Fine estate del 1951. Jean-Paul Sartre, partito "con le mani in tasca e della carta bianca in valigia", inizia il suo viaggio in Italia. Approda a Napoli, citt gremita di edifici scarnificati fino al midollo, con i panni appesi ai balconi e ovunque arsura, marmaglia, miseria. Poi si addentra nel cuore di Capri, attraverso una strada selvaggia a serpentina. Ne contempla il paesaggio duro come la roccia e soffice come la vegetazione, una terra nera e fertile che stata prima africana, poi greca e romana. A Roma, i suoi passi echeggiano nella citt vuota, come in una cattedrale deserta. Qui si intrattiene con Carlo Levi, cena con gli amici del Pci, visita il Colosseo. Nelle strade le voci parlano della partita di calcio della Roma, di Coppi che correr a Lugano, di scioperi in corso o covati sotto la cenere. Sartre si trascina per le vie della capitale, penetra nelle viscere della classicit, i cui resti sono pietra stregata capace ancora di asservire. Infine, a Venezia, sullo sfondo degli affreschi del Tintoretto, fra santi, putti e dogi, si sente rinnovato: la citt galleggiante ha l'aura di un sogno, vaporoso e sinistro; una materia fluida in lotta con le architetture dell'uomo che irretisce e plasma il turista. Definita da Sartre stesso "La nausea della mia maturit", La regina Albemarle - che il Saggiatore ripropone oggi in una nuova edizione, per la cura di Arlette Elkam Sartre, figlia adottiva del filosofo - un diario di viaggio che reca poche indicazioni temporali... |