Federico non voleva, non poteva crederci.
Come aveva fatto, come aveva osato quell'essere frapporsi fra lui e l'eternità?
Conducendo attenti calcoli, Filippo scoprì che The Crow era a punteggio pieno da ben tre mesi; non dormiva da tre mesi! Era difatti impossibile riuscire a dormire lasciando il dito sulla tastiera: succedeva sempre qualche guaio. Sogni agitati, un minimo sbalzo d'umore, un cambiamento di posizione e il guaio era bello che fatto: il dito galeotto andava muovendosi a casaccio ovunque, cacciandosi nelle lettere più disparate e sottraendo vitale punteggio al concorrente.
Ecco perché ogni giocatore d'elite sapeva che era necessario disattivare il gioco quando il corpo raggiungeva il limite e, nel caso di Federico, le bevande alla caffeina e i farmaci non davano più la necessaria sicurezza. Filippo e il suo compare le tentarono tutte, ma per tornare al pari con The Crow finirono per cadere vittime della loro stessa perseveranza.
Un giorno Federico non resse, si addormentò sfinito, e al suo risvegliò scoprì l'agghiacciante verità: in un solo colpo aveva perso più di quaranta ore di punteggio.
Pianse per tutta la giornata, perse la sua sicurezza, la sua forza d'animo; si risolse a presentarsi addirittura a scuola - già da tempo prendeva lezioni private, veniva imboccato dai suoi genitori, arresisi ormai di fronte al suo obiettivo.
Avevano tentato di riportarlo alla ragione ma ogni qualvolta tentavano di entrare in camera sua, Federico si sporgeva dalla finestra e gridava: "Io sono il primo! IL PRIMO in classifica! Possibile che Voi non siate contenti di questo? Ora, lo giuro davanti a Dio, se solo mi toccate, se solo tentate di strapparmi da qui, io di fronte a Voi mi Ucciderò adesso, senza tentennamenti, poiché la mia vita non avrebbe senso senza The Splite! Cosa volete? Cosa volete ancora da me infami? Cosa? Non mi occorre più il Vostro denaro, perché adesso ho Filippo! Se ancora mi amate portatemi il cibo, salutatemi se lo ritenete giusto, partecipate alla mia felicità o eclissatevi seduta stante!".
I poveretti non eran certo persone di polso, e sorridendo vacuamente facevan dietro front, contentandosi della felicità apparente del loro figliolo. Solevano dire: "Se lui è felice così; perché, perché negarglielo?" Del resto, non che se gliene voglia fare una colpa, ma eran stati loro a mettere il piccolo a confronto con la tecnologia alla tenera età di quattro anni. Il danno era bello che fatto.
Ed intanto la frustrazione di Federico raggiungeva apici impensabili. Un giorno che guardava esterefatto la classifica si disse tra sé che sognava e Filippo lo sorprese a schiaffeggiarsi da solo nell'atto di chi vuole svegliarsi da un incubo. Avrebbe voluto abbracciarlo, calmarlo in qualche modo, ma alla fine lo chiamò al cellulare nonostante la distanza non fosse proibitiva (forse qualche metro). Qui partì l'ennesima predica che già abbiamo visto all'inizio del racconto.
Filippo considerava l'alienazione dal contatto, la freddezza tesa al raggiungimento dello scopo, la calma siderale di fronte ad ogni situazione, come la massima della virtù di cui l'uomo può disporre. Di fronte alle esibizioni pubbliche d'affetto storceva la bocca e si ritraeva al suolo come una serpe calpestata dalla folgore.
Ma Federico non confidava più nel suo amico, o almeno non come in quel passato dove l'oro lastricava il suo cammino donando la sua immagine ai posteri di The Splite. The Crow sembrava inarrestabile, insondabile, e nell'ultimo periodo lo contattava per farsi beffe di lui. I messaggi che Federico riceveva erano sempre identici, che fossero vocali o d'ipertesto, nei casi più meschini allegati a cartoline telematiche di cattivo gusto.
"Tu non puoi battermi. Voi non potete battermi. Io sono morto e giaccio sulla tastiera."Il ragazzino stava appunto ripensando a quelle parole quando, pochi minuti dopo l'ennesima telefonata di Filippo, i genitori irruppero nella stanza con una strana ed inaspettata audacia di spirito. Il padre era furente, rosso fino alla punta dei capelli, la madre semplicemente si reggeva a stento sulle gambe e puntandole al suolo allungava le mani in direzione del figlio coprendosi di lacrime.
"Basta, basta così, adesso tu vieni con noi! Basta Federico! Sappiamo che sei felice ma vogliamo mostrarti anche altro, farti vivere sano e bello come sempre avresti dovuto essere!", disse la donna piombando di peso su Federico e in un attimo gli fu addosso tenendolo saldo per la collottola come un gattino pronto da deporre sul tavolo del veterinario. Federico strillava tentando di raggiungere la finestra per il balzo fatale e ci sarebbe riuscito se non fosse intervenuto il padre a percuoterlo con una portentosa manata.
Ma dopo quel gesto violento anche l'omone si sciolse in pianto e abbracciando il figlio fino a renderlo di porpora, al pari di un balbuziente sciorinò le seguenti parole: "Tu non capisci in che guaio ti sei cacciato! Vuoi farci morire! Ma tu sei sangue del nostro sangue e ora ti portiamo via da questa misera prigione, da quest'inferno cittadino, da questo smog che ti ha avvelenato l'anima rendendoti schiavo del cemento! Dio non voglia che tu finisca così figlio mio! Abbiamo prenotato in un agriturismo, un posto isolato, fantastico, nel verde più assoluto, dove i passeri cinguettano al ritmo del tempo e le mucche pascolano serenamente tra alti fili d'erba, dove l'aria è pulita e la mente umana si può saziare della natura infinita! Vedrai finalmente il cielo, il mondo animale nella sua vastità, vivrai con noi momenti indimenticabili, andiamo, andiamo! La macchina è già giù che ci aspetta!"
Federico voleva opporsi, si aggrappava con le mani frementi alla scrivania e in un eccesso di zelo colpì a un fianco la madre con una gomitata. "No! NO! NO!", gridava inferocito, battendo i piedi all'aria e vorticando il muso schiacciato come quello di una scimmia catarrina, "IL MIO COMPUTER! LA MIA [E]! VOI NON POTETE! NON POTETE!". Ma tutto fu vano. La resistenza inutile. Fu preso e trascinato giù per le scale come un sacco di patate. Lo legarono al sedile posteriore con tutte e due le cinture di sicurezza, si assicurarono che i finestrini fossero chiusi ermeticamente, e in un battibaleno la macchina si mise in moto divorando l'asfalto e allontanandosi velocemente dal centro cittadino.
Poco dopo Federico si trovò ad affacciarsi timoroso sul mondo che lo circondava.
Erano quasi giunti a destinazione.
Grandi distese verdi già si vedevano accanto alla strada, gli alberi tappezzavano ogni cosa come una coltre vivente di soldati immobili; case isolate sulle colline sbucavano come eremiti solitari di un paese a loro sconosciuto, ed ogni cosa viveva nell'armonia di quell'ambiente che poco a poco si delineava nella sua grandezza; il bosco fitto, oscuro e impenetrabile, ai margini delle strade ormai sterrate, incuteva terrore a Federico e al tempo stesso egli sentiva il suo richiamo, la voglia di inoltrarcisi e perdercisi. Immaginava quei luoghi nella notte più lugubre, pronti ad accoglierlo e a nasconderlo da tutti; si vedeva correre tra le foglie secche a caccia della via d'uscita, alla ricerca di quel mondo civilizzato che tanto bramava il suo cuore. Di tanto in tanto buttava uno sguardo smarrito oltre un guardarail improvvisato - di legno marcio - e si perdeva negli anfratti di un burrone costellato dalla vegetazione; e qui si sentiva spinto come nel bosco, vedeva il suo corpo volare e infrangersi sulla pietra, il sangue disperdersi dalla carne al ruscello lì accanto.
Nel mentre i suoi genitori intonavano allegre canzoni allo stereo e talvolta si voltavano a guardarlo felici, sogghignando complici dello sguardo spaesato del loro pargolo.
Giunsero infine, scesero dalla macchina e Federico pensava d'essere in un sogno. Finché erano a bordo di quel veicolo tutto gli sembrava nella normalità, era in viaggio, era sospeso tra l'acciaio della macchina e la terra bagnata della campagna, ma qui, una volta coi piedi tra le felci, già salendo per i sentieri di montagna, ben attento a non scivolare, a non perdere l'equilibrio, non capiva come potesse esserci finito, come tutto potesse essere così isolato e misterioso come nel percorso intrapreso dalla città.
Possibile che quella fosse una destinazione?
Dopo la tortuosa salita, sudati in tutto il corpo, arrivarono ad uno spiazzo immenso, un prato ricoperto di minuscoli fiori sospinti dal vento che carezzava ogni cosa; il calore del sole si impossessò di Federico, ed egli per un attimo credette che non fosse solo una sensazione. Conficcate nel pallido cielo sereno, come disegni su cartone, alte montagne si stagliavano irreali tra cortine di lunghe nubi. "Ma l'agriturismo?", chiese il piccolo al padre, "Dov'è questo stramaledetto agriturismo?"
Non ci fu risposta. Padre e madre si presero per mano, corsero a gambe all'aria verso la moltitudine dell'erba e facendo cenno al figlio di raggiungerli, si scagliarono danzanti tra i bovini che pascolavano lì vicino. "Vieni, vieni anche tu Federico!" urlarono ridenti, buttandosi al suolo e roteandosi veloci con il viso teso dall'emozione; poi altrettanto velocemente si rialzavano e raggianti di felicità si aggrappavano alle mucche, le carezzavano, le indispettivano tirandogli il codino; a Federico parve che il padre lo guardasse e al tempo stesso suggerisse qualcosa ad uno dei grandi animali bianchi. Ma guardandolo più attentamente si rese conto che ce l'aveva proprio con lui; gli indicava il ramo di un albero alla sua destra. Federico alzò lo sguardo a quel segnale e incrociò i famosi passeri. Giganteschi, rossi, gonfi e dal collo come gravido, sembravano fissare ogni cosa con quegli occhietti neri e profondi. Cantavano piacevolmente; persino Federico dovette ammetterlo a sé stesso.
Una mano lo toccò facendolo sobbalzare all'indietro con un tuffo al cuore.
Dietro di lui stava Filippo, corrucciato in viso, le sottili labbra serrate e i candidi capelli sparsi sugli occhi che parevano tristi. Per un attimo Federico rimase senza parole, stupefatto da quell'apparizione degna dell'entrata in scena di un fantasma.
"Una coltre di nebbia copre ogni cosa.
Non c'è più nulla da toccare, solo da subire, in questo mondo dal quale vorrei sgorgasse sangue."
"Cos'hai detto Filippo?" chiese Federico spiazzato ora anche dalle parole del suo amico. "Io? Nulla. Piuttosto, andiamocene da qui, presto, per fortuna che ti ho trovato. Il gioco ti aspetta. Qui non hai nulla da fare." tagliò corto Filippo parlando con tono meno convinto del solito.
La spavalderia di cui tanto si dimostrava generoso sembrava momentaneamente sparita nel nulla, e quando Federico gli fissò lo sguardo negli occhi, gli parve che in fondo ci fosse un burrone, un sepolcro che lo invitava ad entrare in punta di piedi.
Un brivido gli corse su per la schiena. Ma già prendeva per mano Filippo, ridendo della sua fantasticheria e percorrendo a ritroso il sentiero che portava alla strada. "Senti, ma dimmi un po', come sei arrivato qui? Ed i miei genitori? Non li avvisiamo? Li lasciamo qui?" chiese trotterellando tra un sassolino e l'altro; d'un tratto si sentiva felice. Poco più sotto una scarpata accoglieva tutto ciò che il ragazzino smuoveva coi piedi.
"Ascolta," iniziò Filippo tornando a utilizzare lo stesso tono a cui solitamente seguiva un'estenuante predica, "A volte mi chiedo se tu sia totalmente scemo o cosa. Sai benissimo che i tuoi sono un po' toccati; quando credono che tu stia troppo tempo a computer, ecco che danno di matto e ti trascinano sempre in questo posto. Ma non ricordi che l'hanno già fatto meno di un anno fa? Dopodiché sono talmente presi dal meraviglioso spettacolo della natura, che tu puoi tranquillamente andartene a casa a piedi per quel che li riguarda. Del resto avrai notato che al solito non si sono accorti di nulla. Io sono venuto qua coi miei genitori, li ho convinti con le buone, lo sai no? Loro mi danno retta; eh eh! Comunque appena ho visto che non rispondevi al cellulare mi sono precipitato qui. Ho grandi novità! Grandi novità su The Crow e dovevo mettertene subito al corrente! Ma ora ecco, ecco, sali sulla macchina," conchiuse Filippo aprendo lo sportello e invitando Federico ad entrare nell'autovettura.
I genitori del biondino si dissero soddisfatti della rapidità del loro unico figlio, benedissero la sua puntualità, il suo rigor logico, e molto altro ancora prima di decidersi a mettere piede all'accelleratore. Durante tutto il tragitto Federico non ebbe modo di sporgersi dal finestrino perché Filippo, accostato accanto a lui, quasi accucciato al suo naso come un cagnolino fedele, lo travolgeva di parole. Nell'occasione il suo amico notò la perfezione della sua bianca e grossa dentatura.
Filippo spiegò che era riuscito a risalire alla vera identità di The Crow, al suo indirizzo civico, e molto altro ancora. "Pensa," disse battendo le mani dalla soddisfazione, "Abita proprio nella nostra stessa città! E' fottuto, te lo assicuro; è fottuto!"
Federico, incuriosito dai metodi che avevano portato Filippo a rintracciare The Crow, ricevette un gesto secco di diniego; il suo amico gli sventolò di fronte al viso il dito. "No, no, certe cose son segreti del mestiere", disse Filippo aggrottando le sopracciglia. Federico rise tra sé e sé; del resto sapeva che il suo amico poteva avvalersi di conoscenze informatiche piuttosto estese, con un po' di buona volontà sarebbe riuscito a trovare qualsiasi cosa tra quella miriade di codici che compongono il web.
Il piano di Filippo era semplice e ardito. "Cosa fai Federico? Perché scuoti la testa?" gli disse vedendo che quest'ultimo era sbiancato all'idea.
"Cos'altro vorresti fare? Vuoi forse permettergli di agire indisturbato, di calpestare ciò che tu hai onestamente guadagnato? Il primo posto in classifica è tuo! Devi agire! Si farà come ti ho detto, dammi fiducia e sarai ripagato. Ti ho forse mai deluso? Coraggio, è l'unico ostacolo che ti si pone davanti a questo cammino! Puoi farcela!" urlò infine scuotendo con entrambe le mani il gracile corpo di Federico. Il frastuono riuscì a destare l'attenzione dei genitori. La madre, come staccandosi dal sedile del passeggerò, allungo la testa fino a loro e in un sussurro disse: "Ragazzi, ragazzi, non litigate."
Poi, dopo un colpetto di tosse appena accennato, tornò a dedicarsi alla sua settimana enigmistica. "Taci vacca!" gridò Filippo in un ascesso d'ira; ma non ottenne risposta; persino il motore sembrava silenzioso. Federico alla parola "vacca" si ricordò del padre che abbracciava ad uno a uno i grossi bovini ed inavvertitamente scoppiò in un risolino soffocato. Filippo lo colpì docilmente su una spalla. "Così si fa ragazzo, così, e adesso andiamo a compiere il nostro destino"