Alessandro Galante Garrone, padre-fondatore della Repubblica e non solo
Pubblicato il 02-10-2009
Cento anni addietro, il 1 Ottobre del 1909, nasceva a Vercelli Alessandro Galante Garrone, tra i padri fondatori della Repubblica, fervente antifascista, magistrato e giurista ma anche lucido storico e fine scrittore. In un’intervista-confessione rilasciata a MicroMega nel 2000, scrisse: «La mia famiglia era cattolica, metà contadini e metà insegnanti. Religiosa, ma di una religiosità molto seria, austera, rigorosa, ottocentesca. Un cattolicesimo liberale e risorgimentale, con venature gianseniste e manzoniane, senza concessioni all’esteriorità formalista, alla devozione bigotta, al clericalismo, alle forzature psicologiche.».
Frequentò gli studi di Giurisprudenza a Torino (ove si laureò nel 1931) e fu allievo del professor Francesco Ruffini (figura di anti-fascista presto dimenticata nell’Italia del dopo-Liberazione, il cui ricordo Sandro cercò di mantenere sempre vivo), molto attivo nelle manifestazioni studentesche contro il fascismo. Entrò in magistratura nel 1933 (chiese il pensionamento nel 1963 per dedicarsi ai suoi studi e all’insegnamento universitario presso l’Università di Torino), fece parte del movimento “Giustizia e Libertà”, e fu tra i fondatori del Partito d’Azione a Torino nel 1942 divenendo un emblema dell’antifascismo. Figura carismatica di partigiano nella Valle di Lanzo e rappresentante del Partito d’Azione nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) del Piemonte, dopo la liberazione di Torino fece parte della Giunta Regionale di Governo e della Giunta Consultiva. Nel 1993 sentì impellente la necessità di fondare il “Movimento d’Azione Giustizia e Libertà” che si richiamava nostalgicamente a “Giustizia e Libertà” e al “Partito d’Azione”.
Intanto Galante Garrone pubblicava su quotidiani e riviste - soprattutto su “La Stampa” di Torino - guidato dalle sue idee di “democrazia radicale” («una passione di libertà sempre illuminata dalla ragione»), e scriveva anche voluminosi e acuti libri di storia sempre ricchi di “pietas” ed empatia. Studiò con passione i rivoluzionari dell’Ottocento, mantenne rapporti con i più importanti storici della Rivoluzione Francese, e si occupò dei radicali italiani e dei suoi maestri di pensiero e libertà (le sue «stelle polari» Calamandrei, Einaudi, Salvemini e Zanotti-Bianco). Nel 1996, pieno d’indignazione, pubblicò “L’Italia corrotta, 1895-1996. Cento anni di malcostume politico”. Estremamente sensibile al tema dei diritti civili, aveva pubblicato divulgativi manuali di educazione civica per le scuole.
Si definiva un «mite giacobino» - in realtà si considerava più girondino che giacobino (scrisse: «io non apparterrei alla razza dei giacobini che tagliavano le teste, ma piuttosto a quella di coloro a cui la testa veniva tagliata») - e questo fu il titolo della conversazione su libertà e democrazia raccolta nel 1994 da Paolo Borgna, che nel 2006 ha pubblicato “Un Paese migliore. Vita di Alessandro Galante Garrone” (libro iniziato dopo la sua morte, utilizzando documenti inediti provenienti dall’archivio di famiglia); in questa biografia Borgna teorizza una sorta di “gramsci-azionismo” di Galante Garrone, individua la sua inclinazione a farsi “tutore dei vinti e dei deboli” e ne evidenzia la “morale laica” - senza preclusioni però per il sentimento religioso - raccontando come egli fosse solito sostenere: «La vita c’è stata data per servire, per mostrarci solidali con l’umanità intera battendoci, pur nel nostro piccolo, per gli ideali eterni di giustizia, di libertà, di pace, di progresso». Vi narra anche con ampiezza di particolari la storia d’amore di Sandro per Maria Teresa (Mitì) Peretti Griva.
Galante Garrone morì a Torino il 30 ottobre 2003 a 94 anni (si racconta che prima di morire sussurrasse le canzoni della Resistenza e della sua giovinezza); lo stesso giorno Marco Travaglio, per ricordarlo, ha scritto su “La Repubblica” un lungo articolo dal titolo “Quel mite girondino che non mollava mai”, che così si concludeva: «Era molto mite e poco giacobino. Arturo Carlo Jemolo, cattolico liberale, glielo diceva sempre: “Vedi, Sandro, tu sei uno che non crede al paradiso. Ma poi fai di tutto per conquistarlo”.». In una sua aspra lettera aperta diretta agli “interpreti del laicismo patriottico”, Maurizio Blondet lo ha definito la «quercia della storiografia torinese». Altri lo hanno tacciato di essere feroce «giustizialismo»: egli ha sempre difeso sino all’ultimo i giudici di Torino, Milano e Palermo, attaccati dalla politica perché facevano il proprio dovere.
Galante Garrone, insieme al filosofo suo coetaneo Norberto Bobbio, è stato un intellettuale liberal-socialista di riferimento, un Grande Vecchio della cultura laico-democratica. Con il suo costante e coerente impegno civile, con le sue attività etiche, con le sue idee e i suoi libri o articoli, ha per quasi cinquant’anni mirato a creare un’Italia migliore, dimostrando quanto alta e nobile -contrariamente a quanto si creda - possa essere l’attività della politica: non certo la politica dei partiti o della partitocrazia ma quella che egli chiamava «la politica dei non politici».
Di Silvia Iannello
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