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Recensione Andrea Molesini

Andrea Molesini

La primavera del lupo

Andrea Molesini La primavera del lupo
Andrea Molesini La primavera del lupo

Dagli occhi di un bambino
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“E adesso sono triste anche se la mia zuppa non scotta più e me la mangio con questo pane buono. Perché delle volte la tristezza viene che non te l’aspetti, e così penso a Mauriziada, penso a Lirlandese, penso a frate Ernesto. Loro sono là fuori che camminano nel bosco sotto la pioggia, forse parlano con i lupi, forse parlano con le faine, dormono nella tana delle volpi e sono contenti che io e Dario stiamo al caldo di un fuoco, nella baita, con la zuppa. Sono fatti di gocce, i morti, e si vestono con gli aghi di pino, borbottano con le civette, entrano nei sogni per ridere e piangere con noi, di noi, dell’aria, dei gufi, delle cose che brillano come le pietre preziose, le stelle e tutto l’oro della luna. Siete voi, Mauriziada frate Ernesto Lirlandese, quelli che mi fido per davvero. Voi che non sento più le vostre voci quando c’è la paura e c’è che si scappa. Voi che di notte siete la pioggia che cade, le stelle che se allungo la mano vanno più in là, voi che di notte siete il mio lupo e una musica che si allontana.”


Ho scoperto Andrea Molesini quasi per caso, anche se lui in campo letterario non era di certo uno sconosciuto, in quanto autore di libri di poesia, di saggistica, e traduttore dall’inglese di opere soprattutto di Derek Walcott. Ricordo che era l’anno 2010 e avevo letto una recensione di Ferdinando Camon al suo primo romanzo (Non tutti i bastardi sono di Vienna), recensione che mi aveva non poco incuriosito per le caratteristiche del libro, ambientato nel corso della prima guerra mondiale al di là del Piave dopo la tragica ritirata di Caporetto.
In quella occasione ho apprezzato la struttura, la narrazione fluida, scorrevole, in un italiano impeccabile, e in generale un’impostazione che, per quanto classica, è riuscita ad avvincermi dall’inizio alla fine, una sorta di lungo adagio che, ogni tanto, si impenna, ma senza mai arrivare a eccessi, insomma quello che si può definire un libro scritto bene e senz’altro molto bello. E infatti ha incontrato un notevole successo di pubblico e anche di critica, ottenendo perfino premi prestigiosi, fra i quali il Comisso e il Campiello.
Del tutto naturale è stata quindi l’attesa per il suo secondo romanzo, La primavera del lupo, uscito sempre per i tipi della Sellerio nella prima metà dello scorso mese di maggio.
Infatti mi chiedevo se questa nuova opera avrebbe potuto riconfermare le eccellenti qualità della prima, oppure se, come abbastanza di frequente capita, il nuovo lavoro, magari pur gradevole, sarebbe risultato inferiore al precedente.
L’ho letto, con immenso piacere, e mi sento tranquillamene di affermare che Molesini ha confermato il suo talento.
La primavera del lupo presenta alcune analogie con il precedente Non tutti i bastardi sono di Vienna (si svolge durante una guerra, non la prima guerra mondiale, bensì la seconda, e anche qui c’è un’occupazione, non quella dell’impero austriaco, ma quella senz’altro più dura e crudele del terzo Reich). Queste le analogie, poi, per il resto, è completamente diverso perfino come impostazione e struttura.
La vicenda di un piccolo gruppo in fuga dai nazisti (si tratta di due bimbi, di cui uno ebreo, di due anziane sorelle, pure esse ebree, di una finta suora, a cui poi si aggregherà in circostanze drammatiche un enigmatico disertore tedesco) potrebbe fare pensare al classico romanzo d’azione, ma non è così.
Infatti l’io narrante, di volta in volta, è Pietro, un bambino di dieci anni, ed Elvira, la finta suora, un’alternanza che, oltre a non stancare, dato l’inevitabile diverso modo di esprimersi, presenta i punti vista dell’infante e dell’adulto che non sono mai coincidenti.
Il primo riesce istintivamente a vedere ciò che più si avvicina alla realtà, il secondo, ormai prigioniero della sua stessa logica, ha un approccio ben diverso, frutto di più di un ragionamento che lo porta ad avere una visione personale.
Ma la forza straordinaria di questo romanzo sta nel linguaggio del bambino, nelle sue osservazioni che, ad differenza dell’adulto, non sono frutto di laboriose riflessioni, ma che risultano istintive, perfino nei suoi giudizi dei grandi. E’ ammirevole e anche stupefacente la capacità di Molesini di esprimersi come se avesse una decina d’anni, nel coniare frasi sgrammaticate, ma di grande valore, un po’, insomma, come se fosse riuscito a retrocedere nel tempo, alla ormai non più vicina infanzia.
E’ del tutto naturale, quindi, che Pietro desti una grande simpatia, superiore a quella degli altri suoi compagni di fuga, ma il gruppo va assottigliandosi nel lungo itinerario che li porta da Venezia a risalire la valle dell’Adige per rifugiarsi in una laterale della Val di Sole, un luogo adatto a ospitare dei fuggiaschi e dei disertori e in cui c’è una baita di proprietà di Elvira. Sempre sotto l’oscura presenza di una lussuosa Mercedes che li segue e su cui si nota la presenza di un misterioso albino, un’ombra malefica che aggiunge terrore alla paura, giungeranno poi alla meta, e mi fermo qui, per non svelare il bellissimo finale che impreziosisce ancora di più un romanzo veramente bello e più che mai avvincente. Scoppiettante, con frequenti colpi di scena, con un ritmo sostenuto e diverso a seconda dell’io narrante, per dirla con l’autore se Non tutti i bastardi sono di Vienna è paragonabile a un’opera di musica classica, La primavera del lupo è invece vero e proprio jazz, ma mai stridente e perfettamente raccordato in un equilibrio armonico di rara efficacia.
Credo che non sia necessario aggiungere altro, perché quando un’opera parla da sé, con le sue qualità, con il suo linguaggio semplice, ma non elementare, è solo opportuno evidenziare, non occorrono spiegazioni, perché queste avvengono spontaneamente in chi legge, tanto che scoprire pagina dopo pagina quanto sia avvincente e appagante finisce con il diventare l’elemento determinante. E solo alla fine resta il tempo per pensare e riflettere, e vi assicuro che di occasioni, passi, frasi al riguardo ce ne sono certamente non poche.
Buona lettura, quindi.

Di Renzo.Montagnoli

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