Sappiamo tutti che il debito pubblico italiano è enorme, che tutta l'Europa teme che ora siano gli stati sovrani a non avere più i soldi per reggere sui mercati finanziari. Ma da dove viene questa massa di debito che sembra inestinguibile? E davvero l'unica cosa che si può fare è stringere la cinghia, obbedire ai diktat della finanza internazionale e pagare? Francesco Gesualdi, fondatore e anima del Centro nuovo modello di sviluppo, non ci sta. Ricostruisce anzitutto la storia del fenomeno, mostrando come il debito non nasca da una serie di sfortunate circostanze e di errori di pianificazione, ma da una precisa e per lungo tempo condivisa strategia, orientata a contenere il conflitto sociale e a sostenere le forme di consumo richieste dalla struttura produttiva del tardo capitalismo industriale. Strategia che alla lunga ha mostrato la corda, com'era prevedibile e previsto, ma che le forze della finanza globale hanno invece denunciato come la disinvolta iniziativa di governi inclini allo sperpero. E soprattutto hanno sanzionato imponendo il ricorso a misure di austerity destinate a impoverire ulteriormente larghi strati della popolazione. Ma se le cose stanno così, è giusto che alla popolazione sia richiesto di onorare questo debito? Non sarebbe meglio pensare a concrete e circostanziate strategie, non puramente economiche ma genuinamente politiche, per ristrutturare il debito, riconoscendo il gigantesco ricatto che oggi esso rappresenta per le democrazie occidentali?