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Joaquim Machado de Assis. La voce di Rio de Janeiro

Pubblicato il 24-09-2008


Cento anni addietro (29 settembre 1908) moriva a Rio de Janeiro Joaquim Maria Machado de Assis, il più grande scrittore brasiliano dell’Ottocento. Nato a Rio nel 1839, figlio di un umile imbianchino mulatto e di una bianca, dopo la morte della madre fu allevato da una matrigna, anch’essa di sangue misto e cuoca di professione. Tormentato dai problemi economici e dalla mancanza di cultura (arrivò a completare soltanto gli studi elementari), perseguitato dai pregiudizi razziali, si allontanò ben presto dalla famiglia per lavorare come apprendista tipografo, leggendo con voracità e studiando da autodidatta. Raggiunse in breve una posizione di rango: attrasse l’attenzione dei critici e degli scrittori coi suoi scritti, fece una brillante carriera burocratica e sposò Carolina Augusta Xavier de Novais, una donna portoghese colta e di buona famiglia (e il loro fu un matrimonio felice e armonioso: il sonetto che Joaquim dedicò all’amata moglie, dopo la sua morte, è una delle più classiche poesie d’amore in lingua portoghese). Il notevole successo letterario lo introdusse nell’élite intellettuale e nel 1896 divenne il primo presidente dell’Accademia Brasiliana delle Lettere da lui stesso fondata (carica che mantenne sino alla morte).
La sua scrittura libera e sensibile è stata certamente influenzata da molte circostanze extra-letterarie: iniziali svantaggi socio-economici, costituzione malaticcia, epilessia, balbuzie, carattere spigoloso, tristi esperienze esistenziali. Autore di transizione tra Romanticismo e Realismo, fu sia un romantico che un realista. Nella fase romantica, il suo tono era ironico-umoristico (innestato su un substrato di ottimismo nei confronti della natura dell’uomo); con lo svilupparsi di una crisi di salute particolarmente acuta (fu costretto per lunghi periodi a dettare i suoi testi alla moglie), a partire dal 1878 si fece strada in lui un umor nero mescolato ad amaro sarcasmo che in seguito precipitò in un disilluso pessimismo e nella perdita di ogni illusione sull’autenticità dell’essere umano. Il surreale M. de Assis di “Memorie dell’aldilà (Memórias Póstumas de Brás Cubas)” (1881) ha fatto parlare di un “Pirandello latino-americano”. In questo eccentrico e originale testo di rottura, costituito da 160 piccoli capitoli e ricco di associazioni e digressioni, l’autore immagina che Brás Cubas racconti in prima persona le sue memorie postume dal mondo dell’oltretomba per concludere alla fine di sentirsi un piccolo vincitore alla testa degli altri, perché almeno non ha lasciato figli a perpetuare la miseria umana (in ciò c’è qualcosa di autobiografico, perché l’unica amarezza del felice matrimonio dello scrittore fu proprio il non avere avuto figli). “Dom Casmurro” (1899), uno dei capolavori della letteratura mondiale, letto obbligatoriamente per decenni nelle scuole brasiliane, è incentrato invece su Capitù Pádua, una eroina dalla psicologia complessa, osservata attraverso lo specchio deformante della gelosia ossessiva dell’infelice marito Bentinho Santiago, detto Casmurro, frustrato dai sospetti di un triangolo amoroso con l’amico Escobar e di una paternità illegittima. M. de Assis scrisse anche commedie e saggi di critica (pubblicati postumi) e le sue “Obras Completas”, raccolte e ristampate in Brasile tra il 1937 e il 1946, sono costituite da ben 31 volumi!
Autore semplice e comunicativo (confessò con beffarda sincerità di comporre i suoi «facili periodi con settanta parole in tutto») ma anche individuo cinico e distaccato, fu sempre disinteressato alle questioni sociali, al problema della schiavitù e alle tradizioni brasiliane. Seppe creare personaggi vivaci (appartenenti alla decadente società borghese a cavallo tra due secoli), ben rappresentati dal punto di vista psicologico e colti con humour quasi britannico in situazioni curiose e ricche di fantasia (quasi sempre, affidate al caso). Per il suo gusto europeo, è stato paragonato sia a Marcel Proust sia a Henry James (si è scritto che è stato «il meno brasiliano dei letterati brasiliani»). E le sue storie si svolgono, sempre e soltanto, nell’ambiente di Rio de Janeiro (non esistevano per lui altre località o altri spazi): e Rio non era un mondo reale ma un paese fuori dal tempo, un vero luogo dell’anima (tra l’altro M. de Assis, essendo sofferente ed avendo perduto la vista, si muoveva pochissimo dalla città natìa).
La scrittrice statunitense Susan Sontag (che per la sua ironica osservazione dei fatti socio-culturali contemporanei ha sempre riconosciuto un debito allo scrittore brasiliano), nel “The New Yorker” (1990), scrisse: «... il più grande autore mai prodotto in America Latina...». In occasione del centenario della sua morte, nell’agosto del 2008, all’Avana si è tenuto un Congresso Internazionale dedicato all’universalità di M. de Assis e alla sua opera, che vola al di là di qualsiasi scuola o tendenza artistica, indipendentemente dal tempo, dal posto, dalla politica e dalla religione.

Di Silvia Iannello


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