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Elia Kazan, indimenticabile grandissimo regista

Pubblicato il 09-09-2009


Il 7 settembre di cento anni addietro, nel 1909 nasceva a Istanbul Elia Kazanjoglou, regista e produttore cinematografico statunitense, più volte Premio Oscar per la regia (morì a New York il 28 settembre del 2003). Di origini greche, a quattro mesi dalla nascita si trasferì in USA con la famiglia, divenendo uno dei tanti umili immigrati che hanno fatto grande l’America e che hanno onorato il panorama della cinematografia mondiale: innumerevoli e splendidi sono i suoi film girati tra gli anni cinquanta e sessanta, rimasti nella memoria collettiva. A proposito del suo talento ad ottenere il meglio dai suoi attori, scrisse: «La macchina da presa è più di un registratore, è un microscopio, penetra, entra dentro le persone e consente di vedere i loro pensieri più intimi e nascosti, e sono riuscito a farlo con gli attori. Voglio dire, ho rivelato cose che gli attori non sapevano stessero rilevando di loro stessi.».
I suoi interessi iniziali furono la letteratura e il teatro: diresse tutte le commedie di Arthur Miller e Tennessee Williams, dei quali aveva intuito grandezza e immortalità. Dalla fine degli anni trenta si era dedicato al cinema, ed ebbe il merito d’imporre all’attenzione del pubblico e della critica la sua icona cinematografica, Marlon Brando, il protagonista dei suoi due grandi film “Un tram che si chiama Desiderio” (1951), dalla commedia di Williams, e “Fronte del porto” (1954) che vinse il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia e che si aggiudicò ben otto premi Oscar. Come dimenticare anche “Un albero cresce a Brooklyn” (1945) ispirato dal bel romanzo di Betty Smith, “Mare d’erba” (1947), “Viva Zapata!” (1952), “La valle dell’Eden” (1954) tratto dal capolavoro di John Steinbeck, “Il ribelle dell'Anatolia” (1963), “Il compromesso” (1969), “I visitatori” (1972) e “Gli ultimi fuochi” (1976).
Uno tra i grandi film di Elia Kazan è “Splendore nell’erba” (1961), il cui copione è stato scritto da William Inge, drammaturgo statunitense che per questo film fu premiato con l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale (nel 1953 aveva già vinto il Premio Pulitzer per l’opera teatrale “Picnic”). Questo film, tra l’altro, ci ha fatto conoscere il grande poeta inglese William Wordsworth (1770-1850), segnato dalla povertà e dalle sventure domestiche; una strofa della sua “Ode: Intuizioni di immortalità nei ricordi dell’infanzia (Intimation of Immortality from Recollections of Early Childhood) (1807) è recitata nel film e si è come scolpita nei nostri cuori: «Se niente può far sì che si rinnovi / all’erba il suo splendore o che riviva il fiore, / della sorte funesta non ci dorremo allora / ma, ancor più saldi in petto, godrem di quel che resta» (questa poesia esprime con sofferta malinconia la nostalgia degli ideali, di ciò che non può essere più, insieme alla necessità di accogliere nella vita reale anche soltanto quel che resta dei sogni).
Kazan era un convinto sostenitore del metodo Stanislavskij (il metodo del regista russo Konstantin Stanislavskij, conosciuto negli USA per il suo “Il lavoro dell’attore su se stesso” del 1938), che insisteva sul lavoro preparatorio che l’attore deve affrontare per dare verità interiore al suo personaggio, utilizzando il proprio vissuto, la propria «memoria emotiva». Per questo, a New York nel 1947, fondò l’“Actors’ Studio” insieme a Robert Lewis e Cheryl Crawford; a loro si unì poi Lee Strasberg che nel 1951 ne divenne l’infaticabile direttore. Questa prestigiosa scuola d’arte drammatica (ancora esistente) ha consacrato tutti i migliori attori dello star system americano, forgiati sulle esperienze del “Group Theatre”, una compagnia degli anni trenta che aveva esportato in USA molte innovative soluzioni del teatro europeo.
Un unico neo della biografia di Elia Kazan fu l’abbaglio preso nel 1952, collaborando con la commissione per le attività antiamericane di McCarthy e prendendo posizione contro registi e attori di sinistra (fu attivo nel compilare quelle famigerate liste di proscrizione che costrinsero molti artisti e produttori a presentarsi dinanzi al Comitato e a subire l’emarginazione o addirittura l’esilio). A causa di questi comportamenti, per anni, Kazan fu costretto a subire il duro ostracismo della critica di sinistra.

Di Silvia Iannello


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