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Amelia Rosselli e la sua poetica senza regole

Pubblicato il 15-03-2010


Amelia Rosselli si riteneva un «poeta della ricerca» che - quando non ha nulla di assolutamente nuovo da dire - non scrive; la sua poesia è in effetti il riflesso di una vita psichica ferita. Dalla sua opera, ricca di immaginazione pittorica e delirante, traspaiono un terribile senso di sofferenza e un profondo mal di vivere (scriveva di «cuore che tanto digiuna... acque limacciose del disinganno... vasi di tenerezze mal esaudite... incontrollabile angoscia... solitudine... silenzio... morte... mondo popolato da elefanti ottusi... avventura verso il terreno nero.... vita scritta su carta, là ove scorre il mio seme folle alla morte... desiderio di vincere la battaglia contro il male, la tristezza, le fandonie, 1'incoscienza, la pluralità dei mali... angoscia e sensazione di rifiuto nei confronti della borghesia... realtà così pesante che la mano si stanca, e nessuna forma la può contenere»). In "Antologia poetica" (1987) scriveva: «La lingua in cui scrivo volta a volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica associativa è certamente quella di molti popoli e riflettibile in molte lingue». Amò i neologismi, la lingua come un abbandonarsi a un flusso musicale, la scrittura plurale originata dall'unione di più lingue, la parola oscura e non codificata, la scrittura personale ed esclusiva. Il critico Pier Vittorio Mengaldo - che inserì Amelia come unico poeta donna nella sua "Antologia personale" (1995) - definì quella sua poesia così piena di echi soffocati e di urla represse come «un organismo biologico, le cui le cellule proliferano incontrollatamente in un’attività riproduttiva che come nella crescita tumorale diviene patogena e mortale... una scrittura-parlato intensamente informale in cui per la prima volta si realizza quella spinta alla riduzione assoluta della lingua della poesia a lingua del privato». Ha scritto Olivia Trioschi: «La sua poesia, "suggestiva e potente", si ritaglia un posto assolutamente unico nel panorama letterario italiano; quest'isolamento è acuito dall'atteggiamento di estraneità sempre tenuto dall'autrice nei confronti del mondo intellettuale, il che ha fatto sì che i suoi lavori abbiano ottenuto solo in minima parte i riconoscimenti che a parere di diversi critici meriterebbero.». In un suo articolo su "Radio Rai Lo Scrigno" ha riportato Emilia Morelli: «Amelia Rosselli è una delle voci poetiche più importanti del '900, non ancora riconosciuta nella misura in cui il suo talento invece imporrebbe. La sua poesia si colloca sulla scia di poeti come Campana, Montale, Rimbaud... Una voce di ampio respiro, che supera i limiti, talvolta angusti, della nostra poesia nazionale... Il forte istinto alla sopravvivenza e la risorsa vitale dell'ironia saranno tra le forze volte a contrastare la pulsione di morte sempre sottesa alla sua parola poetica. Ciò che ne risulta è un linguaggio poetico che si dà un ordine e lo distrugge nel medesimo istante... introducendo come soggetto la donna, quale voce poetica non tradizionale... Nella poesia, prevalentemente d'amore, si brucia l'attimo di entusiasmo e 1'istinto di morte, in un'oscillazione continua tra ansia di felicità e male di vivere... Amelia Rosselli è vissuta a Roma combattendo un'estenuante battaglia contro i fantasmi generati senza tregua dalla sua mente, fino al suicidio avvenuto nel 1996, a causa dell'aggravarsi dei suoi disturbi psichici..». Edoardo Esposito ha parlato di «ardente sregolatezza... straniata leggerezza... vena affettuosa e fantastica... grumi di dolore e di passione». Nell'introduzione alla "Antologia poetica" (edita da Garzanti nel 1987) Giovanni Giudici ha parlato invece di «ansia di significazione... straordinaria tensione erotico-religiosa... dissidio tra "il cosa-vuol-dire" e il "dire-in-sé"» della sua poesia. Nel suo testo "La poesia: tecniche di ascolto", Niva Lorenzini ha evidenziato: «una via solitaria verso la sregolatezza, nel rifiuto della linearità, della logica che domina le cause e gli effetti». Nel suo articolo "Per Amelia Rosselli", Alberto Bertoni ha parlato di «un forte coinvolgimento tra il corpo, la figura esistenziale dell'autore e le sue tecniche compositive... che reca il più delle volte una marca tragica... nell'imperfezione sussurrata e lacerante del dire italiano di Amelia Rosselli, sullo sfondo dell'estraneità roca ma penetrantissima della voce indotta a pronunciare i proprî versi sulla scena: e sovviene la memoria d'una serata parmigiana di neve mai più così fitta, nel febbraio del 1986, quando ascoltai una sua performance con rapimento e con dolore, nel contesto del festival "Di versi in versi", accanto ad altri protagonisti della nostra avanguardia (Adriano Spatola, Patrizia Vicinelli, Corrado Costa), e colsi lo strazio lacerato di quei corpi consacrati alla scrittura, ma insieme sorpresi nell'atto di restituire alla scrittura l'oralità originaria di una parola di nuovo "intera", caricata del peso di un'esperienza di irredimibile scissione, di separazione da qualsivoglia forma possibile di ordine esistenziale.».

Di Silvia Iannello


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