LE REGOLE E LE ABITUDINI
La mia vita, ma credo che ciò avvenga per tutti gli uomini, era scandita da regole ed abitudini. Intendo per regole quelle a cui ero obbligato a sottostare e che non dipendevano dalla mia volontà, mentre chiamo abitudini quelle che io stesso sceglievo di seguire e che, se avessi voluto, sarei stato in grado di cambiare.
Se l’alzarsi presto la mattina, inizialmente era una regola, perché era necessario andare a scuola, perché questo facevano tutti in casa, poi è diventata un’abitudine a cui ancora oggi non riesco a sottrarmi. È eccezionale che io mi alzi tardi la mattina, devo star male perché ciò accada. Anche la colazione abbondante la mattina che inizialmente era una regola impostami da mia madre, poi è diventata un’abitudine che mi è rimasta ancor oggi. Anche l’esser parco con il cibo e il non lasciar nulla nel piatto è stata una regola impostami da mia madre che si è trasformata in abitudine alla quale, ancora oggi non riesco a sottrarmi. Mia madre mi ripeteva sempre, quando non volevo mangiare qualche pietanza che avevo cominciato perché non avevo più fame, che tanti bambini avrebbero mangiato gli avanzi che io lasciavo nel mio piatto, per cui se in quel momento non mi sentivo di mangiarlo lo avrebbe conservato perché lo mangiassi la sera o il giorno dopo.
Mi raccontarono la seguente storia e non ho alcun dubbio che sia assolutamente vera. Il figlio maggiore di mio nonno studiava medicina a Padova. Una volta tornò a casa e quel giorno per il pranzo erano state cucinate lenticchie. Mio zio disse che non ne voleva. Tutti rimasero attoniti in silenzio perché era un fatto inimmaginabile. Mio nonno senza scomporsi chiamò la persona di servizio e disse di portare via il piatto di lenticchie e di conservarlo nella credenza. La sera quel piatto ricomparve sul tavolo davanti a mio zio il quale ripeté che non voleva mangiarle. Anche stavolta mio nonno chiamò la donna e fece portar via il piatto, e tutte le volte che mio zio si sedeva a tavola trovava il piatto davanti a sé che successivamente veniva portato via su ordine di mio nonno, anche quando, dopo alcuni giorni aveva fatto la muffa e faceva cattivo odore in quanto le lenticchie si erano alterate ed erano diventate acide. Ciò si ripeté fino alla settimana successiva quando fu sostituito da un nuovo piatto di lenticchie uguale a quelle che erano state cucinate per tutta la famiglia. Mi raccontarono che la seconda volta mio zio mangiò le lenticchie senza fiatare.
Sia in casa mia, ma prevalentemente in casa di mio nonno io divenni un buongustaio. Mia madre cucinava bene, ma mia zia era una cuoca eccezionale e poi mi viziava con cibi estremamente prelibati e raffinati, cucinati con le cose genuine che si trovavano in casa. E per giunta variava le pietanze sempre nuove e diverse. Ricordo un dettaglio che può apparire di poco conto, ma che è indicativo dello stile di vita che la famiglia conduceva. In casa di mio nonno non mancava nulla, ma tutto era assolutamente misurato e senza sprechi. Ogni giorno, prima del pranzo o della cena la persona di servizio scendeva in cantina e riempiva la bottiglia di vino personale di mio nonno, spillandolo direttamente dalla botte, che veniva messa a tavola davanti al suo posto. Mio nonno beveva pochissimo vino, infatti aveva una bottiglia piccolissima, che serviva solo per lui, grande più o meno quanto un’ampolla dell’oliera, ed alla fine del pasto ce n’era ancora circa metà, ma il vino doveva essere sempre appena spillato dalla botte. Poi, occupandomi della campagna di mia madre scoprii quanta differenza passa tra il sapore e il profumo del vino appena spillato dalla botte e quello conservato nella bottiglia. Credo che siano poche le persone che hanno potuto apprezzare questa differenza. È questo il motivo per cui, io, quando mi occupai della campagna di mia madre (a quell’epoca non bevevo vino) volevo sempre assaggiare il primo vino che veniva spillato dalla botte. Oltre al vino la persona di servizio saliva dalla cantina su indicazione della zia un pezzo di formaggio fresco o stagionato, oppure di tuma o di primo sale, oppure un pezzo di salame o di capocollo, oppure di pancetta o di lardo, ogni volta una cosa diversa e quanto bastava per quel pasto per la famiglia e per la servitù che mangiava nel tavolo accanto le stesse identiche cose che venivano poste sul tavolo di mio nonno. L’abbondanza c’era, ma tutto veniva consumato in maniera parsimoniosa e principalmente senza alcuno spreco.
A questo proposito voglio ricordare un episodio del quale, malgrado riguardi la mia persona, ho un ricordo piuttosto vago e che mi permane nella memoria perché mi è stato raccontato più volte. Ero sceso in cantina con la donna di servizio che aveva appena riempito di vino la bottiglia di mio nonno, il cui collo era ancora ricolmo di schiuma ed era andata nella dispensa, io attirato dal profumo del vino bevvi quella schiuma e mi ubriacai. Avevo otto anni. Dovettero salirmi al piano superiore in braccio perché non mi reggevo in piedi e parlavo, anzi sparlavo, in continuazione, quasi in un delirio continuo e furono costretti a portarmi a letto di peso. Quella è stata l’unica volta, in vita mia, che mi sono ubriacato.
Nei miei ricordi, mi sovviene ancora un’altra cosa. Si tratta di argomenti di cui difficilmente si parla, anzi si tacciono completamente, anche se sono a tutti note. Se qualcuno non è interessato, oppure ritiene che non era il caso di parlarne, può tranquillamente astenersi dal leggerla o dissentire (non l’avrò a male). Comunque, forse chi mi legge avrà capito che io non sono una persona che può essere inquadrata o irreggimentata entro determinati canoni comuni, io sono uno che cerca di non trascendere e che si attiene a determinate regole, ma non esistono tabù per me. Così vado avanti.
Mia madre fin da ragazzo mi ha spiegato cosa era una vita sana e igienica. In tutti i sensi e sotto tutti gli aspetti. E a questo proposito mi torna alla mente quello che mi raccontò una volta una ragazza la cui madre le raccomandava sempre di usare la spugna quando faceva il bidet e mai usare le mani nude (beh, quello che sua madre gli impedì di conoscere … poi glie lo spiegai io).
Allora, torno al mio discorso. Mia madre mi ripeteva sempre che il nostro corpo è una macchina, più perfetta di un orologio, che se utilizzata sempre bene e in maniera ordinata, ma anche senza lasciarla arrugginire sarebbe durata a lungo perfettamente funzionante. Mi spiegava che una prima regola è una alimentazione sana ed equilibrata. Queste cose le approfondii poi, dal punto di vista scientifico, all’università, ma i fondamenti me li aveva già dati mia madre, quando ancora ero ragazzo. Mi spiegò che quando noi andiamo in bagno (facciamo la cacca) espelliamo dal nostro corpo gli avanzi e le scorie (quello che non serve più) di quello che abbiamo mangiato. E così come è importante portare via di casa la spazzatura ogni giorno, anche per il nostro organismo era importante liberarsi regolarmente di tutto quello che non serve o avanza. Per cui anche questa era una operazione di igiene personale a cui bisognava abituare l’organismo a compiere tutte le mattine assieme alle altre.
Mi spiegava anche che così come tutti i rifiuti alimentari, in genere inizialmente non hanno un odore nauseabondo, ma la puzza si manifesta successivamente quando iniziano i fenomeni di fermentazione e putrefazione a cui tutte le sostanze organiche vanno incontro con il tempo, anche le nostre feci non necessariamente devono emanare cattivo odore (o comunque un odore troppo intenso) e che se questo avviene il motivo è perché nel nostro organismo è avvenuta qualcosa di non normale o che non ha funzionato bene. Mi spiegava che io dovevo essere attento a questi fenomeni e capirli, in quanto ero il solo che poteva prestarvi attenzione e poteva correggerli o, meglio ancora, prevenirli. Per prima cosa dovevo imparare a capire quale era la regola e quale era l’alterazione. La regola era un giusto equilibrio che stava al centro tra due estremi e che l’alterazione poteva avvenire in un senso oppure nell’altro. Se era presente una alterazione dovevo percepirne i segni e i sintomi e capire verso quale estremo era avvenuta l’alterazione e di conseguenza quale era la direzione da dare per correggerla.
Ovviamente il problema di cui sto parlando è quello alimentare. Ma le stesse regole e le conseguenti alterazioni, con meccanismo più o meno analoghi, avvenivano e si manifestavano in tutti i fenomeni naturali, dovevamo essere noi a prestarvi la dovuta attenzione per scoprirli e capirli. Non si può immaginare quanto tutto ciò mi sia stato utile nella vita. Io ho sempre detto che, specialmente da ragazzo, ho vissuto una vita libera e quasi allo stato selvatico. Ma attenzione non ho mai detto che ho vissuto una vita disordinata e senza regole. La maggior parte delle persone ritengono che i ragazzi debbano crescere liberi, e in ciò hanno ragione, ma interpretano questa libertà come mancanza assoluta di regole, e in ciò hanno torto, grave torto. Questo loro concetto è frutto di ignoranza. La natura selvatica, a cui sono stato abituato io, ha regole ancora più rigide di quelle che la famiglia o lo stato ci impone. Il fatto che io avessi poche regole, significava che ero assolutamente obbligato a rispettarle (e le ho sempre rispettate). Il fatto che se mi ferivo giocando non venivo rimproverato significa che i miei mi riconoscevano anche il diritto a correre determinati rischi, che io stesso dovevo imparare a valutare, ma ovviamente avere anche conoscenza delle conseguenze che ne potevano derivare, e che dovevo necessariamente patire, perché ogni cosa che noi facciamo sempre, dico sempre, ha un suo prezzo da pagare.
Ma torniamo all’argomento principale che mi ha portato in questa discussione, cioè l’alimentazione. Mia madre mi spiegò con parole semplici e comprensibili (all’università me lo spiegarono scientificamente) che gli alimenti base sono tre: proteine, carboidrati e grassi e che qualunque organismo (non solo umano, ma anche animale o vegetale) ha necessariamente bisogno di tutti e tre per vivere. Mi fanno ridere quelli che tolgono completamente i grassi dalla loro dieta: è ignoranza o peggio imbecillità (è chiaro che non è mia abitudine usare mezzi termini e che se devo dire ciò che penso non vado troppo per il sottile). Quanto sto dicendo non significa che ci si debba abbuffare di grassi, si tratta di sapere individuare (come mi ha insegnato mia madre) la giusta misura (che sta nel mezzo tra i due estremi, il molto da una parte e il poco dall’altra) e che è adatta a me ed al mio organismo, completamente diverso da quello di tutti gli altri. Questa è un’altra cosa importante che mi ha insegnato mia madre: l’individualità della persona, nessuno è uguale ad un altro. E ciascuno deve conoscere se stesso per avere cura al meglio di se stesso, sia come persona fisica, che come mente intellettuale.
Mi sono fatto trascinare nuovamente fuori rotta dalle mie divagazioni. È come quando sei al timone di una barca a vela, e devi seguire una rotta specifica, ma talvolta ti piace farti trascinare dal vento un po’ fuori dalla tua rotta, perché sai che in qualunque momento sei in grado di riprenderla perfettamente, perché sei tu che l’hai scelta, sei tu che l’hai tracciata, sei tu che vuoi seguirla. Si tratta di un gioco che vuoi fare, di una licenza che vuoi prenderti, per rendere meno monotono il percorso. Quindi dicevo che mia madre oltre a spiegarmi che i grassi sono il giusto “condimento” (lei li definiva così per farmi capire meglio, ricordo che io ero un ragazzo in crescita: 8-15 anni) da dare ai carboidrati e alle proteine e che come condimento dovevano essere usati in maniera appropriata e con parsimonia, mentre l’alimento base erano le proteine che davano al mio organismo la sostanza necessaria alla formazione plastica del mio corpo (massa) e gli idrati di carbonio che davano l’energia necessaria per farlo muovere. Pertanto la giusta dose variava da periodo a periodo, da momento a momento. Durante la crescita il fabbisogno delle proteine era maggiore e pertanto era lei che provvedeva con l’uovo la mattina in aggiunta al latte e la carne due volte al giorno, mentre se facevo sport o gite in montagna dovevo dare la prevalenza agli zuccheri che mi fornivano energia ed era sempre lei che mi metteva nello zaino le tavolette di cioccolata per me e per i miei amici.
Ma come facevo io a capire se la mia dieta era sbagliata e principalmente perché era sbagliata e come dovevo correggerla. Dovevo sapere osservare i fenomeni che accadevano dentro di me, dovevo conoscere perfettamente il mio organismo. Proprio come fanno Schumaker e Valentino Rossi che sono i migliori meccanici della propria macchina o moto. Son partito dicendo che non necessariamente le feci devono essere particolarmente puzzolenti e questa situazione è già il primo indice di una alimentazione corretta, cioè equilibrata. Il secondo indice è la consistenza: devono essere sufficientemente solide, ma non troppo e neanche liquide. La loro espulsione all’esterno deve avvenire con regolarità (pensate a quanta cura mettono le case automobilistiche nella costruzione delle marmitte di scarico delle macchine e delle moto). E questo me lo ha insegnato inizialmente con una regola: la mattina non potevo uscire dal bagno se non ero andato di corpo, e se ci mettevo molto tempo, pazienza, vuol dire che mi dovevo alzare prima perché c’era un’altra regola da rispettare: a scuola non dovevo arrivare in ritardo.
Poi mi insegnò a riconoscere, osservando tutti questi aspetti, regolarità, consistenza, colore, odore, se l’intestino aveva un buon funzionamento o meno e di conseguenza se l’alimentazione era stata corretta o meno. Mi spiegò e mi insegnò a riconoscere se c’era un eccesso di idrati di carbonio (feci più puzzolente per le eccessive fermentazioni e di conseguenza riconoscere l’odore dalla fermentazione) oppure di proteine (feci più morbide e proprio con l’odore caratteristico della putrefazione da distinguere da quello precedente).
Non mi dilungo su questo. So bene che l’argomento è poco piacevole. Ma ho voluto dare, a chi ha voluto seguirmi fino alla fine, spunti di riflessione anche su questi argomenti.
Un caro abbraccio a tutti.
Victor