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Recensione Uzma A. Khan

Uzma A. Khan

Trasgressione

le prime pagine
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Prologo
Morte

I pescherecci attraccano prima dell'alba, mentre la tartaruga scava il suo nido. Con un occhio guarda verso il mare, con l'altro verso le numerose capanne sparse lungo la riva. La più vicina dista meno di cento metri. Prepara la tana con foga, sollevando una pioggia di sabbia rivelatrice, e ripensa a quanto si stesse più al sicuro, quando la costa apparteneva ai pescatori. Ora le imbarcazioni si affollano come gigantesche falene, e anche se è curiosa di conoscerne il bottino, è a causa dei visitatori venuti dalla città, nascosti nelle loro capanne, che la fronte le si è raggrinzita precocemente.
È pronta. Il primo uovo scivola mollemente nel buco che ha sotto il ventre, seguito dagli altri, in una sequenza inarrestabile. Le reti da pesca, punteggiate di minuscoli pesciolini, scintillano nella luce lunare. Quanto ci vorrà prima che la tartaruga s'immerga di nuovo nell'acqua?
Un ragazzo di nemmeno quindici anni si accende una K2 e si appoggia con la schiena alla rientranza di una duna. Lunghi riccioli gli scivolano sulle spalle e ondeggiano al vento. Tra un tiro e l'altro bacia l'estremità della sigaretta, tanto è contento. La tartaruga lo osserva guardarla proprio nel momento in cui è più indifesa. Ma lo conosce; tutte le tartarughe lo conoscono.
Le sue uova sono lisce e ovali, come le spalle nude di una donna. Il ragazzo si accarezza la guancia, ma in realtà vorrebbe accarezzare le uova, vorrebbe accarezzare le spalle.
I suoi riccioli fluttuano e l'umore si rabbuia all'improvviso, al pensiero del padre e degli zii, che stasera non sono usciti in mare. Dicono che i pescatori a strascico venuti da fuori gliel'hanno rubato, il mare. Che compiono ogni sorta di scorrettezze. Il pesce, un tempo abbondante vicino alla costa, adesso sta scomparendo persino in alto mare. E le barche dei pescatori non possono spingersi tanto al largo, nemmeno per catturare il pesce che è rimasto. Ci ha provato uno zio. Ma è stato lui, a essere mangiato. La sua famiglia piange la morte per annegamento di quell'uomo coraggioso, e la decisione di suo padre di rompere con la tradizione. Si trasferiranno in città. Il primo ad andare sarà il ragazzo. Ma lui ha paura, la stessa paura che prova la tartaruga verso gli uomini nelle capanne.
Aspira la sigaretta e osserva curioso la tartaruga. Lei ricambia il suo sguardo con la stessa saggezza consolante e segnata di rughe di sua nonna. Il ragazzo chiude gli occhi e scivola in un sonno lieve.
Poi si sveglia di soprassalto: delle voci. Getta un rapido sguardo al rettile e vede che sta ancora deponendo le uova. Ma l'alba reca con sé un presagio. Sulla duna accanto a lui l'ombra di un uomo si allunga e si avvicina lentamente. Il ragazzo s'acquatta. Getta un'occhiata furtiva verso le capanne e vede una donna con le gambe nude, che attende. L'intruso si avvicina, inciampa e scorreggia. Di certo non sarà troppo delicato nemmeno nel derubare la tartaruga. Il ragazzo fuma di rabbia, incerto sul da farsi. Poi si decide. Se l'uomo si azzarderà a prendere anche solo un uovo, lui prenderà la donna.
Un braccio peloso si piega verso il nido e aspetta, mentre grosse dita sembrano quasi grattare l'orifizio del rettile in attesa del dono. Il ragazzo scatta. La donna urla. Qualcuno emerge dalle capanne. L'intruso retrocede. L'uovo cade al sicuro sulla sabbia, una frazione di secondo dopo che lui se n'è andato.
Col primo calcio gli slogano un ginocchio. I capelli lunghi sono una trappola, pensa il ragazzo, mentre li usano per trascinarlo oltre la fila di pietre che circonda il portico della capanna. Se sopravvivo non li farò mai più crescere oltre il mento. In bocca sente del sale. Sale e ghiaia. Sangue e denti. Sviene. Ma anziché i loro colpi sente il rumore dei gusci che si spaccano. Pum! Crac! Gli uomini lo colpiscono con le uova. Un gemito emerge dai lombi per risalire fino a una cavità vuota sorto il petto e su, con uno spasimo, fino a uscire dal naso, dalle orecchie, dalla bocca. Vomita albume bianco, tuono coagulato, placenta sanguinolenta e qualcosa di verdastro. Fegato?
Pur accecato dal dolore, è il solo a vedere il guscio rotondo della madre che, barcollando, se ne torna silenziosamente a casa.

© 2003 Neri Pozza Edizioni

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