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Joseph Conrad e il suo mare, metafora della solitudine dell’uomo

Pubblicato il 04-12-2007


Cade il 150° della nascita di Joseph Conrad (pseudonimo di Jozef Teodor Konrad Korzeniowski), uno dei più grandi scrittori inglesi. Polacco ucraino, nato il 3 dicembre del 1857 ed esiliato in età infantile dalla sua patria con i genitori (entrambi morti giovani per tubercolosi), fu cresciuto con affetto da uno zio materno; naturalizzato inglese nel 1886, morì nel Kent nel 1924. Conrad ha amato la vita di mare, solcando con il grado di capitano della Marina britannica e per circa venti anni, in lungo e in largo, tutti i mari dell’arcipelago malese. Con le sue affascinanti storie d’ambiente marinaro, ha fatto molta presa sui ragazzi e i giovani di tutto il mondo.
Tra i primi romanzi sono da ricordare “La follia di Almayer” (1895), pubblicato un anno dopo aver abbandonato la Marina per dedicarsi alla letteratura, che lo lanciò all’attenzione del pubblico e della critica; “Un reietto delle isole” (1896); il capolavoro “Lord Jim” (1900); e il racconto più noto ed enigmatico, “Cuore di tenebra” (1902), nel quale narrò una sua traumatica esperienza vissuta nel Congo (scrisse: «Prima del Congo, ero un autentico animale»).
Del 1903 è il superbo “Tifone”, nel quale descrive con efficacia «la forza incommensurabile e il corruccio sfrenato dei flutti… l’ira che sembra passare e placarsi e non è mai placata… la rabbia e la furia del mare in orgasmo… i vestiti, pieni d’acqua, pesanti come piombo, freddi e sgocciolanti come un’armatura di ghiaccio fondente», e nel quale parla della nave “Nan-Shan”, perduta «come un tronco galleggiante, quasi sommerso per intero… quella povera nave sbattuta, solitaria, che faticava in una scena selvaggia di montagne d’acqua nera illuminate dai raggi di mondi lontani…». In Conrad (così come nel nostro Giovanni Verga) domina la tragedia di una lotta impari contro una Natura misteriosa e contro un Destino implacabile, e molti suoi personaggi sono dei falliti romantici che restano però uomini di altissima dignità, pieni di consapevolezza dei propri limiti (allo stesso modo dei personaggi dell’autore catanese). Il conflitto con la Natura fa risaltare l’onore, la lealtà e la grandezza di questi viaggiatori solitari e silenziosi: «Erano stati forti come sono forti coloro che non conoscono dubbi né speranze. Erano stati impazienti e resistenti, turbolenti e devoti, indisciplinati e fedeli… Ma nella realtà erano stati uomini che conoscevano la fatica, le privazioni, la violenza, il vizio ma non conoscevano la paura… uomini senza voce… Era un destino unico… la capacità di sopportarlo appariva loro il privilegio degli eletti!… Furono gli imperituri figli del mare misterioso.». E questi protagonisti, esclusi ed emarginati (quasi «espulsi dalla loro razza»), hanno una forza d’animo immensa e una caparbietà infinita, tuffandosi nel destino all’inseguimento di remoti e misteriosi fantasmi, in un duro viaggio che spesso è di sola andata. Ma nulla c’è di patetico in Conrad, al contrario ci sono tensione e senso del mistero, con un «punto di vista» profondamente pessimista ma tragicamente grande e audace.
Seguirono interessanti romanzi politici (veri e propri “noir”), quali “L’agente segreto” (1907) e “Con gli occhi dell’Occidente” (1911), scritti in opposizione sia della dittatura russa degli Zar (Conrad era un idealista) sia dell’opera dei rivoluzionari di professione, colpevoli di conculcare l’individualità personale (era anche un illuminato conservatore filo-occidentale). Alla fine, però, non poté che ritornare ai suoi mari tempestosi e alle sue lande esotiche con opere molto curate e dalla prosa mirabile (scritte in un inglese perfetto, nonostante fosse un immigrato che parlava poche parole d’inglese e avesse imparato la lingua sulle navi), tra le quali “Linea d’ombra” (1917) e “La liberazione” (1920), che erano però meno liriche ed intense rispetto alle opere giovanili.
Conrad influenzò grandemente tutti gli scrittori successivi, avendo focalizzato l’attenzione sulla solitudine esistenziale dell’individuo in crisi nella società vittoriana di fine Ottocento e avendo rappresentato le intime nature e gli animi dei personaggi (talora autobiografici) in situazioni estreme e in bilico tra colpa e innocenza, abiezione e redenzione. E il mare era la metafora delle tremende sfide affrontate da uomini virili e coraggiosi (anche se perdenti) e il simbolo della tragica condizione dell’uomo e del suo misterioso imperscrutabile destino.

Di silvia Iannello

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