Biografia Jim Morrison |
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La tomba di Jim Morrison al cimitero Père Lachaise di Parigi è una specie di Lourdes del rock. Fedeli, incidentati vari o semplici curiosi vi si radunano quotidianamente lasciando ognuno un proprio feticcio o un segno di passaggio. Rendere visita al luogo in cui è sepolto Jim Morrison è, per l’appassionato di rock, l’equivalente del pellegrinaggio a San Pietro per un cattolico, il viaggio alla Mecca per un mussulmano, l’abluzione nel Gange per un induista.
Una delle immagini più esasperate del mito-Morrison lo ritrae con una corona di spine sul capo, come un dolente Gesù dei nostri giorni, condannato a morire in croce per i peccati del mondo. Sappiamo tutti che Jim Morrison morì nella vasca da bagno di un anonimo albergo parigino, e che a stremarlo non furono i chiodi ma semmai le siringhe. Eppure il rock continua a proporci un suo vangelo apocrifo che recita incessantemente: Jim Morrison non è morto, Jim Morrison risorge.
Le resurrezioni di Jim Morrison ormai non si contano più. In chiave di avvistamenti post mortem sta gareggiando a vista con Elvis Presley. C’è sempre un mitomane disposto a vederli a spasso da qualche parte, esuli e felici, finalmente redenti da una vita di eccessi e cupidigie varie. Ad alimentare questo genere di fantasie ha sicuramente contribuito lo stesso Morrison mentre era in vita, dispensando ricette di trasmigrazione delle anime che neanche il “Libro tibetano dei morti”.
Su di un disco postumo – guarda caso – intitolato – guarda caso - “An american prayer”, una preghiera americana, Jim Morrison, in palese stato di trance o di intorpidimento canicolare, ci racconta di quella volta in cui, da bambino, fu testimone di un incidente d’auto che coinvolse un indiano pellerossa, di come costui morì per le ferite riportate, di come l’anima dell’indiano si fosse trasferita nella sua, e di come, in sostanza, lui, bianco, nato in Florida, figlio di un ufficiale della marina militare, grazie a questo accadimento ultraterreno, fosse riuscito ad acquisire lo statuto di nativo americano, e fosse quindi a tutti gli effetti un reincarnato doc di una qualche tribù indigena.
Ormai sappiamo che le reincarnazioni di Jim Morrison da vivo hanno fomentato le sue resurrezioni da morto. Ma spostare un sepolcro significa sempre profanarne il contenuto, infrangerne la sacralità. E Jim Morrison, ormai, è scaduto a santino propiziatorio: l’immortalità peggiore che si poteva augurargli.
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