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Recensione Goffredo Parise

Goffredo Parise

L'odore del sangue

Ho guardato, anzi visto Silvia per la prima volta quando ho avuto la sensazione che mi tradisse. È questa una reazione diffusa, anzi banale, un po' meno banale quando ciò accade a un uomo di cinquantacinque anni come me per una donna di cinquanta come Silvia. È vero che Silvia è ancora quello che si dice una bella donna, "ben tenuta", e anche piena di fascino, è anche vero che si può essere gelosi a tutte le età come dimostrano le cronache ma nel mio caso non si trattò di gelosia, cioè di una passione antica come il mondo, bensì di curiosità, anch'essa una passione terribile ma di pochi e molto moderna. Sono un solitario, un saturnino, come dicono alcuni, e tendo alla fuga, a quella condizione di solitudine selvatica di certi animali. In particolare tendo a fuggire da lei nonostante la ami molto, anzi proprio perché la amo. Lei lo sa e per vent'anni di matrimonio mi ha sempre visto fuggire e anche tradirla: non con la rassegnazione tipica delle mogli sottomesse e sotto sotto interessate, ma, a sua volta, con la trepidazione delle donne innamorate e [così romantiche da] considerare la fuga della persona amata come una sorta di romantica irragiungibilità, di mistero, dunque di fascino.
Credo che lei non mi abbia quasi mai tradito o, se l'ha fatto, questo è accaduto al tempo stesso per eccesso di solitudine, per disperazione dovuta ai miei tradimenti, per affermare l'autonomia della propria persona sempre in totale dipendenza da me. Ad ogni modo nessuno di questi tradimenti di cui ho avuto sentore e anche aperta confessione, ha veramente turbato il nostro legame, anzi, sempre è servito a rinsaldarlo. Anche qui, siamo nel banale, infatti accade a un sacco di coppie.
Quando è nata in me la gelosia, anzi la curiosità, per un suo supposto tradimento? Non lo posso dire con precisione ma solo per approssimazione. Non ci fu un fatto preciso ed esterno (ci furono, ma la loro importanza era marginale e per così dire di dettaglio) bensì uno impreciso ed esterno. Fu il seguente: io avevo una giovane amante, nel paese di montagna dove sto spesso, per cui Silvia soffriva e ancora più aveva sofferto. Una ragazza di venticinque anni che non mi decidevo ad abbandonare nonostante e forse proprio per la pazienza di Silvia: ero attratto, molto attratto, la ragazza era quello che un mio amico definì con una sola geniale parola a vederla in fotografia. Sospirò, essendo un uomo di mondo e assai pratico di cose del genere, disse: Eros, e non ci fu e non c'è bisogno d'altro. Stavo il più del tempo fuori da Roma, in quel paese, e con Silvia ci si telefonava tutti i giorni perché, non l'ho ancora detto, io amo Silvia come un ragazzo. È possibile? Sì, è possibile. Nonostante l'amante? Sì, nonostante l'amante. Che amavo come un vecchio e non come un ragazzo. All'inizio della mia relazione Silvia si disperò, poi, piano piano, sembrò accettarla e quando me ne accennava io non sapevo cosa dire, paralizzato dal silenzio, frutto di ciò che consideravo colpevole nei confronti di Silvia. Anche qui siamo nel banale. Quando Silvia accennava a qualcosa e trovavo la voce di rispondere dicevo: "non esistono diritti di esclusiva tra le persone" una evidente bugia; su cui però costruivo un intero comportamento, saggio, sociale e cinico. Senonché sapevo benissimo che di noi due, me e Silvia, nessuno dei due era veramente cinico e non lo sarebbe mai stato. Questo il prologo del fatto. Il fatto invece fu che, una sera, squillò il telefono nella nostra casa di Roma. Silvia rispose. Con disinvoltura perfetta disse: "Scusami un momento, passo all'altro apparecchio" e se ne andò in camera a parlare per un bel po'. Tornò, le chiesi chi era.



© 1997, RCS Libri S.p.A.

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