"Nell'inverno del 1946 Camus mi aveva chiesto, per non so pi quale collana, uno studio sull'azione;" scrive Simone de Beauvoir nella sua opera autobiografica "La forza delle cose", del 1963 "l'accoglienza riservata a Pirro e Cinea m'incoraggiava a tornare alla filosofia. D'altra parte quando leggevo Lefebvre, Naville, Mounin, sentivo il desiderio di replicare. Incominciai cos, in parte contro di loro, Per una morale dell'ambiguit. Di tutti i miei libri quello che oggi mi irrita di pi. La parte polemica mi sembra valida. Certo, ho perduto del tempo a combattere obiezioni futili; ma allora l'esistenzialismo veniva considerato come una filosofia nichilista, miserabilista, frivola, libertina, disperata, ignobile: bisognava pur difenderlo. In una maniera a mio avviso convincente, ho criticato l'ingannevole mito di una umanit monolitica di cui fanno uso gli scrittori comunisti - spesso senza confessarlo - volendo ignorare la morte e il fallimento; ho indicato le antinomie dell'azione, la trascendenza indefinita dell'uomo che si oppone alla sua esigenza di recupero, l'avvenire al presente, la realt collettiva all'interiorit di ognuno; riprendendo il dibattito, allora cos scottante, sui mezzi e sui fini, ho distrutto alcuni sofismi. Sul ruolo che hanno gli intellettuali in seno a un regime da loro approvato, ho sollevato dei problemi ancor oggi attuali." |