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Biografia Alberto Moravia
Alberto Moravia
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Alberto Moravia, vero cognome Pincherle (Roma, 28 novembre 1907 - 26 settembre 1990) è stato un importante scrittore italiano. Collaboratore dal 1927 alla rivista 900, esordì a ventidue anni con il romanzo Gli indifferenti (1929), che descrive la crisi di valori del mondo borghese. La censura fascista, che sospettava una satira del regime bloccò i due successivi romanzi, Le ambizioni sbagliate (1935) e La mascherata (1941).

Dopo aver trascorso alcuni anni all'estero, nel dopoguerra Moravia riprese l'attività narrativa e si dedicò anche al giornalismo, alla critica cinematografica, alla drammaturgia (Beatrice Cenci, 1958; Il dio Kurt, 1968; La vita è gioco, 1969) e alla saggistica (L'uomo come fine e altri saggi, 1963; Impegno controvoglia, 1980).

Il romanzo Agostino (1943), narra il primo incontro di un adolescente col sesso; La romana (1947), costituisce un memorabile ritratto di donna sullo sfondo dell'Italia fascista; in L'amore coniugale (1949) ed in Il disprezzo (1954), Moravia applica la propria visione critica all'istituzione borghese del matrimonio; il romanzo La noia (1960), analizza il rapporto con la realtà dell'uomo alienato.

Una delle opere più note di Moravia è La ciociara (1957), ambientata durante la seconda guerra mondiale e per la quale l'autore attinse ai propri ricordi personali. A questo romanzo il regista Vittorio de Sica s’ispirò per uno dei suoi capolavori. All'ultima fase dell'attività di Moravia appartengono le allegorie politiche La vita interiore (1978), che affronta il tema del terrorismo, e 1934 (1982), storia dell'incontro fra un giovane antifascista italiano e una ragazza tedesca.

Moravia fu anche un maestro del racconto: i Racconti romani (1954) e i Nuovi racconti romani (1959) ritraggono il proletariato romano, mentre La cosa (1983) è una raccolta di racconti erotici e del 1985 è L'uomo che guarda. Negli ultimi anni di attività, gli interventi di Moravia sui problemi più disparati si sono tradotti in un presenzialismo di gusto assai discutibile.

Negli anni Moravia ha mutato le forme della sua produzione ed ha sviluppato un'ampia gamma di formule narrative: l'intreccio ampio (che definisce "imbroglio") che si complica per poi risolversi con una voluta macchinosità da romanzo d'appendice (Le ambizioni sbagliate, Il conformista) con la deformazione surrealistica o introducendo un'allusiva polemica politica (La mascherata 1941) oppure il racconto ed il romanzo breve o il romanzo – saggio, nel quale prevale l'interesse per la condizione umana, da ciò l'interesse di Moravia, negli ultimi anni per la psicanalisi, le scienze sociologiche, il marxismo la comunicazione di massa. Nella varietà delle tecniche narrative, restano costanti gli elementi essenziali del mondo rappresentato.

I tipi umani dell'universo popolare dei Racconti romani riemergono arricchiti in quello borghese. Lo scrittore è impegnato in una spietata presa di coscienza della crisi del mondo contemporaneo e di una borghesia priva di ideali, schiava del sesso e del denaro. In ogni ambito affiorano l'atonia spirituale, l'angustia degli orizzonti, il sesso ed il denaro come valori precipui ed una perenne assenza d'autenticità nei rapporti interpersonali e nelle scelte di vita.

Moravia tende a porre i problemi esistenziali in termini esclusivamente psicologici. Il suo amoralismo a volte indugia su aspetti ripugnanti delineando un'immagine deformata dell'uomo, che è giustificata negazione di un'ipocrita mitologia letteraria e morale (amore, rapporti familiari e sociali), ma rischia di creare il falso mito dell'istintività naturalistica isolandolo dalla complessità della realtà.

Unica eccezione è La ciociara che presenta un mondo non connotato dall'usuale decadenza morale e ancora ricco di entusiasmi e di valori. L'inclemente descrizione di un'umanità moralmente infima svela un giudizio rancoroso più che negativo. Il pessimismo di Moravia manca di un retroterra religioso o ideologico, mentre la poetica dello scrittore, lo porta ad un atteggiamento razionalistico che considera l'arte una presa di coscienza della realtà e della crisi del mondo moderno e l'intellettuale come un testimone del proprio tempo. Moravia ha vissuto la dittatura, il difficile dopoguerra, gli scontri ideologici.

Da tale posizione deriva l'apparente fissità e mancanza di sviluppo della produzione di Moravia. La decisiva volontà d'analisi, demistificazione, registrazione si estrinseca in una prosa rigorosa, oggettiva, ordinata, a tratti guardinga fino a divenire fredda. Le pagine di Moravia sono pregne di cose, di presenze, di rappresentazioni minuziose di oggetti, situazioni, atmosfere, atteggiamenti psicologici, anche quando il realismo evolve e si dissolve in forme surreali, in simboli psicologici e sociologici.

Gli indifferenti (1929)

Leo, stanco della relazione con Mariagrazia, corteggia la figlia Carla che, con stanca rassegnazione, subisce la sua corte come una fatalità.Michele, fratello di Carla, è disgustato dalla situazione, è irritato dalla condotta ambigua della madre e disprezza Leo per la sua indole di affarista e di dongiovanni, nonostante ciò, il giovane è troppo inetto per reagire. Michele si comporta senza determinazione anche nei riguardi di Lisa la precedente amante di Leo che ora è attratta da lui, ma più che corteggiarla si lascia corteggiare.

Lisa tenta di svegliare Michele dal suo torpore morale e lo informa della relazione fra Carla e Leo. Michele pare deciso ad affrontare Leo per vendicare l'onore della famiglia, ma dall'arma non parte il colpo perché il giovane ha dimenticato di caricarla. Fallita ogni velleità di rivalsa morale, tutto torna alla corruzione precedente. Leo sposa Carla, truffando economicamente Mariagrazia. Michele accetta tutto, anche di diventare socio in affari dell'ambiguo cognato.

Moravia esordì con Gli indifferenti, concependo un romanzo compiutamente realizzato, come si può di solito riscontrare in uno scrittore all'acme della propria carriera. La materia è greve, focalizzata su un groviglio di esistenze prive di qualsiasi ideale, grette e moralmente meschine, prive di volontà, i cui incerti tentativi di riscatto sono destinati a fallire in un contesto freudiano. Paradigmatica è la pistola, che Michele "dimentica" di caricare, rifiutando a livello inconscio quella volontà di reazione che pare animarlo. Non resta che continuare ad avvoltolarsi "come porci nel brago", senza stabilire un rapporto autentico con gli altri e con la realtà in un'opacità di coscienza che Moravia constata con un rancore affatto privo di pietà ricollegandosi al filone dell'inetto incapace di vivere percorso anche da Svevo e facendo dell'indifferenza un paradigmatico atteggiamento esistenziale.

Sul piano formale il romanzo fornisce un esempio di prosa sagace, precisa, aderente alle cose, realistica in aperto contrasto con quella dominante in quel periodo e nel precedente. Un certo alone di scandalo, per la scabrosità della vicenda non fu estraneo al successo del romanzo, ma il vero "scandalo" era la demistificazione dello stereotipato moralismo fascista che Moravia aveva osato attuare, svelando la carenza di valori etici e civili celata sotto l'asserita rispettabilità e "sanità morale" della borghesia, e quindi della classe dirigente. Tale valore polemico non sfuggì alle gerarchie fasciste e il romanzo subì violenti attacchi ed ostacoli per le successive edizioni.

L'indifferenza per Moravia, consiste nell'incapacità di interessarsi al problema etico. Tale amoralismo implica l'incapacità dell'individuo di rapportarsi con il mondo avviluppandosi in un bozzolo di solitario egoismo. L'indifferenza si trasforma in impotenza, in accettazione passiva della realtà in ipocrisia e totale incomunicabilità. Lo smarrimento dei valori tradizionali non è stato riempito da nuovi significati. L'alienazione dell'uomo moderno, l'incomunicabilità di cui è vittima, sono per Moravia abominevoli e la ricerca di un'adesione alla vita, anche a scapito della problematica morale, è compiuta fisicamente, per mezzo di elementari certezze che possono far ritrovare il rapporto con gli altri mediante la liberazione dal conformismo. L'indagine di Moravia si articola sul piano psicologico, sociologico, etico.

Moravia percepisce la problematicità della realtà e persegue la demistificazione delle contraddizioni celate da atteggiamenti speciosi, da convenzioni, da ipocrisie che falsificano i rapporti umani. L'indagine sociale , negli "indifferenti" rivela l'involuzione dei principi che giustificarono storicamente l'egemonia borghese. L'iniziativa e le capacità individuali sono degenerate nel culto del successo, dell'apparenza, della prevaricazione. Sesso e denaro sono gli stimoli dell'egocentrismo, mentre i valori più elevati sono sistematicamente elusi con giustificazioni pretestuose.

La ricerca egoistica del piacere e del potere è l'unico scopo, destinato a perpetuarsi all'infinito restando sempre inappagato in una banalizzazione dell'esistenza e dello spirito. Il realismo di Moravia coniuga acuta analisi psicologica e minuziosa descrizione ambientale che visualizza l'interiorità del personaggio che quindi si manifesta non con teatrali prese di coscienza, bensì con movimenti ed atteggiamenti quasi istintivi, che restano a livello del subconscio. La realtà si sfalda nell'irrealtà di getti meccanici e consunti dal conformismo e dall'abitudine. La scelta, più o meno inconscia dell'indifferenza è un cammino dalla coscienza all'incoscienza, al rifiuto di pensare, al lasciarsi vivere.

La ciociara (1957)

Il romanzo, ambientato nel 1943, racconta le vicende di madre e figlia travolte dalla guerra. Cesira è vedova di un uomo rozzo e brutale, che le ha lasciato un negozio, col quale la donna mantiene sé e la figlia Rosetta. Per trovare scampo dalla guerra Cesira e la figlia lasciano Roma per recarsi in Ciociaria, nel paese d'origine della donna che spera di essere ospitata dai genitori. Con i soldi racimolati col mercato nero, Cesira e rosetta partono col treno per Fondi, ma un'interruzione della linea ferroviaria le costringe a proseguire a piedi. Cesira e Rosetta, costrette sono costrette a fermarsi prima di raggiungere il paese di Cesira e trovano ospitalità in una casa di contadini, ma scoprono che sia Concetta, la madre sia i figli Rosario e Giuseppe, rubano ed hanno ambigui rapporti con le autorità fasciste cui cercano di vendere i favori di Rosetta.

Per difendere la figlia Cesira si rivolge ad un negoziante di Fondi, Tommasino Festa, che in cambio di una somma ragguardevole trova loro una sistemazione sui monti, a Sant'Eufemia, dove insieme ad altri sfollati Cesira e Rosetta trascorrono una vita disagiata ma tranquilla, in attesa degli alleati. A Sant'Eufemia è sfollato anche Michele Festa, figlio di Tommasino, laureato, socialista e antifascista, che cerca la compagnia delle due donne, capaci di ascoltarlo e di accoglierne i retti principi, senza parlare continuamente di cibo e ricchezza come invece, ostentatamente, fa il padre. Un giorno cinque tedeschi in fuga obbligano Michele a guidarli sui monti. Il giovane non fa ritorno, presumibilmente ucciso dai tedeschi.

Cesira e Rosetta, scosse dalla sua scomparsa, confidando nell'arrivo degli alleati, ripartono per Roma. A Fondi le due donne restano bloccate, con gli americani che non hanno ancora preso la capitale, ma che grati dell'ospitalità che le due donne hanno offerto a due loro ufficiali, mentre erano a Sant'Eufemia, le trasportano al paese dei genitori di Cesira. Il villaggio è stato abbandonato e, mentre Cesira e Rosetta si riposano in una chiesa, sono aggredite e violentate da alcuni soldati marocchini delle truppe alleate. L'esperienza sconvolge Rosetta. Madre e figlia riprendono la fuga e si ritrovano nuovamente a casa di Concetta, il cui figlio Rosario e l'amico Clorindo diventano amanti di Rosetta, ormai priva di ogni pudore e indifferente alla disperazione della madre.

Dopo la liberazione di Roma, Rosario accetta di riportare a casa le due donne, ma alle porte della città è ucciso. Trovato un nuovo passaggio, Cesira e Rosetta finalmente rientrano in città. Le lacrime di Rosetta e l'angoscia di Cesira sono il segno che, con la libertà riottenuta, qualche cosa di diverso e migliore può ancora accadere, nella vita che ricomincia.

Agostino (1945)

Il tredicenne Agostino, unico figlio di una vedova dell'alta borghesia, orgoglioso della bellezza materna, raggiunge una località della costa toscana per le vacanze estive. I suoi sentimenti per la madre si incrinano quando il giovane Renzo diventa ospite abituale delle gite in pattino. Agostino si accorge dell'influenza del giovane sulla madre e, ingelosito, cerca di evitare di incontrare Renzo.

Il ragazzo conosce Berto, un coetaneo di tutt'altra estrazione sociale che gli fa conoscere un gruppo di ragazzi: Tortima, Sandro e il nero Homs. I ragazzi sono molto diversi da Agostino, e perciò lo affascinano. I nuovi amici gettano una nuova luce sui rapporti tra Renzo e la madre di Agostino che, gradualmente si ribella alla propria condizione di bambino e comincia a vedere nella madre una donna ancora giovane e piacente.

Il ragazzo è convinto che tale cambiamento, che non è rilevato dalla madre, debba interessare i nuovi compagni, che invece si comportano crudelmente nei suoi confronti. Saro, un bagnino frequentato dai ragazzi, porta in barca Agostino da solo, nonostante le proteste di Homs. Le offese e gli sberleffi degli altri fanno intuire ad Agostino la natura equivoca di Saro e i suoi reali rapporti con Homs. Agostino non riesce a convincere i ragazzi del fatto che tra lui e Saro non è avvenuto ciò che essi immaginano. Agostino è soffocato dalla crudeltà seducente del gruppo, dalla perdita dell'innocenza e dalla nuova realtà assunta dalla figura materna.

Tortima mostra al ragazzino una casa d'appuntamenti e il ragazzo decide d'andarvi, senza avere un'idea precisa di come comportarsi con una donna. Con tale gesto spera di negare ciò che Berto e gli altri ragazzi credono di lui e Saro e, contemporaneamente, di superare i propri sentimenti contrastanti nei confronti della madre. Sulla soglia del lupanare il ragazzino è fermato, perché troppo giovane e, quando torna a casa, assiste ad un bacio tre Renzo e la madre. La sera, in un colloquio con la madre il ragazzo chiede di non essere più trattato come un bambino e la madre gli promette di considerarlo un uomo.

Moravia sembra vagheggiare un mondo anteriore alla moralità e a ogni divieto, lontano da ipocrisie e convenzioni sociali.

Racconti romani (1954-1959)

I sessantun racconti della raccolta evocano la Roma popolare con un nuovo realismo, lontano sia dalla satira di Belli, sia dalla bonomia di Trilussa, ma con simpatia e con un sincero interesse per un'umanità tormentata Moravia racconta la semplice vita di disoccupati, emarginati e poveri che formano il sottoproletariato romano. Nei racconti compaiono tutti i personaggi e ed i tipi del neorealismo, una coloratissima umanità, formata da bottegai, camerieri, pataccari, ladruncoli, donnette che si dibattono tra delusioni, speranze, odi, amori, gelosie, sogni irrealizzabili, piccole gioie, ripicche, meschinità, generosità inattese, nel quotidiano romanzo della vita.

Il linguaggio, crudo e gergale non è dialettale, bensì un italiano colorito di locuzioni e modi sintattici romaneschi. I racconti sono affreschi di vita quotidiana, quasi rapide sceneggiature, a volte quasi caricaturali. I racconti nel loro insieme formano un testo omogeneo, coinvolgente, vario. I motivi ricorrenti sono il denaro mal guadagnato, il sogno della tavola imbandita, le strade afose e maleodoranti, la sessualità, la casa misera e la famiglia insopportabile.


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