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Jean Anouilh e i suoi integri eroi pieni d'ideali

Pubblicato il 23-06-2010


Cadono i cento anni dalla morte del grande drammaturgo francese di origini basche Jean Anouilh (fu anche regista moderno e sceneggiatore di noti film), nato a Bordeaux il 23 giugno da un sarto e da una violinista (la madre d'estate suonava in una orchestra che si esibiva nel Casino di Arcachon e così il piccolo Jean cominciò a frequentare la vita di palcoscenico). Fece studi incompleti e, dopo aver lavorato presso un'agenzia pubblicitaria (ove divenne amico di Jacques Prévert), iniziò a occuparsi di teatro a tempo pieno. Il suo esordio non fu molto felice e gravi preoccupazioni economiche lo afflissero per anni perché appena ventunenne aveva sposato l'attrice Monelle Valentin e aveva avuto una bambina; comunque gli arrise ben presto il successo con "Il viaggiatore senza bagaglio" (1937), in cui si affacciano i temi e i personaggi tanto amati (uomini e donne afflitti da una sordida realtà e da una disperata mediocrità, che tentano di mutare la loro condizione umana in un vagheggiamento di purezza e di assoluto, in un anelito d'idealità che impedisce qualsiasi compromesso e qualsiasi speranza di felicità, in una rivolta splendida ma inutile): il protagonista Gaston è un veterano della I guerra mondiale che soffre di amnesia; quando scopre di essere stato un uomo indegno, egli che sente di aver recuperato una nuova purezza (quella dell'infanzia) rifiuta quel che è stato, mutando per sempre la sua personalità. L'opera conobbe centinaia di repliche e fu seguita da altri importanti successi ("La selvaggia", "Il ballo dei ladri" e "Léocadia"). Sparirono tutti i guai di denaro e iniziò una carriera che lo portò a divenire uno dei drammaturghi più importanti in Europa e negli USA. Durante la guerra e dopo l'occupazione nazista, Anouilh assunse una posizione piuttosto tollerante nei confronti dell'invasore e ciò gli fu poi rimproverato aspramente (disse però al tempo delle epurazioni: «Non ho mai, neanche da lontano, simpatizzato con i nazisti e con i loro tristi complici, ma confesso di avere compassione per i vinti e di provare timore per gli eccessi dell'epurazione»; aveva scritto anche: «Non si può piangere per tutti, è al di sopra delle forze umane. Bisogna scegliere.»). Si dedicò poi a trame mutuate in chiave moderna dai grandi miti greci: "Eurydice" (1941), "Antigone" (1942) - il suo grande capolavoro sull'amore contrapposto alle leggi, sull'individuo dominato dai sentimenti contrapposto allo Stato dominato dalle logiche dell'obbedienza alla legge: eroina, una giovanissima donna ribelle che si pone contro l'autoritarismo del re Creonte e contro le sue ingiuste imposizioni, pagando con la vita la libertà di non obbedire alla legge scritta dagli uomini ma a quelle più profonda della coscienza (fu tradotto con grande successo in Italia nel 1949 da Adolfo Franci per Bompiani) - , e "Médée" del 1946 (a un'amara Medea che ha già scelto la tragedia fa dire: «La felicità. È in giro, nell'aria... Odio le loro feste. Odio la loro gioia.»).
Inasprito dalle critiche post-liberazione, Anouilh divenne un misantropo e i suoi testi assunsero toni di grande sarcasmo e duro pessimismo (aveva scritto: «Grazie a Molière, il teatro francese è il solo a non essere malinconico, in cui noi ridiamo come uomini in guerra con la nostra miseria e il nostro orrore. Questo "umore" è uno dei messaggi della Francia al mondo.»). In questo periodo, dopo aver divorziato dalla prima moglie, sposò nel 1953 un'altra attrice, Nicole Lançon, dalla quale ebbe tre figli.
Seguirono molti altri testi di successo: del 1959 è da ricordare il grande "Becket ou l'honneur de Dieu" (ove lasciava trasparire quasi un amore omosessuale tra Beckett e il suo re, che si struggono per la fine della loro amicizia), che vinse numerosi premi e che ispirò il film di Glenville con Peter O'Toole e Richard Burton. Contemporaneamente, lavorò per il cinema come sceneggiatore e per il teatro come regista e traduttore-adattore di grandi testi classici. Intanto il suo teatro, sempre gradito al pubblico e alla critica, assumeva i connotati della moderna commedia di carattere: appartiene a questo periodo "La Culotte" (1978), che affronta con ironia il tema della liberazione della donna.
Anouilh morì a Losanna il 3 ottobre del 1987 all'età di 77 anni, lasciandoci un grande patrimonio drammaturgico che, superato il Naturalismo e il Realismo, entrava a far parte di quella corrente detta "Teatricalismo" che nella rappresentazione teatrale vagheggiava il ritorno della poesia e dell'immaginario collettivo (inteso in senso letterale come repertorio delle rappresentazioni simboliche, delle fantasie e dei miti di una collettività).

Di Silvia Iannello


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