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Parliamo di... scrittura / Il "vizio" di scrivere
« il: Aprile 27, 2025, 19:13:49 »
Perché scrivo ? Cosa significa scrivere ?  La smania e la disperazione davanti al foglio bianco e alla tastiera del computer. Pensare l’adatta parola, la frase, il paragrafo. 

Scrivere è un’esperienza imprevedibile, anche per chi ne è artefice. Tende a comportarsi come un re indiscusso nel suo piccolo dominio fatto di lettere, spazi e segni d’interpunzione.

“Se solo fossi uno scrittore capace di scrivere, non sempre e soltanto di riscrivere!”, lamentava lo scrittore e attore statunitense Truman Capote  all’amico Donald Windham nel 1959.

Truman Capote, pseudonimo di Truman Streckfus Persons (1924 – 1984) nella prefazione del suo libro titolato “Musica per camaleonti” (1980) scrisse: “Poi un giorno mi misi a scrivere, ignorando di essermi legato per la vita a un nobile ma spietato padrone. Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è predisposta unicamente per l’autoflagellazione”.

Uno scrittore contrae debiti di gratitudine verso autori che lo hanno preceduto. Legge i libri degli altri come se fossero congegni ad orologeria da smontare, indugiando su artifici, soluzioni, idee, tecniche per costruire personaggi, ambienti, vicende. Si affida all'esperienza di alcuni grandi scrittori del passato, immaginando per ciascuno di essi una motivazione preliminare all'atto di scrivere.

Per scrivere un libro sono necessarie la costanza, la disciplina, l’abilità nel non perdere il ritmo, la sapienza nel trasformare l’impellente necessità di scrivere in qualcosa in bilico tra vizio e tortura, dice Alessandro Piperno nel suo libro titolato: “Ogni maledetta mattina. Cinque lezioni sul vizio di scrivere” (edit. Mondadori). Insieme al  suo precedente libro “Il manifesto del libero lettore” (edit. Da Mondadori) l’autore compone un ideale dittico.

Piperno, competente narratore, conduce all’esplorazione irriverente dell'atto di scrivere, offre la sua riflessione sull’arte di scrivere. Dice che scrivere dischiude “orizzonti infiniti”, permette di “allestire omerici campi di battaglia o spedizioni galatiche (…), creare dal nulla personaggi affascinanti o malvagi (…), riavvolgere il nastro della storia umana e (…) stravolgerla”.

In “Ogni maledetta mattina …” Alessandro Piperno s'interroga sul significato del proprio mestiere, su quella specie di richiamo al tavolo da lavoro, non meno potente del richiamo della foresta, che costringe chi scrive a passare ore chino su una tastiera nel tentativo di  elaborare il testo.

Scrivere non è un dovere, deve essere una necessità.

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Arte / "In fuga dalla critica"
« il: Aprile 25, 2025, 16:57:16 »

Pere Borrell del Caso, Huyendo de la critica (= In fuga dalla critica),  olio su tela, 1874,
collezione Banco de España, Madrid. Il dipinto fu presentato per la prima volta  all'Esposizione di Belle Arti di Barcellona nel 1874.

La scena: un bambino con gli occhi terrorizzati tenta di fuggire prima che la "critica" lo colpisca. Cerca di scappare dal suo stesso ritratto. Poggia il piede sul lato basso della cornice per la fuga dall’irreale verso il reale,  o forse da ogni critica.

L’autore usa la cornice dorata per dare tridimensionalità alla figura, rappresentata mentre tenta di fuggire da qualcosa che l’osservatore non riesce a discernere a causa dello sfondo nero.

Il titolo allude a quei critici che consideravano la loro opinione su un’opera d’arte come verità assoluta.

Il dipinto è un trompe-l'œil (= inganna l’occhio). Questa tecnica pittorica permette di confondere lo sguardo dell’osservatore, il quale non riesce a distinguere i confini tra lo spazio reale  e quello immaginario.  Tramite prospettive, ombre ed  effetti ottici induce  l’illusione di guardare una scena reale e tridimensionale, invece è su una superficie bidimensionale.


Adesso vi presento l’autoritratto di Pere Borrell del Caso




Pere Borrell del Caso (1835 – 1910) era un insegnante di disegno e pittura. Nonostante il successo internazionale decise di continuare a insegnare nell'accademia privata che aveva creato.

Questo autore produsse ritratti e numerosi  dipinti inerenti l’arte sacra. Fu influenzato dalla pittura dei Nazareni tedeschi e dai romantici.


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Cogito ergo Zam / "Broligarchia"
« il: Aprile 24, 2025, 17:17:14 »
Da alcuni mesi appare nei media il neologismo inglese “broligarchy”, parola composta, formata dal prefisso “bro-“ e dal suffisso “-archy”, corrispondente all’italiano “-archia”: indica una realtà collegata al potere di poche persone (“oligoi”, anche se non facenti parte del governo ne condizionano le scelte e l’orientamento).

“Bro-“ (abbreviazione di brother = fratello), slang americano usato nei gruppi giovanili, ma viene interpretato come abbreviazione di “tech-bro”: un uomo giovane, bianco, che si è arricchito  nel settore tecnologico-digitale, caratterizzato da eccessiva opinione di sé,  presunzione di sé. Il suo "ritratto” era già stato delineato dal sociologo inglese Michael Kimmel nel suo libro titolato: “Angry white men. American masculinity at the end of an era” (“Uomini bianchi arrabbiati. La mascolinità americana alla fine di un’era”), pubblicato nel 2013. Tale testo fa riferimento all’ira del maschio bianco sconfitto, quando Barack Obama si accingeva al suo secondo mandato di presidente degli Usa.

Oggi quell’iconografia è assimilabile ad Elon Musk, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sam Altman, Sundar Pichai, Tim Cook, per citare solo i più famosi.



Nel giorno del giuramento di Donald Trump come 47/mo presidente degli Stati Uniti, un ricco parterre si è affollato alla sua corte, affiancandolo sul palco e offrendoci un’immagine simbolica della “broligarchy”: è una sorta di vincolo tra plutocrati (plutocrate = ricco individuo che ha influenza determinante nella vita politica e sociale) che hanno costruito il loro impero economico nell’ambito della tecnologia digitale, ne controllano la diffusione e sostengono il governo Trump influenzandone le scelte, con la “benedizione dell’attuale presidente degli Stati Uniti.

Questa élite non si limita a dominare il mercato tecnologico. I broligarchi intrecciano il loro potere economico con una propria agenda politica, sfruttando i dati e le piattaforme per plasmare opinioni, influenzare decisioni e, in alcuni casi, manipolare il consenso.

Dalla "Casa Bianca" nel suo ultimo discorso alla Nazione, l’ex presidente Usa Joe Biden ha avvisato: “Oggi, in America sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia la nostra democrazia, i nostri diritti e la nostra libertà”.

Chi sono i broligarchi?
Elon Musk (Tesla, SpaceX, Twitter/X): imprenditore visionario e controverso, è il più tech bro dei tech bro: con Tesla, SpaceX e l’acquisizione di Twitter/X, ha consolidato il suo potere economico e sociale. Spinge le sue opinioni radicali e cerca di avere un impatto diretto sulle politiche globali, dall’intelligenza artificiale all’esplorazione spaziale fino alle elezioni di altri Paesi.
Mark Zuckerberg (Meta): è il creatore di facebook, oggi controlla anche Instagram e Whatsapp e dunque miliardi di connessioni sociali e le informazioni di gran parte della popolazione mondiale, motivo per cui ha un’influenza sulle persone, ovunque.
Jeff Bezos (Amazon, Blue Origin): ha rivoluzionato il commercio elettronico e il cloud computing con Amazon, che ha fondato, e ha esteso il suo impero con Blue Origin (esplorazione spaziale) e il Washington Post, dimostrando di voler influenzare anche la politica e l’informazione.
Larry Page e Sergey Brin (Google/Alphabet): hanno dato vita al motore di ricerca più utilizzato al mondo, che gestisce anche YouTube e il sistema operativo Android
Sundar Pichai: è l’ad di Alphabet
Peter Thiel (Palantir, Founders Fund): venture capitalist influente, co-fondatore di PayPal, finanzia start-up strategiche e progetti di intelligenza artificiale, con una visione politica  spesso libertaria e conservatrice
Tim Cook (Apple): guida l’azienda tecnologica più cool del mondo, definendo standard globali per l’innovazione e la privacy digitale.

La broligarchia, però,  offre anche dei vantaggi: contribuisce alla crescita economica, all'innovazione veloce: i broligarchi hanno finanziato e guidato innovazioni che hanno trasformato la società, dalle auto elettriche alle reti 5G, dai sistemi di pagamento digitali all’intelligenza artificiale, connettività globale: miliardi di persone possono accedere a Internet,  le aziende tecnologiche hanno creato migliaia  di posti di lavoro diretti e indiretti, stimolando l’economia globale.




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Pensieri, riflessioni, saggi / Refuso
« il: Aprile 22, 2025, 21:43:08 »
Refuso:  questo sostantivo deriva dal latino “refusus”, participio passato di refundĕre (= "riversare").

Per refuso s’intende  un errore compiuto durante la scrittura di un testo oppure l’errore tipografico (una vocale, una consonante,  oppure una parola al posto di un’altra). Può essere un errore di omissione (es. cane anziché carne) o nell’aggiunta (es. compresse anziché comprese), ecc..



Presi dall’impeto della scrittura e concentrati più sul contenuto che sulla forma, è facile generare refusi nella prima stesura di un testo.

Se Dio è in tutte le cose allora il diavolo è nel refuso.

I refusi vivono di vita propria,  s’insinuano nelle parole, tra le parole, al posto delle parole. Fuoriescono aitanti dalle pagine, storpiano i nomi e le cose, sono i corruttori della grammatica e della logica.

I refusi si nascondono, resistono al primo sguardo, anzi danno la sensazione di concretarsi immediatamente dopo: “prima non c’era, lo giuro”.  Sono i servizi segreti deviati dell’idioma, sono la multinazionale della semantica, il trofeo della distrazione. Testimoniano la nostra fallibilità, la sciatteria: fuoriescono dalla grammatica mal digerita, dalla fretta.

Lo scrittore Vincenzo Monti scrisse ad Antonio Fortunato Stella, che aveva pubblicato la sua “Musigonia” per dirgli: ”Dacché gli stampatori godono il privilegio di assassinare gli autori non si è mai veduto né strazio né indegnità tipografica da paragonarsi con questa. Versi mancanti, parole cambiate, altre mutilate …”.

Giacomo Leopardi in una lettera  scritta nel 1824 all’avvocato Brighenti disse: “Non conosco lo stampatore […] Vi prego a impedire ch’io sia strapazzato […] tanto nel testo, quanto nominatamente nella punteggiatura”.

Invece lo scrittore e pittore Alberto Savinio (il suo vero nome era Andrea de Chirico, fratello del noto pittore Giorgio de Chirico)  nel  saggio “Refusi. Scritti sull’errore tipografico” scorge  nell’errore un incidente in grado di prospettare nuovi significati, a volte sono perfino provvidenziali.  neniess

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Pensieri, riflessioni, saggi / Re:Addio Francesco
« il: Aprile 21, 2025, 18:03:05 »
“Er papa novo”: sonetto scritto  dal Belli il 21 ottobre 1846, in occasione dell’elezione di Pio IX.



“Er Papa novo”   
                   
Che ce faressi? è un gusto mio, fratello:
su li gusti, lo sai, nun ce se sputa.
Sto Papa che c’è mò ride, saluta,
è giovene, è a la mano, è bono, è bello…
 
Eppuro, er genio mio, si nun ze muta,
sta più p’er Papa morto,  poverello!:
nun fuss’antro pe avé mess’in castello,
senza pietà, quela ginìa futtuta.
 
Poi, ve pare da Papa, a sto paese,
er dà contro a prelati e a cardinali,
e l’uscì a piede e er risegà le spese ?
 
Guarda la su’ cucina e er refettorio:
sò propio un pianto. Ah queli bravi sciali,
quele belle magnate de Grigorio!"
     

Parafrasi: Morto Gregorio XVI  l’1 giugno 1846, il 16  fu eletto papa il cardinale  e conte Giovanni Maria Mastai Ferretti col nome di Pio IX.

I primi mesi del  nuovo pontificato furono all’insegna dell’innovazione: l’’amnistia per i detenuti politici, ridotte le spese di rappresentanza della corte pontificia; i romani videro il nuovo papa andare a piedi fino alla chiesa dell’Umiltà per celebrarvi la Messa.

Il personaggio che parla nel sonetto è un reazionario  anticlericale. 

Che cosa vuoi farci? E’ un gusto mio, fratello: e non si discute sui gusti, lo sai (“su li gusti, lo sai, nun ce se sputa”, versione caricaturale del motto latino, “de gustibus non disputandum” (con riferimento al nuovo pontefice Pio IX).

Questo papa ride, saluta tutti, è giovane, è alla mano, è buono, è bello… Eppure, se il papa non cambia modo d’agire, la mia preferenza va più al pontefice che è morto (Gregorio XVI)  poveretto!: non fosse altro per aver rinchiuso in Castel Sant’Angelo, senza alcuna pietà, quella genìa futtuta, la razza maledetta dei giacobini e dei liberali. Poi, vi sembra un atteggiamento da papa, in un paese come questo, l’opporsi ai cardinali e ai prelati di curia, e andare in giro a piedi e tagliare le spese? Guarda la sua cucina e il suo refettorio: sono proprio un pianto, una tristezza, tanto sono parchi. Ah! Quei begli sprechi del pontefice Gregorio XVI.

Tra le carte del poeta Belli, dopo la sua morte, fu trovato un appunto con la frase: “A Papa Grigorio je volevo bene, perché me dava er gusto de potenne dì male”.


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Pensieri, riflessioni, saggi / Addio Francesco
« il: Aprile 21, 2025, 14:03:38 »


Papa Francesco ? Era un “brav’omo”. Mi dispiace. Così diverso da quelle "vecchie volpi" della curia vaticana. A Roma se diceva, forse ancora si dice: “ar peggio nun ce mai fine”. Chissà li cardinali chiusi ner conclave chi scejeranno come successore.

La plebe de Roma de li secoli scorsi, abituati a  li soprusi dello Stato Pontificio, de li cardinali, e de li vescovi, quanno moriva  er pontefice dicevano: “morto un papa se ne fa n’antro”, perché per loro non cambiava nulla.

Ar proconsole de Dio, er papa, il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli dedicò il sonetto titolato “La vita da cane”, che scrisse il 31 dicembre 1845:

“Ah sse chiam’ozzio er zuo, brutte marmotte?
Nun fa mai gnente er Papa, eh? nun fa gnente?
Accusì ve pijassi un accidente
Come lui se strapazza e giorn’ e notte.                                   
 
Chi pparla co Dio padr’onnipotente?
Chi assorve tanti fiji de miggnotte?
Chi manna in giro l’innurgenze a bòtte?
Chi va in carrozza a binidì la gente?                           
 
Chi je li conta li quadrini sui?
Chi l’ajuta a creà li cardinali?
Le gabbelle, pe dio, nu le fa lui?                                 
 
Sortanto la fatica da facchino
de strappà ttutto l’anno momoriali
e buttalli a ppezzetti in ner cestino!”
                                       
 
parafrasi:  Ah, si può chiamare ozio il suo (del Papa), brutti fannulloni? Non fa mai niente il Papa, eh? non fa niente? Prendesse a voi un accidente, così come lui si affatica giorno e notte. Chi parla con Dio padre onnipotente? Chi dà l’assoluzione a tanti farabutti? Chi emana indulgenze a quintali? Chi se ne va in carrozza a benedire la gente? Chi fa la fatica di contare i suoi quattrini se non egli stesso? Chi lo aiuta a nominare i cardinali? Le tasse, perdio, non le decide lui? Soltanto la fatica da facchino di stracciare suppliche tutto l’anno e di buttarle a pezzetti nel cestino.
 
Qualche anno prima, il 26 febbraio 1843, Belli scrisse il sonetto titolato: “L’occhi der papa”

“Chi? Er Papa? Ecco la prima cosa che ne sento.
Propio lui?! Un zant’omo come quello
Pò avé un par d’occhi da mette spavento
Manco fussi un cagnaccio de macello?!                       
 
So che quann’era frate ar zu’ convento
L’ho sservito sempr’io da scarpinello,
E nun ciò ttrovo mai sto guarda mento
Che m’abbi fatto arivortà er budello.                             

Ma già ttu ppe un’occhiata che tte danno
Un rospo, ‘na tarantola o ‘na sorca
Te ppisci sotto e scappi via tremanno.                           

Sai ch’edè ar più sta pavuraccia porca?
E’ c’un Papa tiè ssempre ar zu’ commanno
L’archibbuci, le carcere e la forca"
.                             
 
 
Parafrasi: Chi? Il Papa? Ecco, è la prima volta che sento questa notizia. Proprio lui?! Un sant’uomo come quello può avere un paio d’occhi che incutono spavento neanche fosse un cagnaccio che sta di guardia al macello?! Io so che quando era frate nel suo convento sono stato sempre io il suo calzolaio, e non ho mai trovato questo modo di guardare che mi abbia fatto rivoltare l’intestino. Ma già, tu sei uno che per un’occhiataccia che ti danno un rospo, una tarantola e un topaccio ti pisci sotto  e scappi via tremando. Sai che cos’è al più questa pauraccia porca? E’ che un Papa tiene sempre sotto il suo comando gli archibugi, le carceri e la forca.

In questo sonetto c’è il sarcasmo de quella che era la plebe de Roma.

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Pensieri, riflessioni, saggi / "Segreto"
« il: Aprile 20, 2025, 12:16:49 »
Segreto: questo sostantivo d’origine latina deriva dal participio passato del verbo secernere = separare, tenere in disparte, per estensione di significato: nascosto, senza essere rivelato, senza essere condiviso.

“Non dirlo a nessuno”. Chi non ha mai pronunciato questa frase?

Quale responsabilità implica per l’individuo che  custodisce un “segreto”, il quale a volte scorre come un fiume carsico ?


Come si configura l’interazione tra il custode del segreto  e quello al quale viene confessato ?

Sono questi alcuni degli interrogativi argomentati nel saggio del sociologo Massimo Cerulo, titolato: “Segreto” (edit. Il Mulino).



Mantenere o confidare un segreto è una delle abitudini ricorrenti. Ma conservare un segreto, non condividerlo, può essere psicologicamente  logorante, perciò spesso è necessaria l’altra persona alla quale confidare una conoscenza scabrosa oppure oscena.

La condivisione di un segreto rafforza la relazione duale, genera reciprocità tenendo insieme il Noi, che funge da collante al legame sociale. Solo in tal modo l’espressione: “Non dirlo a nessuno” non viene svuotata di significato.

Il segreto confidato genera un patto, talvolta indesiderato, può rinforzare la relazione amicale,  oppure può diventare un potenziale  fattore distruttivo nel caso in cui il segreto venga svelato.

Il segreto crea e distrugge gruppi, genera inclusione ed esclusione.

Nella nostra società digitale la caccia a verità e informazioni nascoste sembra essere una moda ma può  distruggere identità ed equilibri delle persone.

Anche in ambito religioso il sacramento cattolico della confessione, ormai in “disuso” a causa della secolarizzazione, sta causando il progressivo affievolimento del significato del segreto nell’accezione confessionale. “Oggi non ci si confessa, ma ci si sfoga”, ha confidato un sacerdote. Da aggiungere che numerosi confessori sono combattuti tra l’obbligo di non divulgare alcuni peccati (segreti) e il dovere di denunciare reati di cui vengono a conoscenza nel confessionale.

Se la segretezza è un’area in cui un individuo si cela all’altro per costruire la propria identità, non dovrebbe stupire quanto sosteneva Sigmund Freud, secondo il quale la prima bugia detta a un genitore  rappresenta il primo segreto del bambino. Essa testimonia la capacità del piccolo di iniziare ad individualizzarsi.

Durante l’adolescenza il segreto permette ai ragazzi di ripararsi in un luogo protetto da sguardi indiscreti.

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Fotografia / Re:"Io + gatto"
« il: Aprile 14, 2025, 18:32:39 »
Trieste, gli anni della ”Belle époque”, periodo di sviluppo tecnologico, della crescita economica, della diffusione dei veicoli a motore, la nascita del telefono e le strade illuminate dall’energia elettrica.

I traffici portuali, le assicurazioni, il commercio del caffè crearono agli inizi del ‘900 le condizioni per il fiorire di una nuova generazione obbligata durante il dominio dell’impero asburgico a parlare indifferentemente italiano e tedesco (gli sloveni anche lo sloveno), interessata alla cultura, ai movimenti letterari, artistici e scientifici. Come dimenticare nella città  lo scrittore triestino Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz), lo scrittore  James Joyce, Umberto Saba, il critico letterario e traduttore Roberto Blazen.

In quel contesto mitteleuropeo le donne triestine, o “babe”, avevano più libertà  (derivante dalla tradizione asburgica) rispetto alle altre donne delle altre regioni italiane.

Ma dopo la seconda guerra mondiale Trieste subì la decadenza economica : dimezzati i commerci e l’attività portuale, la cultura seguì la stessa sorte.

Le sorelle Marion e Wand Wulz  continuarono a fotografare, in particolare ritratti, vedute della città. Fecero servizi fotografici commissionati dagli opifici e cantieri cittadini fino al 1981, quando cessarono l’attività e  cedettero  l’archivio ai Fratelli Alinari.


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Fotografia / "Io + gatto"
« il: Aprile 14, 2025, 18:28:32 »
A Trieste, fino al 27 aprile, nel “Magazzino delle idee” sono esposte numerose foto realizzate nel passato dalla famiglia Wulz, che fin dal 1860 aveva nella città giuliana un laboratorio fotografico "fondato" da Giuseppe Wulz. L'attività fu proseguita dal figlio Carlo, che non avendo figli maschi insegnò il mestiere alle figlie Marion e Wanda (1903 – 1984).

Le foto in esposizione sono state selezionate presso gli archivi Alinari di Firenze, che nel passato acquisì le immagini in dotazione a quel laboratorio.


 
Carlo Wulz, Ritratto di Wanda e Marion Wulz, 1920 ca., Archivi Alinari, Firenze

Wanda assunse la direzione della ditta quando il padre morì nel 1928, all'età di 53 anni. Non si sposò e scelse di dedicarsi completamente al lavoro. Il genere che la rese famosa fu il ritratto fotografico.

Sul finire degli anni Venti si interessò al foto-dinamismo dei fratelli Bragaglia. I risultati della sua ricerca furono il risultato di lunghe sessioni in camera oscura in cui realizzò fotomontaggi, fotoplastiche e fotodinamiche di ottima qualità e grande effetto.

Nel 1932 a seguito dell'incontro con il poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista, Wanda si avvicinò a questa corrente artistica e nel mese di aprile dello stesso anno partecipò nella città giuliana alla “Mostra nazionale di fotografia futurista” che coinvolse numerosi artisti, non solo locali. Ma alla fine di quel decennio lei abbandonò tale movimento.

A quella mostra fotografica partecipò con la fotografia “io + gatto”: è un suo autoritratto composto dal suo viso e il muso di un gatto. Tale foto entusiasmò il Marinetti, col quale poi collaborò in altre esposizioni successive.



Wanda Wulz, “io + gatto” 1932, stampa su gelatina ai Sali d’argento, misura 29,4 x 23,3; è custodita al Metropolitan Museum di New York.

Creò questa foto sovrapponendo due negativi, uno col ritratto del suo volto, l’altro col ritratto del muso del gatto di famiglia, sovrapponendoli su un unico foglio di carta fotografica.

La strana creatura, un po’ gatto e un po’ donna, ci guarda con un occhio felino e l’altro femminile. Lo sguardo sembra inquietante.


Autoritratto di Wanda Wulz. Fotografia usata per la sovrimpressione “Io + gatto”, 1932

segue

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Arte / Re:Michelangelo e Torrigiano
« il: Aprile 11, 2025, 23:16:00 »
Fra pochi giorni i cristiani celebreranno la risurrezione di Iesus.  In attesa di quell’evento offro alla vostra visione una pala d’altare con la scena dell’episodio precedente, la “Deposizione dalla Croce”; era nella citata chiesa fiorentina di Santa Trinita.



tempera su tavola di cm 276 x 185. 

L'opera è composta da un pannello centrale, impostato su una predella e completato da una cornice architettonica originale con cuspidi e pilastrini.

Il pannello centrale  è organizzato con schema piramidale: ha come vertici i due personaggi inginocchiati alla base ed il gruppo sulle scale in alto, dietro di loro c’è la fascia orizzontale del paesaggio.

Al centro è raffigurato Gesù. Intorno ci sono  figure che sembrano attori di una solenne rappresentazione teatrale. Sulla sinistra c’è il gruppo delle donne, sulla destra il gruppo degli uomini.

“Stavano presso la croce di Gesù sua madre (indossa il maphorion blu, e inginocchiata ed ha le mani giunte),  la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala”, raffigurata in ginocchio mentre sostiene i piedi di Gesù accennandone un bacio.  (vedi Vangelo di Giovanni 19,25-27).

Sotto le due cuspidi laterali ci sono angeli oranti che volano sul paesaggio circostante: sulla sinistra c’è la città, sulla destra si vedono  le colline.

La scena del pannello centrale si svolge sul Golgota. Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio, chiese ed ottenne da Pilato il permesso per avere il corpo di Gesù.   
Gesù viene calato dalla croce;

Nicodemo, con l’aureola e lunghi capelli ricci, indossa un elegante abito di colore rosa, è sui gradini per aiutare a deporre il corpo di Cristo;

Giuseppe d’Arimatea, con l’aureola, aggrappato alla scala, sta afferrando Gesù nell’ascella;

Anche un uomo col berretto nero sta aiutando nella deposizione del corpo; un altro uomo, in basso, sta afferrando le gambe di Cristo; l’apostolo Giovanni, con l’abito blu, è sul lato opposto ed aiuta anche lui.

Vicino c’è un gruppo di uomini. Il dotto, in piedi, con cappuccio rosso,  ha nelle mani alcuni simboli della Passione di Gesù (la corona di spine e i chiodi) e ne discute con gli altri: quasi tutti gli storici dell'arte identificano questo personaggio con il committente dell'opera, Palla Strozzi;

Il giovane inginocchiato, vestito di rosso, in atteggiamento devozionale, ha il nimbo a raggiera: alcuni studiosi ipotizzano che nel giovane riccioluto l'artista abbia ritratto Lorenzo Strozzi, figlio di Palla.

Un po’ di storia di questa tavola dipinta a tempera tra il 1432 ed il 1434 dai pittori Beato Angelico e Lorenzo Monaco, cosiddetto perché era veramente un  monaco. Si chiamava Piero di Giovanni, ed era anche un bravo miniatore.

Anche il “Beato Angelico” era un chierico in sacris, un frate domenicano: fra’ Angelico, o Giovanni da Fiesole, il suo nome era Guido di Pietro. Fu  Giorgio Vasari ne “Le vite …” ad aggiungere al suo nome l'aggettivo "Angelico".

Questa pala d’altare fu commissionata dal banchiere e politico Palla di Onofrio Strozzi. Ricco e colto, commissionò numerose opere d’arte, tra le quali la Cappella Strozzi, realizzata tra il 1419 e il 1423, su progetto di Lorenzo Ghiberti.  Successivamente  talle Cappella di famiglia fu detta “Sagrestia” della basilica di Santa Trinita. Per questo ambiente commissionò la bella e sontuosa “Adorazione dei Magi” al pittore Gentile da Fabriano e la “Deposizione dalla Croce” a Lorenzo Monaco, terminata poi dal Beato Angelico, che ne fece uno dei suoi capolavori, custodito nel Museo nazionale di San Marco, a Firenze.

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Arte / Re:Michelangelo e Torrigiano
« il: Aprile 11, 2025, 23:03:57 »
Nel precedente post ho citato  la basilica fiorentina di Santa Trinita: questa chiesa prospetta sull’omonima piazza e dà il nome anche al vicino ponte Santa Trinita che attraversa l’Arno.


Facciata della basilica di Santa Trinita, Firenze

All’interno ci sono bellissimi dipinti in affresco

Un esempio



Al centro è rappresentata la scena collegata alla nascita di Gesù: l’Adorazione dei pastori, datata 25 dicembre 1585; inoltre c’è  il ciclo con le  “Storie di San Francesco”, realizzato dal Ghirlandaio dal 1483 al 1486.



Parziale veduta della sacrestia. All'interno sono conservati  dipinti, sculture, alcuni reliquiari  ed altro.

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Arte / Michelangelo e Torrigiano
« il: Aprile 11, 2025, 23:00:23 »
A Firenze, l’Opificio delle Pietre Dure ha concluso il restauro di un busto del Redentore, scultura in terracotta policroma attribuita allo scultore fiorentino  Pietro  (o Piero) Torrigiano o Torrigiani (1472 – 1528). e lo ha consegnato alla basilica fiorentina di Santa Trinita, gestita dai monaci benedettini vallombrosani (Congregatio Vallis Umbrosae Ordinis Sancti Benedicti). 


Pietro Torrigiano, Redentore, 1500-1510 circa, sacrestia di Santa Trinita, Firenze

Lo scultore  Pietro Torrigiano viene ricordato anche per la rivalità artistica con Michelangelo Buonarroti.

Il pittore, architetto e storico dell’arte Giorgio Vasari (1511 – 1574) nel suo trattato titolato “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri”, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568,  racconta che un giorno mentre Torrigiano si esercitava a copiare antiche statue, Michelangelo provò ad emularlo e in pochi tempo scolpì  una bellissima testa di fauno.

Il Buonarroti per la sua bravura divenne il prediletto di Lorenzo il Magnifico e l’invidioso Torrigiano poco tempo dopo, mentre era con Michelangelo per copiare gli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci della chiesa fiorentina dedicata a Santa Maria del Carmine, ad una critica sprezzante del Buonarroti  per una scultura che il Torrigiano stava realizzando, questo reagì aggredendolo e dandogli un forte pugno sul naso causandogli la frattura e la deformazione permanente, visibile nei ritratti.

Per quel pugno al Buonarroti lo scultore Torrigiano fu punito con l’esilio da Lorenzo il Magnifico.


Daniele da Volterra: ritratto di Michelangelo, olio su tavola, 1545 circa, Metropolitan Museum of Art, New York.




La formazione artistica di Michelangelo avvenne nel 1488  nella bottega d’arte di Domenico Ghirlandaio, una delle più prestigiose botteghe d'arte fiorentine. 
 
Il Buonarroti si dedicò alla scultura frequentando il giardino mediceo di San Marco: è un ex giardino di Firenze, era situato tra le attuali via Cavour e via San Gallo.
Tale giardino  è famoso perché Lorenzo de’ Medici vi fece allestire una sorta di prima Accademia d'arte d'Europa, nella quale i giovani talenti nel campo delle arti potevano studiare le opere e le tecniche artistiche, copiando le collezioni di arte antica di proprietà medicea.

Bertoldo di Giovanni, che fu allievo e collaboratore di Donatello, addestrava i più promettenti giovani artisti.

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Pensieri, riflessioni, saggi / Regina amata
« il: Aprile 02, 2025, 19:10:15 »



Nouri Al Jarrah, da “Elegìa di Barate alla sua amata regina”


Il portatore di nubi guidò il mio
passo
dal blu dell’estate al tetro
inverno !

Le figlie della rugiada, le fanciulle
della nebbia
che adagiarono Baal nel mio
campo
mi lasciavano qui, disorientato !
Il cielo versò la prima pioggia; gli
astri fecero
sbocciare l’artemisia, che riempì
l’aria di fragranza.

Ti portai alla sorgente dei due
fiumi,
ti feci vagare nel sole dei miei
giorni.

Perché accettasti i miei voti
quando poi
avresti lasciato che la terra
sottraesse a me
l’ultima cosa che uno straniero
possa mai avere sulla terra ?


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Pensieri, riflessioni, saggi / Donna triste
« il: Aprile 02, 2025, 19:01:07 »


Widad Nabi, da “Scene di felicità imperfetta”.

Parrò sempre una donna triste.
Mentre come un cavallo indomito
corro verso l’amore
e stringo baci tra mani vuote.

Una donna triste
 che dal nulla tesse
gli auspici di una casa eretta da un
antico pianto.
[…]
Parrò sempre un donna triste.
Per quanto le mie foto appese alle
pareti di casa
possano sembrare quelle di una
donna di un paese felice. Una donna
con un vestito colorato indossato
da vent’anni e una guerra
dalle cui tasche cade il sale dell’Egeo.

Quel sale che abitò il suo corpo
allorché s’imbarco
sui battelli della morte.
Quel sale incastrato nello sguardo
dei suoi occhi vuoti.

Lo sguardo di chi alla morte ha
reso tutto
per sopravvivere.





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