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Biografia Adriano Olivetti
Adriano Olivetti
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L'11 aprile del 1901 nasce ad Ivrea Adriano Olivetti, industriale ma anche intellettuale, urbanista, editore. Scomparso il 27 febbraio del 1960, è stato capace di abbinare le logiche e i successi dell'impresa ad un progetto sociale ancora oggi innovativo. Un'utopia chiamata "Olivetti" Chi era Adriano Olivetti? Un sognatore, un utopista, o era invece un grande imprenditore, capace di portare la piccola azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca? Sicuramente era una figura scomoda e considerata da molti ingombrante, sia come concorrente industriale che come portatore di un modello sociale per certi versi “rivoluzionario”. Quello di Adriano Olivetti era un sogno industriale, che certamente mirava al successo e al profitto, ma anche un progetto sociale che implicava una nuova relazione tra imprenditore ed operaio, oltre ad un nuovo rapporto tra fabbrica e città. Nel 1945, dopo la fine della guerra, Adriano Olivetti torna ad Ivrea pieno di progetti. La sua convinzione è che il fine dell’impresa non debba essere solo il profitto e che sia necessario reinvestire il profitto per il bene della comunità. A questo principio si ispirano tutte le sue successive scelte imprenditoriali. La fabbrica di Ivrea diventa presto il modello di un’organizzazione del lavoro improntata sull’uomo reale, lontano dall’uomo disumanizzato della catena di montaggio. Dalle linee di montaggio si passa infatti alla formazione delle cosiddette “isole”, nelle quali un gruppo di operai specializzati è in grado di montare, controllare e riparare un prodotto finito o una parte completa di esso. La fabbrica è dotata di molte strutture ricreative e assistenziali: biblioteche, mense, ambulatori medici, asili nido, ecc. L’idea di Adriano è che l’incremento della produttività sia strettamente legato alla motivazione personale del lavoratore ed alla partecipazione degli operai alla vita dell’azienda. Il modello Olivetti, criticato da molti come contrario ad ogni logica economica, si mostra presto una ricetta di successo; in poco più di un decennio la produttività cresce del 500% e il volume delle vendite del 1300%. La Olivetti raggiunge rapidamente una notevole fama internazionale e la macchina da scrivere “Lettera 22”, disegnata da Marcello Nizzoli nel 1950, viene definita da una giuria internazionale “il primo dei cento migliori prodotti degli ultimi cento anni”. E’ la prima volta in Italia che si introduce il design e l’estetica come aspetti fondamentali del prodotto industriale. Nel 1948 negli stabilimenti di Ivrea viene costituito il Consiglio di Gestione, per molti anni unico esempio in Italia di organismo paritetico con poteri consultivi sulla destinazione dei finanziamenti per i servizi sociali e l'assistenza. Si costruiscono quartieri per i dipendenti e nuove sedi per i servizi sociali. A realizzare queste opere vengono chiamati grandi architetti: Figini, Pollini, Zanuso, Vittoria, Gardella, Fiocchi, Cosenza, ed altri ancora. La fabbrica di Ivrea è moderna e spaziosa. Una delle peculiarità dei fabbricati è la massiccia utilizzazione del vetro, voluta dallo stesso Olivetti affinché gli operai che vi lavorano, spesso strappati al mondo rurale, possano continuare a sentirsi a contatto con la natura e avvertirsi come parte del paesaggio, “circondati e avvolti dalla luce”. I dipendenti Olivetti godono di benefici eccezionali per l’epoca: i salari sono superiori del 20% della base contrattuale, oltre al salario indiretto costituito dai servizi sociali, le donne hanno nove mesi di maternità retribuita (quasi il doppio di quanti ne hanno oggi, per intenderci) e il sabato viene lasciato libero, prima ancora di ogni contrattazione sindacale. L'orario di lavoro viene ridotto da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro. Si può dire che Adriano Olivetti non si pose mai nell’ottica della contrapposizione tra capitale e lavoro ma la sua preoccupazione fu sempre come essi potessero convivere insieme per far progredire la società. La struttura tradizionale, improntata alla conflittualità sindacale, veniva contraddetta da una serie di provvedimenti che tendevano ad erodere la base della conflittualità stessa. Non vi furono, in questo modo, episodi di scontro frontale con i sindacati come avvenne in altre fabbriche (vedi la Fiat). Per Olivetti il lavoratore è un uomo e un cittadino che vive ed è radicato nel territorio; esiste un sistema complesso di relazioni umane, sociali, infrastrutturali tra il territorio e il sistema industriale che in esso opera. Il lavoratore deve essere produttivo perché la realtà industriale possa essere competitiva, ma per farlo la contropartita non è l’alienazione ma la partecipazione, il coinvolgimento, la crescita sociale. L’efficienza del lavoratore va ottenuta non con il suo iper-utilizzo ma ponendolo nella condizione di rendere al meglio, di sentirsi parte di un progetto comune. Il modello Olivettiano rappresenta una forma di sviluppo industriale che idealmente cerca di essere sostenibile. La Olivetti ha una politica del personale del tutto peculiare; Adriano in persona seleziona i candidati valutando, oltre ai loro curriculum, elementi quali la grafia o il portamento. La voce si sparge velocemente ed all’ufficio del personale dell’azienda arrivano moltissime domande. Può così accadere che uno storico medievalista, che fino a quel momento si sia dedicato solo a scrivere saggi sull’eresia, venga chiamato a dirigere una filiale. La scuola di formazione commerciale fornisce un insegnamento che spazia dalle materie tecniche a quelle umanistiche, e come sede viene scelta una prestigiosa villa medicea, nella convinzione che vivere a contatto con la bellezza aiuti i collaboratori a dare il meglio nel lavoro che li aspetta. La Olivetti diventa un cenacolo, un crocevia intellettuale, tanto da essere definita da qualcuno “la Atene degli anni Cinquanta”; nelle file dei suoi collaboratori passano talmente tante personalità che risulta difficile persino tenerne il conto. Sociologi, architetti, scrittori, scienziati della politica e dell'organizzazione industriale, psicologi del lavoro: da Franco Momigliano a Paolo Volponi, da Giudici, Pampaloni, Bobi Bazlen, Luciano Gallino, Giorgio Puà, Fortini a Francesco Novara, Bruno Zevi passando per Fichera, Soavi, Ottieri, Luciano Foà, Lodovico Quaroni, fino a Furio Colombo, Franco Ferrarotti, Tiziano Terzani. Per valutare la peculiarità della Olivetti basti pensare che sulla parete di una delle officine figurava un grandioso affresco di Renato Guttuso; che Luigi Nono diresse un concerto al suo interno e che era frequente l’organizzazione di mostre e di festival cinematografici. L’idea di fondo era che il lavoratore dovesse identificarsi con l’azienda perché, come dice lo psicologo del lavoro Francesco Novara, “verificammo che maggiore era la costrizione e le limitazioni del lavoro e più i singoli erano danneggiati”. Ai dipendenti sono permesse delle pause durante l’orario di lavoro, al fine di ricrearsi ed accrescere la propria cultura, tanto che una volta una delegazione dei sindacati sovietici in visita alla fabbrica, osservando tanta libertà di movimento, chiese ai suoi ospiti se fosse un giorno di sciopero. Si crea intorno all’azienda un “orgoglio Olivetti”; coloro che fanno parte di quella comunità si considerano diversi dagli altri, promotori di un modello industriale che non ha precedenti, attenti a valorizzare ogni intelligenza e competenza anche se non prettamente scientifica. Nel febbraio del 1960 Adriano Olivetti muore, improvvisamente, mentre sta viaggiando su un treno da Milano a Losanna. Tutta Ivrea è in lutto; i festeggiamenti per il carnevale cittadino sono annullati. Le scelte che vengono prese dopo la sua scomparsa decreteno, di fatto, la fine del sogno “Olivetti”; la via indicata da Adriano rimane un’esperienza isolata, e i campi in cui la ricerca italiana eccelleva negli anni Cinquanta sono oggi settori arretrati nell’economia nazionale.

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