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Centenario dalla nascita di Simone de Beauvoir. Esistenzialismo e femmismo.

Pubblicato il 07-01-2008


Di Silvia Iannello

Simone de Beauvoir nacque da una decaduta famiglia cattolica dell’alta borghesia il 9 gennaio del 1908 a Parigi, ove si laureò in Lettere presso la Sorbona divenendo poi “aggregata” di Filosofia nel 1929. In questo periodo, incontrò il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre (1905-1980), suo professore ma quasi coetaneo col quale creò una moderna coppia “aperta”, rifiutando il matrimonio e la convivenza ma stabilendo un imperituro connubio intellettuale (nel quale riuscì a conservare intatta la sua individualità femminile). Questo incontro la trasformò in una teorica dell’esistenzialismo, corrente filosofico-letteraria nata intorno agli anni ’30 e fondata sul contrasto insanabile tra essenza ed esistenza - e sulla precedenza dell’esistere sull’essere - che in Francia ebbe appunto in Sartre il suo nume tutelare. Grazie ai media, l’esistenzialismo divenne anche una moda, in grado di influenzare costumi e abitudini, pittura e musica (come dimenticare le caves parigine e la musa esistenzialista Juliette Gréco). Questa filosofia della libertà e dell’umanismo ebbe sostenitori entusiasti ma anche detrattori feroci che parlarono di «filosofia del nulla… della melma».
de Beauvoir, postulando l’assenza di Dio (divenuta atea dall’età di 14 anni, scriveva: «Dio è diventato una presenza astratta in fondo al cielo, che una sera ho cancellato»), rivalutava il valore della libertà e della responsabilità nell’esistenza dell’uomo, alla mercé del mondo e solo di fronte alla sua coscienza ma obbligato a creare il suo destino nonostante le limitazioni e i condizionamenti esterni esercitati sulle sue scelte e azioni. Quest’assenza di Dio non autorizzava però l’arbitrio (Dostoevskij aveva scritto: «se Dio non esiste, tutto è lecito»); al contrario, rafforzava e rendeva definitivo l’impegno dell’uomo (scriveva Simone: «nulla è lecito se non è giustificato»). L’esistenza mostra delle ambiguità ma non è assurda né senza senso, e il senso nascosto deve essere sempre ricercato e conquistato («Oggi siamo liberi e dobbiamo salvare la nostra esistenza… non rinviare la soluzione dei problemi e dei contrasti dell’umanità a un ipotetico Paradiso…»).
Convinta che tra uomo e donna non c’é alcuna differenza (la struttura ontologica è comune e indipendente dalla diversa sessualità), in “Il secondo sesso” (1949), un lungo saggio in due volumi che ebbe un successo dirompente ma che fece gridare allo scandalo da parte del pubblico conservatore e perbenista e che fu posto all’Indice dal Vaticano, de Beauvoir demoliva «i miti dell’eterno femminino». Da femminista ante-litteram, innestava sul pensiero esistenzialista il problema dell’identità femminile e la necessità di un ruolo nuovo per la donna moderna da realizzarsi nella cultura e nella storia contro l’ostilità del maschio e l’oppressione della società. Questo testo, tra i più importanti del Novecento, è divenuto un classico della letteratura femminista per il quale l’autrice è stata odiata e derisa ma anche amata e venerata (finalmente, una donna intelligente e coraggiosa dava voce a ciò che molte donne - trattate come «oggetti» e alienate in un ruolo mortificante voluto dagli uomini - provavano ma non erano in grado di esprimere) ed è stato il punto di riferimento delle giovani generazioni femminili che hanno dato vita alla stagione di liberazione sessuale del ’68. Negli anni ‘70, Simone militò attivamente nel “Movimento di liberazione delle donne” e, in “La terza età”, ancora attualissimo, condusse una riflessione filosofica sull’indifferenza della società che, mitizzando la giovinezza, toglieva significato esistenziale ai molti vecchi costretti in povertà e lasciati ai margini.
Sartre e de Beauvoir viaggiarono insieme per il mondo e insieme andarono al cinema e ai concerti jazz, condivisero l’odio per Nazismo e Fascismo, parteciparono con orrore alla guerra civile spagnola e alla II Guerra mondiale, sostennero la Resistenza, marciarono in testa a tutte le manifestazioni contro il riarmo atomico, le guerre in Corea e Vietnam, la politica aggressiva della Francia in Algeria e l’invasione sovietica dell’Ungheria, si espressero in favore della dissidenza sovietica e contro i gulag in Urss, fecero conferenze e convegni, firmarono manifesti per la limitazione delle nascite e l’aborto, intervennero contro il conflitto arabo-israeliano, subirono processi e furono chiamati a testimoniare, e molto altro ancora. Nel 1968, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, insieme presero le distanze dal partito comunista francese. E ancora insieme, misero la loro enorme notorietà a disposizione di tutte le cause degne del loro impegno etico-politico. Insieme, infine, furono sepolti nel cimitero parigino di Montparnasse (dopo la morte di lei, avvenuta nel 1986, sei anni dopo quella di Sartre). In “La cerimonia degli addii” (1981), dedicato all’amato «compagno di strada» perduto, aveva scritto: «La sua morte ci ha separato e la mia morte non ci riunirà. E’ così; ma è stato già in sé splendido che noi siamo stati capaci di vivere in armonia per un così lungo tempo».

Di Silvia Iannello

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