Recensioni libri

Frank Wedekind. I novant’anni della morte

Pubblicato il 10-03-2008


Frank Wedekind, attore e drammaturgo tedesco, figlio di un ginecologo tedesco emigrato in America e di un’attrice ungherese (dissidenti politici), nacque a Hannover il 24 Luglio 1864 e visse in Svizzera dal 1872 al 1884, per poi trasferirsi a Monaco di Baviera che scelse come città di residenza, e ove morì improvvisamente a 54 anni il 9 Marzo del 1918, proprio alla fine di quella Prima Guerra Mondiale che aveva avversato con tutte le sue forze. Antesignano del Teatro dell’Assurdo, fece da cerniera tra il Naturalismo della sua generazione e l’Espressionismo tedesco della generazione successiva. Svolse numerosi lavori prima di trovare la sua strada: fu direttore pubblicitario, segretario di un circo, giornalista satirico della rivista “Simplicissimus” a Monaco (nel 1899 si guadagnò una condanna a sette mesi di detenzione per una poesia satirica su Guglielmo II), a Parigi e a Londra, attore famoso e regista di cabaret oltre che coraggioso produttore dei suoi stessi spettacoli teatrali, insieme con la moglie Tilly Newes, un’attrice dalla quale ebbe le due figlie Pamela e Kadidja. A Parigi, ove rimase tra il 1892 e il 1895, influenzato dai percorsi esistenziali dei poeti “maledetti” Charles Baudelaire (1821-1867) e Paul Verlaine (1844-1896), frequentò i bassifondi parigini insieme con attori, circensi, ballerine e prostitute, traendo però da questa degradante esperienza di eccessi una sensazione di deluso e disgustato sconforto. Intellettuale rivoluzionario, con la sua opera intese protestare contro l’ipocrita società e la sessuofobia educazione borghese del suo tempo, manifestando il suo favore per un’educazione libera adatta a favorire le forze più istintuali, le sole in grado di assicurare l’affermazione nella vita. Il suo primo importante lavoro teatrale fu la tragedia “Il risveglio della primavera” (1891), dedicata ai problemi della pubertà e all’esplodere naturale della sessualità in tre adolescenti; il testo, nel quale l’autore con originalità mescolava crudezza e lirismo, dialoghi frammentati e tratti caricaturali, ironia e distorsione della realtà, creò scandalo nella critica e nel pubblico. Seguirono il dramma molto trasgressivo “Lo spirito della terra” (1895), tradotto a Milano nel 1955, e la «tragedia mostruosa» “Il vaso di Pandora” (1905), tradotta a Roma nel 1949, che con temi quasi da romanzo d’appendice hanno costituito il «ciclo di Lulu»: Lulu è la femmina incosciente e fatale che incarna insieme la gioia di vivere e il fascino, l’istinto e la sensualità, la seduzione e l’immoralità, la trasgressione e la sessualità cieca e distruttrice che trascina l’uomo nell’abisso; e la perversa e puerile protagonista scende tutti i gradini dell’abiezione per finire come prostituta nei bassifondi di Londra, uccisa la vigilia di Natale da Jack lo Squartatore. Con linguaggio tagliente e con ricchezza di immagini grottesche e simboliche, i due testi affrontavano il tema della forza della sessualità (col suo sconfinamento nell’erotismo sfrenato) e del suo contrasto col perbenismo e l’arrivismo della società piccolo-borghese di inizio secolo. Queste due tragedie replicarono (e anzi aumentarono) lo scandalo suscitato dal primo lavoro, provocando oltre alle censure anche divieti di rappresentazione pubblica e consacrando l’immagine anarcoide e anticonformista di Wedekind. I due testi ispirarono l’opera musicale “Lulu” del compositore austriaco di musica dodecafonica Alban Berg (1885-1935) e lo sconvolgente film di George Wilhelm Pabst (1928) con una conturbante Mary Louise Brooks. Altri suoi interessanti drammi sono: “Il marchese di Keith (1901), che racconta le imprese di un avventuriero privo di scrupoli; “Re Nicolò ovvero Così è la vita” (1902), che narra di un sovrano cacciato dal suo trono in un regno fantastico, il quale trova la felicità e il senso della vita insieme con attori e prostitute; “Danza macabra” nota anche come “La morte e il diavolo” (1906), che si sofferma sulla problematicità del piacere dei sensi; “Franziska” (1912), un «mistero moderno» dedicato a un «Faust» al femminile; e “Bismarck” (1914-5), un dramma storico che rielabora tutti i temi preferiti. Wedekind scrisse anche poesie e novelle, molte canzoni (riunite nel 1920 nel volume postumo “Canti per liuto”), un saggio sull’Erotismo (in cui difendeva la forza naturale e vitale dell’erotismo che non sopporta freni o repressione, pena il disordine sessuale e l’emarginazione), e il “Diario di una vita erotica”, uscito postumo nel 1986.


Di Silvia Iannello


Torna alla pagina delle news