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Recensione Marta Boneschi

Marta Boneschi

Santa pazienza

le prime pagine
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PROLOGO
"SERVA E REGINA"


Soffrire in silenzio: era tutto così semplice quando le donne accettavano questa regola. Tra il '40 e il '45, però, la seconda guerra mondiale spinge in prima linea anche le donne, proprio come gli uomini, e lascia tra le sue rovine l'aurea certezza di quel principio. Uscite da una simile esperienza, le donne diventano sempre meno pazienti. Che peccato! Pochi se ne accorgono subito, molti ne prenderanno atto dopo, a cose fatte. Ne saranno sgomenti. Tra chi se ne rammarica, negli anni Sessanta, c'è Pier Paolo Pasolini, il quale guarda al passato con nostalgia e scrive: "È vero che per secoli la donna è stata tenuta esclusa dalla vita civile, dalle professioni, dalla politica. Ma al tempo stesso ha goduto tutti i privilegi che l'amore dell'uomo le dava: ha vissuto l'esperienza straordinaria di essere serva e regina, schiava e angelo. La schiavitù non è una situazione peggiore della libertà: può anzi essere meravigliosa".
Può esserlo davvero? Occorrerebbe domandarlo alle donne che hanno vissuto alla vecchia maniera, a capo chino, chiuse in una muta sopportazione. Una casalinga di Palermo, nata nel 1910, traccerà così il bilancio della sua onesta carriera di schiava: "Non ho avuto l'affetto di nessuno. Ho passato anni a servire mia suocera e come ricompensa ho sempre avuto legnate e insulti da mio marito e da quella carogna di sua madre".
Di una moglie paziente, per esempio, il marito pronuncia questo gentile epitaffio: "Lei ha accettato tutto senza la minima lamentela... Non solo, si preoccupava sempre di non rendersi di peso, che io non dovessi diminuire l'attività. Taciturna, magari la vedevi un po' di cattivo umore". Questo Angelo è Lucia Rosso, figlia di contadini dell'astigiano, operaia tessile dall'infanzia, poi sindacalista, che in esilio a Lione sposa Battista Santhià, operaio, esponente della vecchia guardia torinese del PCI, in carcere e al confino sotto il fascismo. Rientrata in Italia, arrestata nel '31, condannata a sei anni e dieci mesi, Lucia non si abbatte. Non denuncia i compagni, non abiura: "Mi prendo la responsabilità di tutto quel che ho fatto" dichiara davanti al Tribunale speciale. Va in carcere a Turi, è rilasciata dopo tre anni. Partecipa alla guerra partigiana e con l'avvento della pace torna a svolgere attività sindacale tra gli operai tessili. Malata di artrosi, lascia ogni attività nel '49, e muore nel '64, come Togliatti, ma senza clamore. È una regina questa? Piuttosto è una serva, come lo erano prima della guerra le donne della famiglia di Luigi Longo, piccoli proprietari terrieri del Piemonte, dove solo i maschi godono del diritto di sedere a tavola mentre le femmine stanno in piedi: apparecchiano, servono e sparecchiano. È la norma, del resto, in tutte le case contadine.
La guerra seppellisce tra le macerie anche l'antica figura femminile. È inevitabile, ed era già accaduto dopo il primo conflitto mondiale: le donne - richiamate nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali, costrette a fungere da capofamiglia - pretendono di essere persone. Fin dal 10 giugno 1940 si chiede loro di sostituire i mariti, i padri, i fidanzati al fronte; cinque giorni prima della dichiarazione di guerra, molto opportunamente, il governo del duce emana un decreto che permette l'assunzione di personale femminile nella pubblica amministrazione. Proviene anche dalle donne fasciste l'aspirazione a dare una mano alla gloria nazionale. Lo si è visto già nel '35, quando in milioni hanno regalato l'oro alla patria perché il duce costruisse il suo impero di cartapesta con la guerra d'Etiopia. E fin dal '36 parte dall'élite intellettuale un appello al Duce: Maria Castellani, animatrice dell'Associazione nazionale fascista artiste e letterate, caldeggia l'ingresso femminile nelle professioni, nelle fabbriche e negli uffici, allo scopo di lasciare gli uomini liberi e pronti alla mobilitazione. Nel '40, poi, tante mogli, figlie e fidanzate si trovano in prima fila, piene di speranze verso l'esito del conflitto. Cuciono, ricamano e scrivono poesie ispirate alla vittoria dei loro cari in partenza.
Perplesse, impaurite o infiammate di amor patrio, nell'emergenza tornano dunque utili anche le donne, creature di poco conto e fino a quel momento impedite a partecipare alla vita civile. Così, trovatesi nel bel mezzo del conflitto, cominciano a uscire di casa da sole, tengono i conti, educano i figli, trattano l'acquisto di cibo alla borsa nera, vendono l'argenteria di famiglia per comprare farina, nascondono i renitenti alla leva della Repubblica sociale o i prigionieri alleati in fuga.


© 1998, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

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