Recensioni libri

John Steinbeck, il cantore di un’America rurale che non esiste più

Pubblicato il 17-12-2008


John Steinbeck è un grande autore americano oggi quasi completamente dimenticato ma che negli anni cinquanta era famosissimo (tutti conoscevano i libri di questo ingenuo sognatore fantasioso, caldo come il sole della California nella quale era nato).
Steinbeck nacque a Salinas il 27 gennaio del 1902 e morì a New York per infarto il 20 dicembre di quaranta anni addietro (nel 1968). Figlio di genitori tedeschi, si diplomò e s’iscrisse in Biologia all’Università di Stanford ma non si laureò mai, preferendo fare piuttosto dei lavori molto modesti (fu pescatore, mandriano, sguattero, strillone, autista e custode invernale di ville destinate al soggiorno estivo). Vivendo accanto agli umili, agli emarginati, ai ribelli e agli “irregolari” della regione del Monterey, seppe dare ai suoi romanzi simbolico-naturalistici dai temi proletari il giusto sapore dell’autenticità. Steinbeck stesso, parlando di sé, usava l’espressione di «anarchismo naturale». In effetti, molti autori americani di quella generazione si adeguarono al noto imperativo del nostro Ennio Flaiano: «Mi spezzo ma non m’impiego».
Negli anni trenta, giovanissimo, scrisse le sue cose migliori: “I pascoli del cielo”, “Al Dio sconosciuto”, “Pian della Tortilla”, “Uomini e topi”, “Furore” che vinse il premio Pulitzer nel 1940 - romanzo epico dedicato alle difficoltà di un gruppo di agricoltori emigrati in California durante il periodo della Grande Depressione e sfruttati da una spietata economia agricola - , e “La luna è tramontata”. Molti di questi libri diventarono intensi drammi o film bellissimi, contribuendo a dare una popolarità smisurata al suo autore. Steinbeck andò poi in Messico per occuparsi di biologia marina, quindi fu corrispondente di guerra durante il secondo conflitto mondiale e infine sceneggiatore cinematografico a Hollywood.
Con la maturità e la vecchiaia, la sua critica sociale perse un po’ di smalto e i suoi toni divennero più sentimentali; i suoi libri furono allora meno riusciti ed ebbero minor successo ma di questo periodo sono da salvare “La valle dell’Eden” (1952) e “Viaggio con Charley: in cerca dell’America”, pubblicato nel 1962 (anno nel quale Steinbeck vinse il premio Nobel per la letteratura). Questo ultimo libro autobiografico narra di un viaggio lunghissimo (per ventimila chilometri e per trentaquattro Stati) che lo scrittore fece per “riscoprire” l’America all’età di cinquantotto anni, quando la sua stella letteraria era in declino e la sua salute precaria (scrisse: «Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone»). In questa lunga esperienza, John fu accompagnato soltanto dal suo tenero cane barbone Charley, confidente affettuoso del suo padrone nelle lunghe ore di solitudine e compagno silenzioso ma scodinzolante. Durante il viaggio, l’affettuoso cane si ammalò ma curato alla perfezione da un giovane veterinario texano guarì, ritornando con John («Gli anni gli sembravano dimezzati e si sentiva meravigliosamente, e per dimostrarmelo correva e saltava e si rotolava e rideva e faceva versi di gioia pura»). Nel libro, in modo superbo lo scrittore racconta anche gli inizi della malattia che lo porterà alla morte (dai quali però non si era lasciato abbattere): «…uno di quegli acciacchi dal nome ben preciso, che sono i bisbigli della vecchiaia incipiente... Era già successo a tanti amici miei. ... E io ne avevo visti tanti, cominciare a riporre la propria vita nella bambagia, a smussare gli impulsi, a trattenere le passioni, e ritirarsi a poco a poco dalla propria umanità in una specie di seminvalidità spirituale e fisica. In questo li incoraggiano mogli e parenti, ed è una trappola così dolce. A chi non piace essere il centro della premura? Una specie di seconda infanzia cala addosso a tanti uomini.».

Di Silvia Iannello


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