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Salvatore Quasimodo

Discorso al banchetto del Nobel del 1959

Ho sempre pensato al regno di Svezia come a una patria adottiva degli uomini che ricevono il Premio Nobel, cioé un riconoscimento único e revente nella civiltá contemporánea. Nessun'altra nazione, infatti, é riuscita a proporre o a concretare un premio che fosse un paradigma della universalitá e avesse in sé una carica spirituale e attiva come questo, sorto in un Paese di pochi milioni di uomini.

II Nobel é un premio difficile e scatena le passioni degli uomini di ogni aggregato politico in tutte le nazioni: segno della sua inevitabile presenza e di quel vórtice che lo scrittore o il poeta o il filosofo trova aperto davanti a sé. La cultura, pero, ha sempre frantumato i tentativi ricorrenti della barbarie, anche quando questa era pesante di armi e ribolliva di confuse ideologie. Qui intorno a me sonó i rappresentanti di una delle piú antiche civiltá del Nord, che con la sua dura storia si é trovata a lottare accanto a coloro che hanno deciso la misura delle possibili liberta deiruomo, civiltá che ha dato re e regine umanisti, grandi poeti e scrittori. Questi poeti d'un tempo trascorso e i contemporanei sonó ora conosciuti in Italia, anche se per zone rapide del loro sentimento e delle loro inquiete problematiche. Da una allego rica presenza, in virtú delle memorie favolose dei Vichinghi, questi nomi difficili e musicali da pronunciare, sonó entrati nel nostro luogo spirituale; ci dicono parole piú ferme di quelle di altre civiltá in decadenza o giá nella polvere d'una retorica rinascimentale. II mió non é un elogio o delicata compiacenza, ma una critica al costume intellettuale dell'Europa, se affermo che la Svezia e il suo popólo, con la sua puntúale scelta sonó stati e continuano a provocare e a modificare la cultura del mondo.

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