il: Settembre 27, 2011, 00:10:12 »
Avete pienamente ragione ...

Ma io trascrivo gli appunti che in passato avevo scritto.

Questi sono i più remoti e sono necessariamente frammentati.

Gli altri sono più organici. Lo potrete notare da quello che metterò fra poco ("Da mio nonno").

Comunque grazie, grazie per averi letto, grazie per quello che mi dite, grazie per avermi dedicato il vostro tempo.

Ciao

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Altro / Re: Cinque anni
« il: Settembre 25, 2011, 22:11:22 »
14 novembre 1941

C'era la guerra. L'Italia, alleata con la Germania e il Giappone combatteva contro l'Inghilterra, la Francia, la Russia e gli Stati Uniti.

All'improvviso si udirono gli aerei e poi lo scoppio delle bombe. Il mio ricordo è molto vago. C'era un gran fuoco nella stanza da pranzo, proprio di fronte al balcone. Fuoco e fumo da soffocare.

Mi portarono via. Ricordo che mio padre prendeva i vasi delle piante dal terrazzo e gettava la terra sul fuoco. Poi venne anche mio zio. Lui e mio padre prendevano i sacchi di sabbia che proteggevano l'ingresso del garage che fungeva da rifugio antiaereo e gettavano la sabbia sul fuoco.

Poi mi raccontarono che quella sera gli aerei avevano bombardato la città. Avevano lanciato degli spezzoni incendiari. Due avevano colpito la nostra casa e due erano caduti nel cortile. Quelli che avevano colpito la casa avevano sfondato il tetto sia nella stanza da pranzo, che nella stanza da letto e si erano incastrati nel pavimento.

Per fortuna mio padre e mio zio erano riusciti a spegnerli prima che la casa prendesse fuoco.


febbraio 1942 - Nasce la mia sorellina.

C'era la guerra ci siamo trasferiti nel comune in cui abitano la sorella di mia madre e suo marito.

Io vado ad abitare a casa loro. Infatti ho la pertosse (tosse convulsiva) e non si deve correre il rischio di contagiare la piccola che nascerà da un momento all'altro. Mia zia si occupa di me. I miei abitano in una casa vicina presa in affitto. In quei giorni nasce la mia sorellina. I miei tornano in città e io resto con mia zia finché guarisco.


Giugno 1942 – 6 anni

Compio sei anni e completo la prima elementare.


Ottobre 1942 – seconda elementare

Inizio a frequentare la seconda elementare. La paura dei bombardamenti e le voci di uno sbarco imminente delle truppe alleate ci costringe a lasciare la nostra città e a trasferirci in campagna, a cinque km di distanza.

Poiché non posso frequentare la scuola i miei genitori mi mandano a lezioni private presso una maestra che abita a poca distanza dalla casa in cui abitiamo. Mi dicono che a giugno ho fatto gli esami per essere ammesso in terza elementare, ma io non lo ricordo.

Ricordo molto bene, invece, che la maestra aveva dei giornali che avevano il titolo “Cronache della Guerra” e ricordo che io leggevo quei giornali con avidità.


Estate 1943 – Sette anni

La guerra continua. Noi siamo sempre in campagna. Sbarcano gli alleati in Sicilia. Vedo passare una colonna di carri armati tedeschi diretti verso sud. Sono carri armati Tiger e sono enormi. Mi hanno detto che era la divisione Goering. Camminano lungo la strada nazionale muovendosi a scatti verso destra e verso sinistra. Fanno questi movimenti per sfuggire al tiro dei cannoni anticarro. La sfilata dura un intero giorno e tutti siamo impressionati dalla grandezza e dalla potenza di questi carri armati.

Poi ci trasferiamo nella casa di campagna di mia nonna in montagna. Anche da lì fuggiamo e restiamo nascosti nei boschi per tre giorni. Vengo a sapere che le truppe tedesche si sono ritirate e che le truppe alleate avanzano. Poi torniamo in campagna nella casa di mia nonna e da lì ci trasferiamo nuovamente nella campagna vicino alla nostra città, affinché mio padre potesse tornare a lavorare in città.

Assistiamo al passaggio delle truppe alleate. Sono dirette verso nord. Sfilano ininterrottamente per tre giorni e per tre notti. E' una interminabile colonna di carri armati, di autoblindo e di mezzi anfibi carichi di truppe. Tre carri armati sfondano il muro della strada nazionale e cadono proprio dentro la campagna in cui noi ci troviamo. I soldati che li occupavano tagliano gli alberi e montano le tende per accamparsi proprio accanto alla nostra casa.


Autunno 1943 – Ritorno a scuola

Mi dicono che l'8 settembre 1943 viene firmato l'armistizio tra l'Italia e le truppe alleate.

Torniamo in città e torno a scuola. Frequento la terza elementare.


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Altro / 001 - Pagine dal diario di un ragazzo felice - Cinque anni
« il: Settembre 25, 2011, 22:08:51 »
Cinque anni

Come ho già detto quello che io scrivo sono episodi della mia vita, i miei ricordi.

Questo è il primo (tratto dai miei appunti), si tratta di ricordi frammentari e incompleti perché molto lontani nel tempo, ma, spero, lucidi e precisi.

Victor

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Umoristico / Re: Asrubale ed Ermelinda
« il: Settembre 25, 2011, 18:51:10 »
Ho capito!

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Fantastico / Re: Donne e buoi dei paesi tuoi
« il: Settembre 25, 2011, 18:49:21 »
Non c'è di che Ferru ...

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Fantastico / Re: La leggenda di Sepoy
« il: Settembre 25, 2011, 18:48:32 »
Non c'è di che, Nihil.

Mucchina cara.

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Horror / Re: La damigella - parte II.
« il: Settembre 25, 2011, 18:46:59 »
Bene, complimenti.

Però la mia età è differente dalla tua e le sensazioni sono differenti ...

Ciao

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Erotico / Re: Meglio le corna o la noia
« il: Settembre 24, 2011, 23:01:15 »
Grazie Presenza.

E' proprio ciò che voglio dire sia con questo mio scritto di questa sera, come pure con tutta la storia che, ho riportato come in un diario. Forse qualche volta la pubblicherò su questo sito.

Grazie ancora

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Umoristico / Asrubale ed Ermelinda
« il: Settembre 24, 2011, 22:56:25 »
Mi sono accorto che da oggi sono diventato mucca dormigliona (non so poi perché).

Questo fatto mi ha fatto venire in mente una vecchia barzelletta.

In una grande fattoria vivevano tanti animali. Due in particolare, un possente toro di nome Asrubale e una bella mucca che si chiamava Ermelinda vivevano in due recinti vicini separati da uno steccato.

Asrubale ed Ermelinda si corteggiavano a vicenda, ovviamente attraverso lo steccato, Si leccavano il muso (era la loro maniera di baciarsi), strofinavano la testa l’uno contro l’altra.

Un giorno che Ermelinda era più infervorata del solito disse ad Asrubale “dai, salta lo steccato, vieni qui, dalla mia parte, nel mio recinto …”. “Lo steccato è alto” ribatteva Asrubale. “Ma tu sei grosso e forte, ce la fai a saltarlo … forza, salta … vieni qui da me”. Anche Asrubale in quel momento si trovava particolarmente infervorato.

Così, si allontana, misura la distanza, prende la rincorsa e tutun tutun … tutun tutun … tutun, tutun … spicca un gran balzo e salta lo steccato atterrando con grande fragore dall’altra parte, nel recinto di Ermelinda.

Lei si avvicina e lo lecca, dicendogli “grazie caro …”

Asrubale, tutto affannato e con un fil di voce risponde “Oh Ermelinda … amore mio”
“Chiamami pure Erme – ribatte lei – ora che tu sei qui non sarò più linda …”

“E tu chiamami pure Asru – risponde lui – tanto le bale sono rimaste attaccate allo steccato …”


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Erotico / Re: Meglio le corna o la noia
« il: Settembre 24, 2011, 22:22:08 »
“Dal dí che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose …” le corna hanno iniziato la loro esistenza “de iure”, ma presumo che esistessero “de facto” anche prima.

Però è sempre valsa la regola: “si fa, ma non si dice” (come in una commedia degli anni ’60).

Ora, invece, vale un’altra regola: si fa e si dice. Non so se per minore ipocrisia o per smania di protagonismo (o per entrambi i motivi). Probabilmente sono questi i motivi che spingono anche me a esprimere, con estrema franchezza, il mio pensiero sul tradimento.

Mi presento: sono un uomo, over 70. Sposato (un solo matrimonio – è bene precisarlo) che con alterne vicende è giunto al suo quinto decennio. Con figli e nipoti. Devo anche precisare che da un po’ di anni a questa parte io e mia moglie siamo come fratello e sorella. Ma la mia “vitalità” (virilità), anche se un po’ affievolita (non ho più trenta o quaranta anni) è ancora presente. Ho avuto più di trenta amanti nel corso della mia vita. Tra queste annovero anche quelle, non molte, di una sola volta.

Ho amato, ho amato molto, ho amato moltissimo … ma ho amato in maniera indicibile solo cinque donne.

Il primo amore (Salvuccia) l’ho avuto a quindici anni e l’ho inseguito disperatamente per sei anni: mi ha detto sempre no!

Il secondo amore è stato la donna che ho sposato e di cui sono stato innamoratissimo (in verità lo siamo stati entrambi e reciprocamente).

Il terzo amore è stata un’amica d’infanzia, una donna delicatissima e sensibilissima, la cui amicizia (con me e con mia moglie) è durata tutta la vita e dura ancora oggi (non è Elisa). Era clandestino e si è interrotto quando mia moglie ci ha scoperti e l’ha affrontata a quattr’occhi, ma senza litigare. Non so in verità quello che si sono dette, ma in quel momento si è chiuso tutto.

Il quarto amore è stato turbinoso e violento (malgrado io avessi già sessant’anni) è finito tragicamente e non voglio parlarne.

Il quinto amore è recente. È stato un amore infelice. Ma è stato l’amore più dolce, più delicato, più tenero che io abbia mai vissuto. Ci ho scritto un libro, una specie di diario e il suo ricordo riempie ancora la mia vita, di dolcezza e di nostalgia, di felicità e di dolore.

Cosa voglio dire con questo mio intervento?

Voglio dire tante cose.

Sono meglio le corna o la noia? Io non so cosa sia la noia, quindi preferisco le corna. Ovvio che per essere onesti oltre a farle bisogna essere disposti a subirle.

C’è differenza tra fare sesso e innamorasi? Probabilmente si. La mia esperienza dice di si. Ma io sono un solo caso e non posso fare testo.

Ci si innamora veramente una sola volta nella vita, oppure ci si può innamorare più volte? Probabilmente ci si può innamorare più volte. Ma anche in questo caso la mia esperienza non fa testo.

Fino a che età ci si può innamorare? Oh, cari lettori, cari amici: ci si può innamorare sempre, si, sempre, sempre, sempre … quando meno te l’aspetti … finché il cuore batte, ci si può innamorare … ed è ogni volta una cosa diversa, bellissima, meravigliosa …

Avevo più di settant’anni quando mi sono innamorato l’ultima volta e lei ne aveva meno di trenta. E, ribadisco, è stato il più dolce, il più tenero, il più delicato dei miei amori. Ma anche il più infelice. Perché è ovvio, con tale differenza di età, non ci può essere storia, non ci può essere futuro, non ci può essere avvenire … Comunque, non me ne pento, non ho rimpianti, sono felice di aver vissuto questa esperienza, sono felice di aver patito (e di patire ancora) queste sofferenze …

Voglio qui riportare le parole con cui ho chiuso il mio scritto.

Avevo completato di fare la revisione di questo mio scritto ed avevo preso tra le mani per rilassarmi un libro di Roberto Re dal titolo “Smettila di incasinarti”. Ho cominciato a leggerlo.

Mentre leggevo la prefazione della psicologa Maria Rita Parsi sono rimasto colpito da una frase che lei scrive e credo che si adatti perfettamente a chiusura di quanto ho qui narrato.

“Recuperando il bambino interiore, il bambino che eravamo, capace di vivere nel presente senza avere la coscienza offuscata da preoccupazioni e autolimitazioni, potremo, paradossalmente, crescere e, ancora, invecchiare rimanendo bambini.”

Non mi resta che esprimerti la mia più profonda gratitudine per avermi dato la possibilità di tirare fuori il bambino che è in me, la cosa più bella che ho, anzi, forse, la cosa più bella che sono ...

Sii felice … resterai sempre nel mio cuore!

Victor


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