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Recensione Abraham Yehoshua

Abraham Yehoshua

Viaggio alla fine del millennio - Le prime pagine

le prime pagine
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Parte prima

Il viaggio verso Parigi
o
La Nuova Moglie


Capitolo primo

Nel secondo quarto della notte Ben-Atar, svegliato da una carezza, immagina in cuor suo che anche nel sonno la Prima Moglie non dimentichi di ringraziarlo del piacere donatole. Nell'oscurità che dolcemente lo avvolge accosta alla bocca la mano che lo accarezza per imprimervi ancora un bacio. Ma la ruvidezza della pelle e il calore irradiato verso le sue labbra lo rendono immediatamente consapevole dell'errore e con disgusto respinge la mano dello schiavo nero che, percependo la repulsione del padrone, scompare. E così com'è, nudo e pieno di sonno, Ben-Atar è di nuovo colto dall'apprensione per il viaggio. A tastoni controlla se il giovane che ha osato penetrare fino alle profondità del suo giaciglio per svegliarlo non abbia teso la mano anche alla cintura piena di pietre preziose, e si affretta a indossarla prima di avvolgersi nel mantello. In silenzio, senza una parola di commiato, sguscia via dalla piccola cabina e si arrampica sulla scaletta di corda fino al ponte. E nonostante sia certo che la sua uscita, per quanto silenziosa, abbia svegliato la moglie, è sicuro che lei saprà controllarsi e non cercherà di trattenerlo, perché non solo è consapevole del dovere imposto ora al marito, ma condivide la speranza che Ben-Atar riesca a compierlo prima dell'alba.

Ma il brillante scintillio delle stelle estive disseminate a riempire il cielo indica che l'alba è ancora lontana. E anche il vento, che ora scompone con delicatezza le ragnatele di sonno dagli occhi del nuovo venuto sul ponte, non è quello che nasce improvvisamente verso il terzo quarto della notte, bensì solo una brezza leggera che torna a dissolversi nello spazio concordemente riconosciuto già ieri, in base all'incrocio dei venti e al profumo dell'acqua, come la baia di Rouen, meta anelata da quando la nave è salpata dal Maghreb più di quaranta giorni fa. Per non mancare l'esatto punto dove si apre il fiume che li condurrà nel cuore della terra dei franchi, il comandante ha dato ordine, ancor prima del tramonto, di fermare la nave, gettare l'ancora, posizionare e legare i due timoni e arrotolare la grande vela al boma, leggermente inclinato. E sul ponte liberato dal soffio opprimente del grande triangolo di stoffa, il sartiame si è trasformato in amache improvvisate per i marinai che anche a quest'ora profonda e segreta della notte non resistono alla curiosità e attraverso le fessure degli occhi insonnoliti scrutano come l'ebreo, il Signore della nave, rinnovi il suo desiderio, ansioso di non fallire e non deludere la Seconda Moglie che lo attende a poppa del veliero.
Si ode intanto un debole suono di campanelle e tra le ceste del carico spunta l'ombra sottile dello schiavo che poc'anzi ha svegliato il suo signore con una carezza audace e prolungata e ora gli porge con volto imperscrutabile una bacinella piena d'acqua limpida. Avrebbe potuto, riflette Ben-Atar con rancore mentre si rinfresca il viso con l'acqua gelida, limitarsi a far risuonare le campanelle appese al vestito, invece di penetrare così, fin dentro il giaciglio, per gettare uno sguardo alle sue nudità e a quelle della moglie. Improvvisamente, senza una parola di preavviso o di rimprovero, schiaffeggia con tutte le sue forze il viso nero dello schiavo che barcolla sotto il colpo, ma non sembra sorpreso e neppure chiede una spiegazione. Fin dall'inizio del viaggio è abituato a che nessuno sulla nave gli risparmi la verga, fosse solo per tenerlo a freno. Dal momento in cui è stato portato in mare aperto questo figlio del deserto ha perso la propria stabilità e come una belva piccola e veloce, atterrita dalla cattura, ha preso a girovagare giorno e notte per i vani e i dedali della nave alla ricerca di un qualunque essere vivente, uomo o animale, a cui aggrapparsi, o anche solo da sfiorare. Abu-Lutfi e il comandante della nave ormai stanchi di lui, avevano già deciso di farlo scendere in uno dei porti, per riprenderlo poi al ritorno, ma il vento propizio che ha gonfiato le vele nelle prime due settimane li ha fatti scivolare lontano dal confine della giusta fede della Penisola iberica, e in un villaggio di pescatori vicino a Santiago de Compostela, dove si sono riforniti di acqua fresca, non è già più stato possibile trovare un musulmano a cui chiedere di prendere sotto la sua protezione, anche temporanea, il ragazzo impaurito. E gli arabi si sono rifiutati di abbandonarlo in mano ai cristiani poiché ben sapevano che, avvicinandosi l'Anno Mille, al ritorno non avrebbero riavuto ciò che avevano lasciato, ma un nuovo cristiano, piccolo e domato.
Proprio a causa delle voci propagatesi in quest'ultimo anno in Andalusia e nel Maghreb, riguardo alla paura e al nuovo fanatismo religioso che si stanno diffondendo nei principati e nei regni dei cristiani, il mercante ebreo e il suo socio arabo Abu-Lutfi hanno deciso di ridurre al minimo gli spostamenti sulla terraferma, per non mettere in pericolo se stessi e le merci in un viaggio tra castelli, villaggi, tenute e monasteri pullulanti di fedeli della croce. Temono che quei fedeli, malgrado desiderino ardentemente la venuta del Messia crocefisso per festeggiare i mille anni dalla sua nascita, possano, in un'occasione come questa, volersi redimere da tutti i peccati accumulati e soprattutto dal fatto che ancora si aggirano tra loro arabi ed ebrei ostinati che non riconoscono il Dio della croce e non si aspettano da lui nessuna salvezza. Per questo motivo, nei giorni incerti in cui le fedi si rafforzano sulla linea di congiunzione tra i millenni, meglio diradare gli incontri con i credenti di un'altra religione e accontentarsi, per la maggior parte del viaggio, di venire a contatto solo con elementi naturali, come il mare che, nonostante si dimostri talvolta capriccioso e crudele, non deve dimostrare nulla al di là del proprio essere. E così, invece di dirigersi a est, oltrepassare le scogliere di Gibilterra, piegare a nord nel Mediterraneo fino alla foce del Rodano, risalire il grande fiume gremito di navigli locali e da lì, per strade dissestate, brulicanti di devoti alla ricerca di espiazione e di vittime, tentare di raggiungere la lontana città portuale, i due soci hanno deciso di accettare il consiglio di un vecchio ed esperto lupo di mare, che ha proposto loro un altro itinerario, tranquillo ma audace. Quest'uomo, di nome Abd el-Shafi, il cui bisnonno era stato fatto prigioniero durante uno degli ultimi attacchi vichinghi all'Andalusia e costretto per lunghi anni a solcare i mari e i fiumi d'Europa con i suoi rapitori, ha consegnato loro due mappe su pergamene antiche e variopinte, con mari verdi e terre giallognole ricche di insenature rosse e di fiumi azzurri attraverso i quali è possibile penetrare quasi ovunque. È vero che, a uno sguardo attento, le due mappe risultano non poco differenti l'una dall'altra e la terra degli scozzesi, che appare in una di esse, non figura nell'altra, rimpiazzata dal mare. Tuttavia entrambe le carte concordano sull'esistenza di un tortuoso fiume settentrionale, chiamato con nomi leggermente diversi, in grado di trasportare i mercanti nordafricani, senza che questi debbano posare un solo piede a terra, direttamente dal porto di Tangeri fino al piccolo e lontano borgo di Parigi, dove si è ritirato un anno prima il loro terzo socio, Raphael Abulafia.


© 1998, Giulio Einaudi

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