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Biografia Giuseppe Manfridi
Giuseppe Manfridi
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Giuseppe Manfridi nasce a Roma il 7 marzo del 1956. La madre, Maria Luisa Restivo, oculista, il padre Giovanni, dirigente assicurativo. Da parte materna, le radici sono per metà siciliane e per metà romane; da parte paterna, pugliesi. Figlio unico, cresce nel quartiere Lanciani; ai tempi, limite della città. Un quartiere caldo di umanità e scenario di infinite fantasie infantili. Nella biblioteca di casa fa il primo incontro col mondo di Shakespeare e Molière, che s’affianca e s’intreccia a una grande passione per la lettura dei fumetti (dapprima quelli della Lancio, poi Asterix, sino, da adulto, a Dylan Dog) e alla visione dei film d’avventura proiettati nella saletta oratoriale della sua scuola. E’ l’avvento dell’immaginario che scongiura l’insidia della noia durante le tante ore quotidiane trascorse in assenza di coetanei. Si appassiona al pallone e, in una sorta di epifania interiore, matura una fede romanista che rimarrà sempre indiscutibile, nonché foriera di tante elaborazioni, anche narrative. Dopo gli anni delle medie, trascorsi tra il 1966 e il ‘69 sotto il governo dei gesuiti all’Istituto Massimo e la cui asperità è compensata dagli insegnamenti umanistici del professor Civitelli, passa alla scuola pubblica frequentando il Liceo Giulio Cesare dove conosce Luigi Turinese, futuro analista, medico e scrittore che diverrà una delle sue amicizie più importanti, sia sotto il profilo umano che intellettuale. Dagli anni della scuola permarranno altre due durature amicizie: quelle con Pierfranco Bruno e Aldo Tagliaferri. All’età di sedicianni vive la nascita di Anna, la sua sola cugina, figlia di Nicola, zio paterno e figura dolcissima molto presente nell’infanzia e nell’adolescenza di Manfridi col suo esempio di mitezza e di modestia, ma destinata a scomparire precocemente. Sempre nella fase della prima giovinezza, in cui si sviluppano forti inclinazioni politiche di sinistra, avviene l’incontro col poeta Mariano Aprea, intellettuale eclettico ed esoterico, e quello con Massimo Billi, la cui attività giornalistica si intreccerà a quella di narratore e commediografo (la sua piéce ‘Fascia sinistra’ una delle più interessanti che siano state scritte sul calcio); con Billi, Manfridi spartirà tante trasferte al seguito della Roma, mentre, nel 1973, fa un importante viaggio in Spagna con Turinese sulle tracce di El Greco e dei prediletti poeti andalusi (su tutti, Garcia Lorca, di cui legge e rilegge sia i versi che il teatro, tanto che l’allestimento di ‘Bodas de sangre’ è il primo spettacolo che sogna di realizzare.) Ottenuta la maturità classica nel ‘74, si iscrive alla Facoltà di Lettere Moderne di Roma. Nel ‘75 muore Luigi Restivo, nonno materno a cui l’autore era legato da un affetto profondissimo. A lui dedicherà (esattamente: “Non alla sua assenza, ma alla sua presenza”) il testo ‘Lei’. Durante gli anni dell’Università, nel 1976, vive la sua prima importante esperienza teatrale allestendo, come regista e interprete, ‘Andromaca, la condizione estrema dell’urlo’, testo desunto dall’‘Andromaque’ di Racine. Luigi Turinese collabora allo spettacolo portandovi un contributo decisivo di idee e di sostegno pratico. Nel ‘77, la madre acquista una casa in Sardegna che costituirà, nel tempo, un preziossimo luogo di ritiro e di scrittura. Sotto il profilo della maturazione espressiva, l’anno, segnato da profonde crisi di crescita, si rivela assai proficuo. Condivide i suoi primi progetti letterari, che confluiranno nella raccolta di versi ‘Il seme del malto’, con l’amica Loredana Scaramella, conosciuta nella redazione del giornale ‘La Città Futura’, a cui entrambi collaborano come critici teatrali. Scrive il poema per frammenti ‘L’incendio di Persepoli’ e una seconda raccolta di versi: ‘L’indecenza e la forma’. Sempre nel 1977 entra in contatto con Vittorio Gassman, che dimostrerà più volte interesse e ammirazione per la sua drammaturgia sia attraverso affermazioni pubbliche (nel ‘91, il grande attore dichiarerà al quotidiano ‘La Stampa’ che semmai dovesse affrontare una novità teatrale penserebbe solo a un testo di Bufalino o a uno di Manfridi), sia nelle diverse trasmissioni televisive in cui coinvolgerà l’ancor giovane commediografo facendogli leggere passi delle sue commedie. Durante il periodo universitario Manfridi si dedica intensamente allo studio della metrica e all’analisi delle possibilità espressive insite nel verso inteso come strumento di espressione fonica, e non solo come codice di una comunicazione mentale. Frequenta in modo poblematico e deludente un gruppo di poeti che, animati da un eccesso di fervore sperimentale, fanno capo alla figura carismatica di Elio Pagliarani. All’interno di questo contesto poco incline a una dimensione classica, Manfridi ha però modo di conoscere il futuro italianista Claudio Giovanardi con cui stabilisce un sodalizio duraturo che tenterà pure di sostanziarsi nella scrittura di un romanzo a quattro mani rimasto interrotto. I due amici faranno lunghi viaggi in macchina per tutta l’Europa, il più importante dei quali li porterà in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Germania e in Austria. Da questa esperienza deriveranno importanti amicizie oltre cortina per cui Manfridi sarà pi volte indotto a tornare nella DDR. Nel ‘79 si laurea discutendo una tesi sul grande slavista Angelo Maria Ripellino. Uno studio che lo farà entrare in confidenza col mondo dei moderni poeti praghesi, e, in primo luogo, con l’opera di Vladimir Holan (il libretto Einaudi ‘Una notte con Amleto’ diverrà più che un’occasione di riletture continue, una sorta di inseparabile feticcio). Successivamente alla Laurea in Lettere Moderne, conseguita nel luglio del ‘79, si reca ad Acireale per tenere una relazione su Ripellino, e qui stringe amicizia col poeta Antonio Di Mauro, discepolo di Franco Fortini e autore della splendida raccolte ‘Quartiere d’inverno’ e ‘Acque del fondale’, che contemplano tra i versi più puri e raffinati della moderna lirica italiana. E’ sempre sul finire degli anni Settanta che Manfridi viene fortemente spinto verso la scrittura da Michele Strina, zio di parte materna e avvocato di prima linea coinvolto in alcuni fra i più grandi processi che hanno segnato la storia nazionale di quegli anni (su tutti, quello relativo al fallimento del Banco Ambrosiano). Da questa importante e prolungata frequentazione la coscienza politica di Manfridi risulta notevolmente affinata nel segno di una personale visione umanistico-socialista della Storia. Ha poco più di ventanni e vive stagioni di grande recettività. Legge libri su libri. Si appassiona al teatro di Sartre e di Camus, e, memore delle lezioni universitarie di Giovanni Macchia ed Enrico Guaraldo, approfondisce lo studio della letteratura francese, tanto che, nel 1980, decide di trascorrere alcuni mesi a Parigi alloggiando in una pensione a Boulevard de Magenta dove compone ‘Il canto delle betulle’, breve poemetto pubblicato, poi, nell’83, a proprie spese. Durante questo soggiorno, frequenta quotidianamente i café-théatres, si imbeve di una certa maniera caustica e grottesca di fare teatro, e abbozza la sua prima piéce: ‘Una stanza al buio’, una sorta di ‘noir’ disincantato che conoscerà vari allestimenti, e, in un caso (ma questo accadrà solo nell’89), anche con l’interpretazione dell’autore. Nell’81, la prima messa in scena romana della commedia, realizzata da Paolo e Annamaria D’Achille, fa sì che Nino Manfredi chiami il giovane drammaturgo per partecipare alla stesura di una serie televisiva che rimarrà lettera morta, ma questo abbozzo di collaborazione, coincidente con una fase di utile apprendistato, gli fa conoscere l’autore e ‘chansonnier’ napoletano Claudio Vettese. Soggetto alla leva, si dichiara obiettore di coscienza e viene destinato al Servizio Civile. Una scelta discussa e condivisa con Luigi Turinese. E’ il 1982 quando conosce il compositore Antonio Di Pofi. I due diventano immediatamente grandi amici. Di Pofi sarà, negli anni, autore di molte musiche per spettacoli tratti da suoi testi. Terminato il Servizio Civile, Manfridi passa due inverni a Venezia chiamato da Antonio Bruni, direttore della sede regionale RAI del Veneto, ma anche poeta a cui si debbono opere di amplissimo respiro, che gli commissiona tre serie di radiodrammi di cui l’autore firmerà anche le regie, addestrandosi così a un rapporto diretto con gli attori; un’esperienza fondamentale per definire quel ruolo di autore/teatrante che, nel tempo, egli cercherà di incarnare in maniera sempre più consapevole. Successivamente, vive per la prima volta dall’interno l’esperienza del grande teatro di giro collaborando come aiutoregista e traduttore con Vittorio Caprioli e Lina Volonghi all’allestimento di una piéce ‘boulevardier’. Una drammaturgia molto lontana da lui ma, al contempo, preziosa per iniziare a sperimentare le logiche del mercato. Nell’82, al fine di scongiurare un possibile plagio di cui è messo a rischio il suo testo ‘Prima della guerra’ presentato a un concorso e tradotto in radiodramma sotto firma altrui e con altro titolo, pubblica a proprie spese un volumetto in cui, oltre al copione di cui si rivendica la paternità, sono pure contenuti gli atti unici: ‘Gabbiani’ e ‘Lo scrutatore d’anime’. E, soprattutto, una prefazione in cui delinea con sufficiente chiarezza i propri intendimenti letterari e la propria idea di teatro basata sul doppio concetto di plagio e metamorfosi, mai ricusata nei lavori a venire. L’anno seguente sarà il regista Pierluigi Samaritani a battezzarlo professionalmente alle scene dirigendo proprio ‘Lo scrutatore d’anime’ (poi riscritto e rintitolato ‘Anime’), che lo stesso regista ha avuto modo di conoscere grazie alla pubblicazione di quel trittico dalla diffusione semiclandestina. Tra gli interpreti: Lorenzo Macrì, altro importante compagno di strada. ‘Lo scrutatore’, a onta degli enormi sacrifici, anche economici, premessi all’andata in scena (fondamentali in questo senso gli apporti di Antonio Di Pofi, e, nuovamente, di Michele Strina), ha un esito di stampa molto severo, ma l’importanza dell’allestimento è tale da procurare comunque al nome del commediografo una rilevante risonanza nazionale. Nel contempo, il suo testo ‘Corpo d’altri’ si segnala al concorso IDI (Istituto Drammatico Italiano). Il poeta e saggista Roberto Rebora, membro della commissione giudicante, inizia la sua nota di commento alla commedia con l’apodittico ‘incipit’: ‘Attenzione, c’è qualcuno!’. Segretaria, allora, dell’IDI è Maria Bolasco De Luca, che sarà per il giovane scrittore, soprattutto in quegli anni di apprendistato, un notevole punto di riferimento. Altro affettuoso testimone della sua nascente poetica teatrale è Aldo Nicolaj. L’incontro con Paolo Stoppa, già estremamente anziano, lo induce a scrivere il suo primo testo di ampio respiro: ‘Liverani’. Legge ammirato le commedie di Annibale Ruccello, che ha modo di conoscere. Ne nasce un’amicizia destinata a non avere futuro. L’autore napoletano, difatti, morirà nell’86, a soli trentanni, a causa di un incidente stradale, ma il suo capolavoro, ‘Ferdinando’, rimane per Manfridi (e non solo per lui) come un testo cardine i cui echi e insegnamenti sono avvertibili soprattutto in ‘Giacomo, il prepotente’. Un altro autore con cui va prendendo corpo un rapporto di confronti continui è Edoardo Erba (frequenti le letture fatte dall’uno all’altro dei reciproci lavori). Agli inizi degli anni Ottanta, i suoi viaggi lo spingono più volte in Irlanda, assunta quasi a patria d’adozione. Autori come Synge, Yeats, Brendan Beahn e O’Casey si riveleranno decisivi nella sua maturazione drammaturgica. Nel contempo, approfondisce la lettura di Eliot, Joyce e Montale. Scopre Canetti e rilegge all’infinito Poe e Leopardi. E, molto intensamente, Pasolini. Nell’84, a casa dell’amico attore Stefano De Sando, conosce il regista Piero Maccarinelli che di lì a breve gli proporrà la traduzione del testo di Barry Keeffe ‘God save the Quenn’, storia ambientata nell’universo della tifoseria sportiva. La contemporanea tragedia di Heysel durante la finale di Coppa Campioni Juventus-Liverpool, induce Manfridi a virare la scrittura in termini autonomi, e nasce così ‘Teppisti!’, tragedia in versi, che, portata in scena dallo stesso Maccarinelli, avrà un successo notevolissimo, anche grazie alle eccezionali interpretazioni di Massimo Venturiello, Enrica Rosso e Giampaolo Saccarola. Da questo momento gli allestimenti delle sue commedie iniziano a susseguirsi con regolarità sin quando Ivo Chiesa, direttore dello Stabile di Genova, decide di mettere in cartellone ‘Giacomo, il prepotente’. In questa decisione ha un ruolo fondamentale il giovane Massimo Chiesa. Il debutto avviene nel febbraio del 1989 al Teatro Duse di Genova. La regia è ancora di Maccarinelli, a cui il testo dedicato. Il primo riscontro della stampa locale non è del tutto soddisfacente, ma subito poi le più grandi testate nazionali decreteranno allo spettacolo un successo senza discussioni. Successo in cui brilla un’insuperabile Elisabetta Pozzi nel ruolo di Paolina Leopardi e che si protrarrà per tre stagioni, come pure accadrà per ‘Ti amo, Maria!’, testo commissionato espressamente da Massimo Chiesa e che si avvarrà della regia di Marco Sciaccaluga e della grande interpretazione di Carlo Delle Piane affiancato da una splendida Anna Bonaiuto. Il doppio consenso ricevuto sia da ‘Giacomo, il prepotente’ che da ‘Ti amo, Maria!’, commedie replicate nei più importanti teatri italiani, significherà per Manfridi una sorta di consacrazione, sino al Premio Novità Italiana per ‘Giacomo, il prepotente’ che gli viene consegnato al Teatro Greco di Taormina. Durante l’estate dell’89 trascorre un lungo periodo a Narni, lì chiamato da Luca Ronconi in qualità di docente nell’occasione di un corso per giovani attori. In questo contesto avvicina teatranti come Anna Maria Guarnieri, Massimo De Francovich e Paola Bacci. Sempre nell’‘89 conosce Carlotta Clerici con la quale si sposerà nel luglio del ‘91, a Como. I due decidono di stabilirsi a Parigi dove vivranno prima in rue d’Alesia, e poi nel Marais. Qui frequenta la casa dello scrittore Sergio Ferrero, amico del suocero, Gianni, grande giornalista sportivo e anch’egli scrittore, che rimarrà anche in futuro un confidente prediletto. Durante il luglio dello stesso anno, mentre segue le prove della sua ‘Elettra’, portata in scena al Teatro romano di Fiesole (magnifico il cast diretto da Giorgio Treves: Caterina Vertova, Gigi Pistilli, Leda Negroni, Antonella Schir e Franco Castellano), viene contattato dal regista Claudio Boccaccini che dirigerà ‘Anima bianca’, avviando, con questo allestimento, una lunga serie di regie dedicate al suo teatro. Fra i due si svilupperà, nel tempo, un’amicizia di ampio respiro. Ancora una volta, come già fu con Massimo Billi, sarà il comune tifo romanista, prodromo di diversi titoli che Manfridi ha dedicato al calcio (su tutti, ‘Ultrà’ e ‘La riserva’), a fornire mastice ulteriore a una naturale comunione di intenti e di progetti. In questi anni, gran parte dei suoi titoli viene pubblicata dalla Casa Editrice Ricordi in un collana diretta da Angela Calicchio. La scoperta della funambolica narrativa di Georges Perec rappresenta per Mnfridi un’autentica folgorazione le cui prime conseguenze assumono i tratti parodistici di sonetti monoconsonantici e di bizzarre alchimie verbali, pure utilizzate nella stesura dei copioni teatrali (particolarmente, in ‘Zozòs’). Nel ‘91, Franco Cordelli dedica a Manfridi un articolo monografico sull’‘Europeo’ in cui l’autore romano viene proposto come capofila della nuova drammaturgia italiana. La stagione parigina concide con un’importante sequenza di allestimenti sia in Italia che all’estero. Nel ‘92 vive con l’amico Antonio Monda una prolungata e notevole parentesi newyorkese, con epicentro nel quartiere ebraico di Brooklin, per scrivere la sceneggiatura di un film tratto dal racconto di Isaac Singer ‘Taibele e il suo demone’. Tra i registi con cui Manfridi collabora più intensamente, soprattutto in questi anni: ancora Maccarinelli, Walter Manfrè, Franco Ricordi, ed Ennio Coltorti (interlocutore di primo piano e fondamentale promotore della rassegna ‘Attori in cerca d’auore’ che accoglierà diversi atti unici del comediografo romano). Importante il sodalizio con Huguette Hatem, che traduce ‘La cena’, ‘Ti amo, Maria!’ e ‘Giacomo, il prepotente’, mentre si intensifica l’attività cinematografica, soprattutto in virtù del significativo rapporto, anche d’amicizia, stabilitosi con Ricky Tognazzi e Simona Izzo, un sodalizio nato nel ‘90 con la sceneggiatura di ‘Ultrà’. Grazie a Karin Wackers, traduttrice francese di ‘Elettra’, entra in contatto con Jacques Le Ny e col Teatro di Orléans dove parteciperà a un laboratorio incentrato sulle traduzioni di alcuni suoi testi. Nel ‘93, separatosi dalla moglie, torna a Roma. Vive per un anno e mezzo a Borgo Pio. Qui si rincontra con Lorenzo Macrì che lo stesso autore dirigerà nell’allestimento di ‘Stringiti a me, stringimi a te’, di cui sarà notevole protagonista Laura Lattuada. In questa fase di acutissima crisi personale, Manfridi parte per un lungo viaggio che lo porterà prima in Marocco e poi in Egitto, e durante il quale termina di scrivere il dramma-poema ‘Willem Tragedy’. L’intensa lettura di Elias Canetti e di Wittgenstein lo spinge ad affrontare la sua unica opera di natura non teatrale, ossia: ‘Cronache dal paesaggio’, un romanzo composto dall’intarsio di oltre trecento racconti e la cui stesura si protrarrà per molti anni. Invitato a tenere un incontro sul suo teatro presso l’Universit LUMSA vive l’episodio cruciale della sua vita allorché conosce Paola Conte, giovane studentessa che si interessa alla commedia ‘La partitella’ a cui dedicherà un breve saggio discusso in fase di esame. A pochi mesi dal loro incontro, i due partono per Helsinki, dove il Teatro Nazionale finlandese ha messo in cartellone ‘La cena’ e dove, già da tempo, opera una compagnia che, a seguito di un allestimento locale di ‘Ti amo, Maria!’, ha fondato un teatro intestato al nome dell’autore. Manfridi e Paola Conte, in attesa di un figlio, trascorrono insieme l’estate del ‘98 a Modica, ospiti dell’amico drammaturgo Vincenzo Giannì. A ottobre si sposano. Il mese successivo, la coppia si reca a Parigi per assistere all’allestimento francese di ‘Giacomo, il prepotente’ firmato da Antonio Arena al Théatre des Champs Elisées (scrive ‘Le Courier de l’Ouest’: ‘In sala si piange dinanzi a tanta disperante bellezza. Poiché la commedia di Manfridi è un capolavoro’, mentre ‘Le Figaro’ sottolinea ‘l’eccezionale’ allestimento di Arena, e ‘Le point’ annota: ‘Grande l’ambizione di questo spettacolo, ma grande la sua riuscita’. ‘Le Parisien’ intitola: ‘Misterioso e sconvolgente il Leopardi di Manfridi’). Il 6 gennaio del ‘99 nasce il primogenito Lorenzo. Dell’anno successivo è la messa in scena londinese di ‘Zozòs’ con la regia di Peter Hall. Il successo à notevole. Franco Quadri, presente alla Prima, ne rende testimonianza in un ampio articolo su ‘La Repubblica’ scrivendo de ‘la straordinaria risposta di pubblico e di critica’ e definendo ‘Zozs’ come un ‘classico del genere’. Warwick Thompson su ‘Time Out’ ne parla come della ‘più bella commedia che Orton non ha mai scritto’, e anche il ‘Times’ ripropone il nome di Orton mettendo però a fuoco che neanche Orton avrebbe potuto far confluire in una tragedia come ‘Zozòs’ il divertimento iniziale e il dramma finale come invece è riuscito all’auore italiano, e scrive: ‘Ciò che avviene sotto quel paracadute resterà tra le più vivide immagini dell’anno’; il critico del ‘Sunday Times’ riferisce della più ‘raffinata, esilarante, destabilizzante, indecente commedia che abbia mai visto’; Michel Billington su ‘The Guardian’ definisce la piéce ‘sensazionale’, mentre ‘The indipendent’ la colloca come la seconda più bella commedia rappresentata a Londra nel corso della stagione. Sempre nel 2000, Manfridi collabora con la moglie al testo ‘Verso Roma’, commissionato dal Teatro di Roma, e alla traduzione di ‘Big Sea’ di Colin Teevan, a sua volta traduttore di ‘Zozòs’ (ribattezzato in inglese ‘Cuckoos’), e con cui, già da anni, si è stabilito un rapporto di collaborazione reciproca per la diffusione delle rispettive drammaturgie in Italia e in Inghilterra. Il 10 maggio del 2001 nasce il secondogenito Gabriele. Il giorno dell’attentato alle torri gemelle Manfridi si trova al Cairo come membro italiano della giuria di un festival teatrale. Lo sgomento di dover vivere un evento di tale portata lontano dalla famiglia è fortissimo. Di ritorno in Italia, deve alla determinazione di Pamela Villoresi, che, con Giulio Brogi, ne sarà magnifica protagonista, l’allestimento di ‘L. Cenci’ prodotto dallo Stabile di Palermo. In questo caso Manfridi firmerà anche la regia dello spettacolo, la sua terza in tanti anni di impegno teatrale. Nel 2002 vive, a Milano, l’emozione di vedere la messa in scena de ‘La riserva’ nello stadio di San Siro (tra i più grandiosi ma anche tra i più inquietanti, soprattutto per un tifoso giallorosso). Il monologo è affidato al preococissimo talento di Francesco Venditti. La regia è di Claudio Boccaccini. Le musiche di Gianni Togni. Nell’occasione di una sceneggiatura a quattro mani poi non tradotta in film, Manfridi conosce il poeta e regista cinematografico Giancarlo Scarchilli. Anche stavolta la passione letteraria e quella sportiva faranno da base a una profonda amicizia. Giunto all’età di 47 anni, l’autore decide di affrontare un’esperienza scenica totale e, quasi tornando alle origini, ossia ai tempi di ‘Andromaca’, si propone come interprete solista del proprio testo ‘Il fazzoletto di Dostoevskij’. All’ottimo successo dello spettacolo partecipano due collaboratori ormai ‘storici’: il musicista Antonio Di Pofi e il regista Claudio Boccaccini. Dal sito ufficiale dell'autore giuseppemanfridi.it

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