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Henrik Ibsen e i suoi personaggi cupi e tormentati

Pubblicato il 20-03-2008


Henrik Ibsen nasceva 180 anni addietro, il 20 marzo del 1828, nel piccolo borgo
di Skien in Norvegia da rigidi genitori benestanti. Conobbe ben presto la
povertà a causa del fallimento dell’azienda familiare: avrebbe voluto fare il
pittore ma i problemi economici lo costrinsero a lasciare la scuola a sedici
anni per divenire un umile commesso di farmacia e a seguire faticosi e
disordinati studi notturni. Chiamato a Cristiania (oggi Oslo) nel 1851 per
dirigere il Teatro Nazionale di Bergen, a 30 anni sposò Suzannah Thorensen,
intelligente compagna di vita, fedele nonostante i lunghi allontanamenti di
Henrik che era un individuo dalle molte ferite dell’anima e portato all’analisi
morale, in bilico tra istinto e aspirazioni etiche come l’uomo nordico del
tempo, così come appare anche nei «capolavori di dura psicologia» del
contemporaneo autore svedese August Strindberg (1849-1912) che con lucida
crudezza diceva di scrivere con l’ascia, e non con la penna. Nello stesso
periodo, il pittore norvegese Edvard Munch dipingeva “Il grido” (1893), un
quadro impressionista di intensa drammaticità interiore.
In un primo
periodo, Ibsen si dedicò alla produzione di molti testi storici (scritti con
l’aspirazione di creare un “dramma nazionale”), grandi opere dall’impianto
realistico ma con un velo di romanticismo, nelle quali si andava precisando il
personaggio ibseniano tipico: un essere umano pieno di contraddizioni ma alla
ricerca dell’assoluto, che deve conciliare la felicità con il dovere,
conservatore ma anche moderno (scriveva Ibsen: «Il progresso non è altro che
brancolare da un errore all’altro»), brutale ma anche bimbo indifeso, inaridito
dalle regole ma anche anticonformista, desideroso di calma ma anche irrequieto,
realistico ma anche visionario, gaio e cupo insieme; un individuo che sente di
poter essere grande ma che sa anche di covare in se stesso i nemici di questa
grandezza. Di questo periodo è da ricordare “Peer Gynt” (1867), in cui sogni e
istinti si contrappongono a realtà e senso del dovere in personaggi di forte
tensione lirica e acutezza psicologica (personaggi universali e
indimenticabili!). Peer Gynt è uno spaccone convinto di voler essere sempre se
stesso, un farfallone e un don Giovanni che manca di carattere e volontà ma
soprattutto di senso morale nei confronti della vita, un illuso che tradisce le
buone virtù quotidiane e disprezza i generosi doni della vita (soltanto la madre
Aase ne sopporta i difetti, seguendolo nel suo mondo confuso tra realtà e
fantasia e trattandolo come un bambino); Solvejg è la donna innamorata che tutto
trascende, tutto sopporta e tutto perdona: una vera eroina romantica e un
archetipo dell’amore che incrollabile come una roccia dura per sempre.
Dal
1869 la produzione artistica di Ibsen trasmutò nel dramma realistico
socio-ideologico, nelle «tragedie del nostro tempo» che sotto l’apparente
prosaicità erano il pretesto per portare sulla scena conflitti psicologici (a
prescindere dal tempo e luogo dell’azione scenica) ma soprattutto il difficile
rapporto tra i sessi, messo in pericolo dalle dure regole del matrimonio e
minato da una menzogna di base e dall’esistenza di «due tipi di leggi morali,
due tipi di coscienza, una nell’uomo e un’altra molto diversa nella donna; tra
di loro non si capiscono, ma nella vita pratica la donna viene giudicata in base
alla legge dell’uomo, come se si trattasse non di una donna ma di un uomo».
Ibsen avvertì tra i primi la crisi dell’istituto matrimoniale nella società
borghese di fine Ottocento e, in “Casa di bambola” (1879), racconta di Nora,
moglie e madre apparentemente felice, che rifiuta il ruolo passivo nel quale è
relegata dall’ipocrisia maschile per prendere coscienza di sé e del suo essere
un individuo libero, scegliendo una solitaria autonomia lontano dalla casa, dal
marito e dai figli. Con questo testo eterno (rappresentato finanche al Teatro
nazionale di Pechino), irresistibile e rivoluzionario nell’affrontare con
consapevolezza e serietà morale i conflitti sociali, i dissidi familiari e la
condizione della donna nell’Ottocento, Ibsen ha svolto un tema di argomento
femminista e ha mostrato tutte la sue qualità di anticipatore sociale.

Di Silvia Iannello


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