Carl tendeva l'orecchio con apprensione, ma del ticchettio neanche l'ombra. Tra un sospiro e l'altro cominciò a pensare di essersi immaginato tutto: cercava di rassicurarsi interiormente, di pensare che tutte le sue preoccupazioni fossero frutto della fantasia, di un abbaglio momentaneo, ma non riusciva in alcun modo a distogliere lo sguardo da quell'uomo nero e, con le orecchie all'erta, si aspettava di sentire nuovamente il ticchettio.
Passò un'ora.
Ne passarono due.
Poi decise di passare anche la terza.
Carl si era rassegnato: il ticchettio non sarebbe più tornato; in fondo quell'oggetto metallico poteva essere qualsiasi cosa, no? Quindi, per la prima volta in tre ore, riuscì a distogliere lo sguardo dal cappotto. Lanciò un'occhiata all'orologio: era convinto, sicuro che sarebbe arrivato al più presto alla stazione.
Le immagini dal finestrino si succedevano una dopo l'altra, tra sfumature di colori sempre più veloci e confusi. Nello scompartimento vigeva solo un profondo silenzio.
Le gemelle erano tornate a sedere, il lettore mp3 spento e le mani nelle tasche; non dormivano ma gli occhi erano fissi in un punto imprecisato che era il medesimo per entrambe. La vecchietta, raccolta da terra la sua chilometrica calzetta, si stava godendo un minuto di riposo con i ferri saldamente stretti nelle dita. L'uomo mucca non trovava pace tra le gallerie nasali.
Carl sbuffò annoiato: gli era rimasto solo il suo amico, il suo uomo nero dal cappotto nero.
Il losco individuo, assorto in chissà quali pensieri, non dava segni di vita e aveva smesso addirittura di sudare. Carl lo osservò imprecando mentalmente "Beh, cosa stai fermo lì? Dai, fai qualcosa! Dannazione! Ero certo che quella fosse una bomba e invece.. mi hai deluso! Se almeno tu potessi dirmi cosa nascondi sotto quel cappotto.. perché ti ci stringi tanto? perché?".
Carl sussultò e un brivido gli corse su per la schiena: l'uomo nero si era mosso, buttando furtivamente una mano all'interno del suo cappotto. Frugava senza sosta e Carl moriva di curiosità "Allora, allora, mi vuoi far crepare eh? Quanto ci metti a tirare fuori qualcosa da lì? Sbrigati! E che sia convincente!". Tra le dita dell'uomo nero, apparve infine una sveglia rosso fuoco, luccicante quanto il suo viso.
Era una sveglia di vecchia fattura, cromata, con due antennette di ferro sulla testa. Carl sbiancò vedendola: possibile fosse tutto lì il segreto? La sveglia, probabilmente scarica, era ferma a mezzogiorno, con le lancette pietrificate sullo sfondo bianco.
Il suo padrone la osservava tristemente, aspettandosi che da un momento all'altro riprendesse il suo funzionamento. Le tirava dei pugnetti con la mano dalle tre dita ma non c'era nulla da fare; la sveglia non ne voleva sapere.
L'omino nero si arrabbiò a tal punto da alzare il braccio nel gesto di chi sta per scaraventare via un oggetto inutile; ma, con grande stupore di Carl, in suo aiuto venne una delle due gemelle.
Tutta felice di rendersi utile, la piccoletta gli allungò delle batterie appena trafugate dal suo lettore mp3.
L'uomo nero la ringraziò con un cenno del capo e sorrise benevolo. Lei gli si accostò come una nipotina, sussurandogli all'orecchio qualche parola che Carl tentò inutilmente di decifrare. Due secondi dopo, inserite le batterie, la sveglia tornò a bussare con forza e vigore nelle sue orecchie:
"Tic, tac, tic, tac, tic, tac"
Carl si sentiva un perfetto idiota: tirò un sospiro di sollievo per la mancata brutta figura. Cosa sarebbe successo se si fosse messo a gridare "Alla bomba!" e quel tipo gli avesse sbandierato sotto gli occhi la sua sveglia? Chissà che risate! E non dalla sua bocca! Certo, c'era da ammettere che un tale strumento, ai giorni nostri obsoleto, non era proprio il più adatto per misurare il tempo, specialmente in viaggio.
Ma con questo? Forse quel tipo non si poteva permettere altro! Chi era Carl per giudicarlo? "C'è mancato un pelo! Proprio un pelo! Per fortuna quella ragazzina ha messo tutto in chiaro!" si ripeteva fra sé Carl, osservando con malcelato stupore il suo vecchio aguzzino che d'un tratto si era trasformato in un affabile passeggero.
L'uomo con il cappotto, condizionato dal gesto amichevole della gemella, si profondeva in sorrisi aperti, si complimentava con la vecchietta per la sua calzetta, si mostrava interessato alla pancia dell'uomo mucca e, carezzandogliela, ironicamente, chiedeva di quanti mesi fosse. A quella battuta Carl si era aspettato il peggio, pronto a godersela di gusto nel caso in cui l'energumeno si fosse preso la briga di pestare a dovere lo straniero con il cappotto.
Contro ogni sua aspettativa però, l'uomo mucca, sorridendo beffardo, aveva risposto al suo interlocutore con una semplice frugatina di naso. Quel dito, roteando nella cavità, sembrava dire "Eh! Eh! Eh! Questa te la posso perdonare! Ma alla prossima, alla prossima!"
Tra altre gioiose battute di questo tipo, pacche sulla schiena, sorrisi smaglianti e discorsi variegati, si era venuta a instaurare nel gruppo un'aura di familiarità, come se tutti quanti, dalla signora anziana alla gemella poco più che adolescente, si conoscessero da una vita.
Carl li guardava con avida curiosità, chiedendosi come avessero preso confidenza in così poco tempo. Si sentiva lacerare dall'invidia poiché era l'unico a non entrare in comunicazione con loro; l'unico a non comprendere da dove scaturissero tutte quelle effusioni improvvise. Dei loro discorsi non capiva nulla. I suoi vicini parlavano una lingua sconosciuta e più egli si sforzava di tradurla, più gli risultava incomprensibile. Le parole gli arrivavano lente, soffuse, quasi provenissero dall'anfratto di una buia caverna.
L'uomo mucca alzava al cielo una gemella, la faceva roteare, ridere al tempo stesso e Carl si chiedeva: perché? Guardandolo con occhi pieni di vita, di trasporto, la vecchietta avvolgeva nella sua calzetta l'uomo con il cappotto nero e, in quello stesso istante, le due gemelle, sia quella sospesa nel vuoto, sia quella ancora seduta sulla terra ferma, vibravano di risate infantili, spontanee. Tutti sembravano ubriachi di felicità e Carl si chiedeva: perché? Che senso ha?
Più loro si mostravano, più loro non dubitavano di nulla, esprimendo l'unica verità in quella gioia, più lui si sentiva escluso, schiacciato, e nel petto gli cresceva un fiore di ferro. Chiuso in se stesso, prigioniero, guardò nuovamente l'orologio sperando che il viaggio finisse al più presto.
La noia tornò ad invaderlo e così, in mancanza di altri pensieri, si concentrò nuovamente sulla bomba.
Eh, sarebbe stata una bella avventura la bomba! "Chissà cosa sarebbe successo se davvero ci fosse stata una bomba!" pensava Carl cercando di non fare caso alla vita che gli ronzava attorno come un insetto fastidioso "Se avessi dato l'allarme, sicuramente l'uomo con il cappotto nero, sentendosi braccato, si sarebbe fatto esplodere e boom! .. Dio, che tragedia.. ma.. anche se avessi avvertito uno dei miei vicini sottovoce? Quanto tempo ci sarebbe voluto a fermare il treno e a metterci in salvo? Volendo potevamo gettarci dal finestrino ma poi.. poi? Questo treno va troppo veloce... e.. BAH! Alla fine si trattava solo di una stupida sveglia.." .
E pensava, pensava, pensava senza tregua, con la testa china e lo sguardo perso nella punta dei piedi. D'improvviso sentì chiaramente il ticchettio della sveglia rossa. Quel rumore adesso era cosi forte da sovrapporsi alle voci incomprensibili dei vicini: perché era rimasto nascosto così a lungo in quel vociare insignificante?
"Tic, tac, tic, tac, tic, tac"
Carl alzò la testa, e gli occhi, che da tempo non incrociavano più il cappotto nero, gli uscirono letteralmente dalle orbite. L'omino nero, evidentemente distrutto dal caldo, si era spalancato con non curanza il suo magnifico cappotto lucido, tirato ad arte, coi grossi bottoni d'oro in bella vista.
Dentro, a parte un'immensa oscurità, c'era quel "famoso" oggetto di metallo già visto in precedenza da Carl. L'oggetto aveva un display e in cifre rosse segnava un conto alla rovescia di dieci minuti.
"La bomba!" esclamò Carl quasi senza accorgersene, ed immediatamente si tappò la bocca con le mani. Si guardò attorno: tutto immutato: gioia, allegria, spensieratezza. Che non lo avessero sentito? Impossibile! E allora perché, mentre il conto alla rovescia procedeva lento, sostituendo una cifra dopo l'altra, la vecchietta ancora si ostinava ad avvolgere l'uomo nero nella sua calzetta calda?
Per quale motivo le due gemelle facevano spallucce di fronte a quel display? Perché l'uomo mucc... dove cavolo era finito l'uomo mucca? Carl cacciò un urlo mostruoso: l'uomo mucca, probabilmente nel tentativo di recarsi al bagno, si era incastrato tra le porte dello scompartimento. Il suo corpo bloccava l'unica via d'uscita e, per quanto si sforzasse, il pover uomo non riusciva a divincolarsi da quella presa letale. "Dobbiamo uscire! Dobbiamo uscire di qui!" lo esortava Carl spingendolo con tutte le sue forze "Una bomba! Una bomba! È impossibile che quelli non la vedano! È sotto i loro occhi! Sono tutti d'accordo! Non c'è altra spiegazione!".
Ma l'altro non capiva di che stesse parlando e per la prima volta gli rivolse la parola in una lingua comprensibile - Cosa stai dicendo? Volevo solo andare al bagno e mi sono incastrato! Dove la vedi questa fantomatica bomba? -
Carl si sentì sollevato: finalmente qualcuno diceva qualcosa di comprensibile! - Ma come!? - gli disse continuando a spingere - È proprio dietro di te! Voltati per Dio! Voltati e la vedrai! - Ma l'uomo mucca, bloccato a quel modo, non riusciva a muovere un muscolo, figurarsi il collo o la testa! Dopo innumerovoli tentativi, alla fine entrambi gli uomini ruzzolarono oltre la soglia con un terrificante boato.
Carl sudava, tremava come un cencio, alimentato dalla tensione in atto in tutto il suo corpo. Si sentiva dannatamente bene! Con un balzo si alzò da terra e si avventò minaccioso sull'uomo mucca - Tu! Dannato uomo mucc.. - Ma non fece in tempo a completare la frase che l'altro lo schiaffeggiò con furore - Ma come ti permetti cane? Io ho un nome! Sei tu che non lo conosci e non lo vuoi conoscere! Pensi che sia io il cretino, ma sei tu! Ma guardati poveraccio! Mentecatto! Vai in giro con la camica in pieno inverno! E sei anche più grosso di me! Ma come ti permetti!? -
Carl, stupefatto, guardò oltre la finestra della carrozza sentendosi gelare il sangue nelle vene. Fuori nevicava incessantemente: le case color mattone coi tetti ricoperti di zucchero, il fiume ghiacciato, le balle di fieno tra i campi devastati, i fili d'erba con la punta congelata, tutto tremava sotto la tempesta e tutto era nitidamente visibile; il treno andava a passo d'uomo.
Tutto faceva presagire che si sarebbe fermato presto, ma nei dintorni, come Carl poteva ben vedere, non c'erano fermate o stazioni di sorta. Che già si sapesse della bomba? Che si fosse deciso di fermare il treno? Che tutti quanti fossero già pronti all'evacuazione?
- Non è possibile! - urlò di rabbia Carl - No! NO! IO l'ho vista la bomba! Soltanto io! Mio è il merito! Mio! Questo treno non può fermarsi! Nessuno può abbandonarlo senza sapere chi ringraziare! - e senza più badare al suo vicino di scompartimento, si lanciò di corsa verso la carrozza del capotreno.
Corse a perdifiato su per la galleria d'acciaio che gli si stendeva dinanzi con la sua moltitudine di porte, di carrozze, di scompartimenti angusti e silenziosi. Ma, forse a metà strada, o forse neanche a un quarto, sentì cedere le ginocchia: quanto mancava alla meta? Dov'era la testa di quel treno? Si guardò il polso a caccia dell'orologio. Nulla, l'oggetto era sparito. Che l'avesse perso durante la corsa? Quanti minuti potevano mancare all'esplosione?
Senza più cognizione del tempo, in preda al panico, Carl decise di fare affidamento ai passeggeri del treno. Non poteva indugiare oltre, poteva mancare pochissimo e tanto valeva tentare il tutto per tutto. Ma non fece in tempo ad avvicinarsi ad uno scompartimento che, guardandoci dentro dai vetri, gettò un grido paralizzandosi sul posto. Sulle sei poltroncine c'erano due gemelle, una vecchia e un uomo molto ma molto più grosso di lui.
"No! Ma com'è possibile? Sono forse tornato indietro al punto di partenza?". Quella supposizione si rivelò sbagliata: negli scompartimenti successivi Carl trovò sempre le stesse persone; tutti quanti, vedendolo, si voltavano nella sua direzione sorridendo cupi in volto.
"Sono tutti! Sono tutti d'accordo!" urlò tendendo le corde vocali al punto che per la disperazione gli sembrò di sentirsele spezzare in gola. Forse attratta da così tanto dolore, da così tanta sofferenza, una mano gli si poggiò sulla spalla ed egli, in ginocchio, con le lacrime agli occhi, sollevò lo sguardo verso il suo salvatore.
"Cos'hai ragazzo?" gli domandò l'uomo burbero apparso al suo fianco. Indossava una divisa blu, con una giacca a righe rosse che gli conferiva un'aria autoritaria, e, squadrando da capo a piedi Carl, si lisciava i lunghi baffi con entrambe le mani.
- Oh ma lei, lei è il capotreno! - disse Carl allungando una mano sulla gamba dell'uomo e stringendogliela così forte da fargli male - La prego! La prego! Mi aiuti! -
E con voce rotta dai singhiozzi, Carl raccontò per filo e per segno la sua storia al capotreno. Durante il racconto il capotreno si mise più volte le mani tra i capelli e arrivò a strapparsene qualche ciocca quando Carl gli sibilò a un orecchio: "Ah ma... ho visto che il treno si sta fermando.. però ecco, non c'è una stazione qui. Qualcuno vi aveva già avvisato della bomba? Ditemelo! Ditemelo vi prego! È solo mio il merito, nessuno, nessuno l'ha vista a parte me!"