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Recensione Sándor Márai

Sándor Márai

La recita di Bolzano

le prime pagine
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Un gentiluomo di Venezia


Si accomiatò dai gondolieri a Mestre. Balbi, quel monaco depravato, per poco non era riuscito anche stavolta a farlo cadere in mano agli sbirri: lo aveva cercato invano mentre la diligenza stava per partire e alla fine lo aveva rintracciato in un caffè dove, sorbendo allegramente una tazza di cioccolata, faceva il cascamorto con la cameriera. A Treviso si trovò a corto di quattrini; si dileguarono insieme attraverso i campi passando per Porta San Tommaso, avanzarono furtivi tra gli orti, al limitare dei boschi, e verso il tramonto raggiunsero le prime case di Valdobbiadene. Qui egli tirò fuori il pugnale, minacciò il fastidioso compagno di strada, quindi i due si diedero appuntamento a Bolzano e si separarono. Padre Balbi si avviò di malavoglia, con passo strascicato, fra i tronchi nudi degli ulivi; era magro e trasandato e si allontanò camminando di traverso, con lo sguardo losco e corrucciato, lanciandosi ogni tanto un'occhiata alle spalle, come un cane rognoso scacciato dal padrone.
Quando il monaco si fu finalmente tolto dai piedi egli entrò nel paese e, lasciandosi guidare ciecamente dall'istinto, chiese alloggio nella casa del capitano delle guardie. Fu accolto da una donna mansueta, la moglie del capitano, che provvide a servirgli la cena e a lavargli le ferite - aveva le ginocchia e le caviglie sporche di sangue rappreso, si era sbucciato i gomiti e le gambe saltando giù dai tetti di piombo durante la fuga -, e prima di coricarsi venne a sapere che il capitano era partito per cercare proprio lui, il fuggiasco. Tagliò la corda all'alba. Trascorse la notte seguente a Pergine e il terzo giorno - ormai in carrozza, perché strada facendo aveva estorto sei monete d'oro a un conoscente - arrivò a Bolzano.
Balbi lo stava già aspettando. Lui si fece aprire delle camere alla Locanda del Cervo. Non aveva bagaglio e si presentò vestito come un pezzente, con la sua bella marsina di seta variopinta tutta sbrindellata e senza soprabito. Nelle viuzze di Bolzano soffiava già il vento di novembre. Il locandiere squadrò perplesso gli ospiti cenciosi.
"Le camere più belle?" chiese con imbarazzo.
"Le camere più belle!" rispose l'altro a bassa voce, con severità. "E controlla la cucina. Qui da voi, invece dell'olio, per cucinare si usano grassi rancidi della peggior specie, e da quando ho lasciato il territorio della Repubblica non ho ancora mangiato un boccone decente. Per stasera fa' arrostire cappone e pollo, non uno ma tre, farciti di castagne. E procurati del vino di Cipro. Guardi i miei abiti?... Cerchi il mio bagaglio? Ti meravigli che ci siamo presentati a mani vuote? Da queste parti non arrivano i giornali? Non leggi la "Gazzetta di Leida"?... Somaro!" esclamò con voce rauca, perché si era raffreddato durante il viaggio e i suoi bronchi erano afflitti da una tosse insistente. "Non hai sentito che un gentiluomo veneziano è stato rapinato alla frontiera con il suo segretario e i suoi servi? La polizia non ha ancora chiesto di me?".
"No, signore" disse spaventato il locandiere.
Balbi se la rideva di nascosto. Alla fine ottennero le stanze migliori: un salottino con due grandi finestre a doppio battente che davano sulla piazza centrale, i mobili dalle gambe dorate, uno specchio veneziano sopra il camino, e un'alcova con un letto francese a baldacchino. A Balbi fu assegnata una stanza in fondo al corridoio, vicino alla scala ripida e angusta che conduceva in soffitta, agli alloggi della servitù. Questa sistemazione lo lasciò estremamente soddisfatto.
"Il mio segretario!" esordì lui presentando Balbi al locandiere.
"La polizia..." disse quello in tono di scusa. "La polizia è severa anche dalle nostre parti. Arriveranno da un momento all'altro. Tengono d'occhio tutti i forestieri".
"Riferisci" ribatté l'altro con noncuranza "che è giunto un ospite altolocato. Un gentiluomo...".
"Sì...?" lo incalzò il locandiere, e si sprofondò in un inchino, il berretto a frange stretto tra le mani, con un'aria insieme curiosa e sottomessa.
"Un gentiluomo di Venezia!".
Lo disse come se stesse annunciando qualche titolo o carica di straordinaria importanza. Persino Balbi rimase stupito dall'enfasi con cui pronunciò quelle parole. Quindi vergò il suo nome sul registro con una grafia agile e appuntita. Il locandiere arrossì per l'emozione: si strofinò le tempie con le dita grassocce, chiedendosi se dovesse correre a chiamare le guardie o cadere in ginocchio e baciare le mani all'ospite. Nel dubbio, rimase in piedi in silenzio, completamente frastornato.
Quindi accese una lampada e li accompagnò entrambi al piano di sopra. Le cameriere stavano già riordinando le stanze: portarono grandi candelabri dorati, acqua calda in una brocca d'argento, salviette in tela di Limburgo. Il forestiero cominciò a svestirsi lentamente, come un sovrano circondato dai cortigiani: passò, uno alla volta, i suoi indumenti sporchi all'oste e alle cameriere; le brache di seta, macchiate di sangue rappreso, gli erano rimaste incollate alla pelle, tanto che si dovette tagliarle sui due lati con le forbici; rimase a lungo con i piedi a mollo in una bacinella d'argento, sprofondato in poltrona, tramortito dalla stanchezza, con i capelli arruffati e un'espressione tetra.


© 2000, Adelphi Edizioni


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