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Recensione Martin Cruz Smith La rosa nera
le prime pagine
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Le donne più belle del mondo erano le africane.
Donne somale avvolte in vesti screziate di viola, vermiglio, rosa. Intorno al collo grani d'ambra che, strofinati l'uno contro l'altro, sprigionavano elettricità e profumo di limoni e miele.
Donne del Corno d'Africa che sbirciavano attraverso veli d'oro, ornamenti filiformi simili a lacrime tintinnanti. Velate di nero dalla testa ai piedi, concentravano il loro desiderio negli occhi contornati di kajal. Sulle Montagne della Luna, donne dinka, scure e levigate come il più scuro e più levigato dei legni, alte e statuarie, con corsetti ornati di perline che sarebbero stati aperti solo la notte delle nozze.
E le donne della Costa d'Oro con catene, campanelli e braccialetti dorati, che ballavano con gonne di filo d'oro in stanze profumate di cannella, cardamomo e muschio.
Jonathan Blair si svegliò avviluppato in lenzuola bagnate, rabbrividendo per la pioggia, le esalazioni di gas e la fuliggine che si addensavano contro l'unica finestra del suo alloggio. Avrebbe voluto scivolare di nuovo nel suo sogno, che però era svanito come fumo. Ma l'Africa nel suo sangue, quella era per sempre.
Sospettava che si trattasse di febbre tifoide. Lenzuola e coperte erano inzuppate di sudore. La settimana prima aveva cominciato a diventare giallo, dai bulbi oculari alle punte dei piedi. E pisciava acqua marrone, sintomo di malaria, che la sera prima aveva richiesto una dose di chinino e gin; o perlomeno l'aveva richiesta lui.
Fuori, le campane del mattino rintoccavano in un'altra giornata schifosa, rimbombandogli nel cervello come un'esplosione di vasi sanguigni. Batteva i denti dal freddo e nel minuscolo caminetto della stanza un misero mucchietto di tizzoni stava sparendo sotto la cenere. Blair posò i piedi sul pavimento, fece un passo e crollò a terra.
Riprese i sensi un'ora dopo. Lo capì da un'altra esplosione di campane; dopo tutto Dio aveva una sua ragion d'essere, come arbitro celestiale armato di gong.
Dal pavimento Blair godeva di un'eccellente visione, sia pure dal basso, del suo salotto: tappeto sfilacciato con macchie di tè, letto con lenzuola aggrovigliate, un'unica sedia, un tavolino con lampada a petrolio, tappezzeria rattoppata con giornali, una finestra da cui trapelava una luce grigia e triste che svelava le ceneri spente del focolare. Ebbe la tentazione di strisciare in qualche modo fino alla sedia per morire seduto, ma si ricordò di avere un appuntamento. Tremando come un vecchio cane, avanzò a quattro zampe verso il caminetto. I brividi gli squassavano la gabbia toracica e gli torcevano le ossa. Il pavimento beccheggiava come il ponte di una nave; svenne di nuovo.
Riprese i sensi con un fiammifero in una mano, della legna minuta e un giornale nell'altra. Sembrava che riuscisse a cavarsela sia quand'era in stato d'incoscienza sia quando era in sé: la cosa gli fece piacere. Il giornale era piegato sulle Cronache di Corte del 23 marzo 1872: "S.A.R. la principessa reale presenzierà a una riunione dei patroni della Royal Geographic Society con Sir Rodney Murchison, presidente della R.G.S., e il reverendissimo vescovo Hannay. Saranno presenti...". Era una notizia del giorno prima, e ciò significava che lui non avrebbe comunque potuto partecipare al ricevimento, nemmeno se fosse stato in buona salute, se lo avessero invitato, e se avesse avuto i soldi per una carrozza. Accese il fiammifero e fece appello a tutte le sue forze per tenere la fiamma sulfurea sotto la carta e i legnetti, che spinse poi sotto la grata. Rotolò su un fianco verso il secchio. Dio voglia che ci sia del carbone, pensò. Lo trovò. Ne mise una manciata sul fuoco. Sopra la grata era appeso un bollitore. Dio voglia, pensò, che ci sia dell'acqua. Lo scosse leggermente e udì il liquido sciabordare da una parte all'altra. Alimentò il fuoco con altra carta e altro carbone, e appena il carbone s'infiammò, si avvicinò il più possibile per scaldarsi a quel soffio.
Il tè inglese non gli piaceva. Avrebbe preferito un dolce tè marocchino alla menta servito in un bicchiere. O un denso caffè turco. O un caffè americano in una tazza di latta. Ma a Londra, pensò, questo era con ogni probabilità quanto di più gradevole poteva offrirgli la vita.
Una volta bevuto il tè, Blair affrontò l'impresa di vestirsi. Trasformare la sciarpa in una specie di cravatta non fu cosa da poco, perché non poteva alzare le braccia senza scatenare altri tremiti. Non essendosi arrischiato per giorni ad accostare un rasoio al viso, aveva un accenno di barba. Possedeva ancora vestiti decenti e un orologio da tasca dal quale apprese che, se voleva andare a piedi da Holborn Road a Savile Row - visto che non aveva di certo i soldi per arrivarci con i mezzi - doveva mettersi subito in cammino. In circostanze normali sarebbe stata una passeggiata di tutto riposo. Ma oggi gli si prospettava come un viaggio attraverso montagne, deserti e paludi. S'appoggiò alla finestra e guardò dall'alto le file di carrozze di piazza dai mantici a forma di gobba e, sui marciapiedi, i flussi contrapposti degli ombrelli. Il vetro rifletteva un viso bruciato e arrossato da una vita all'aria aperta. Non era un viso affabile o gradevole, nemmeno agli occhi di chi lo possedeva.
Scendendo le scale, barcollava come un marinaio. Disse a se stesso che sarebbe già stata un fortuna non rompersi una gamba. Era comunque un appuntamento cui non poteva permettersi di mancare, se voleva andarsene dall'Inghilterra. E per riuscirci avrebbe strisciato sui gomiti.
© 1997, Arnoldo Mondadori S.p.A.
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