Biografia Leo Rosten |
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Leo Rosten nacque a Lodz, in Polonia, l’11 aprile del 1908 ma divenne
naturalizzato americano. All’età di tre anni emigrò con i genitori a Chicago,
presso la cui Università si laureò nel 1930 in Sociologia prendendo anche un
dottorato (1937). Dopo aver lavorato come sceneggiatore (ha scritto in totale
sei sceneggiature) e come propagandista di guerra, nel 1949 entrò nello staff
del periodico newyorchese “Look”, lavorandovi sino al 1971. Fu inoltre scrittore
umoristico, linguista e sociologo. Ha anche insegnato in diverse Università, tra
le quali la Columbia University (NY), la Yale University e la Berkeley (CA). Nel
1935 sposò Priscilla Ann Mead (sorella della nota antropologa Margaret Mead),
dalla quale ebbe i figli Madeline, Margaret e Philip e dalla quale divorziò
sposando nel 1960 Gertrude Zimi. Rosten ha scritto libri sul mondo yiddish e
racconti seriali divenuti veri bestseller, catturando l’interesse di milioni di
lettori e l’entusiasmo dei critici. Nel 1930 era comparsa sul “The New Yorker”
una serie di brevi racconti incentrati sul personaggio dello studente di origini
russe Hyman Kaplan, che nel 1937 furono riuniti e firmati con lo pseudonimo
Leonard Q. Ross in “L’educazione di H*Y*M*A*N K*A*P*L*A*N (The Education of
HYMAN KAPLAN)”, in cui in modo simpaticamente umoristico e autobiografico (per
mantenersi agli studi, Rosten aveva insegnato in una scuola serale per adulti
immigrati), narrava le vicende comiche e sconcertanti di un candido ragazzo
immigrato (che soleva firmarsi con diversi pastelli colorati e con le singole
lettere intervallate da stelline) e dei suoi vani sforzi d’imparare l’inglese in
una Scuola Preparatoria Notturna di Inglese col pervicace insistere in
gravi distorsioni dialettali. La pubblicazione fu salutata da un grande
successo e seguirono due altri romanzi meno fortunati: “Il ritorno di H*Y*M*A*N
K*A*P*L*A*N (The return of HYMAN KAPLAN)” (1959), e “O K*A*P*L*A*N! Mio
K*A*P*L*A*N! (O KAPLAN! My KAPLAN!)” (1976) che riassumeva e rielaborava i due
romanzi precedenti. Nel 1941, Rosten scrisse un saggio sociologico (quasi un
racconto) sull’industria del cinema: “Hollywood: La colonia del cinema, i
creatori del cinema (Hollywood: The Movie Colony, The Movie Makers)”, e nel 1955
raccolse molti suoi articoli giornalistici nel volume “Una guida alle religioni
d’America (A Guide to the Religions of America)”. Nel 1963, da un suo racconto
ispirato da un militare realmente esistito, è stato tratto il film “Capitan
Newman (Captain Newman, M.D.)” di David Miller con Tony Curtis e Gregory Peck,
in cui una materia difficile (la cura da parte di uno psichiatra militare dei
reduci della II guerra mondiale, colpiti da nevrosi) viene affrontata puntando
sui molti aspetti comici della situazione. Del 1968 è il divertente
dizionario enciclopedico satirico Yiddish “Le gioie dell’Yiddish (The Joys of
Yiddish)” (ripubblicato in edizione rivisitata nel 1989), nel quale Rosten ha
raccolto tutte le espressioni Yiddish più usate e gli aneddoti più coloriti. Nel
volume “Le persone che ho amato, conosciuto o ammirato (People I Have Loved,
Known or Admired)” (1970), ha pubblicato diversi articoli che spaziavano da suo
padre a Montaigne, a Leonardo da Vinci, a Winston Churchill e a Sigmund Freud.
Nel 1977 ha scritto il grosso volume “Il tesoro delle citazioni ebraiche di Leo
Rosten (Leo Rosten’s Treasury of Jewish Quotations)”, denso di notazioni
umoristiche che hanno fatto il giro del mondo. Del 1982 è “Urrà per l’Yiddish!
Un libro sull’Inglese (Hurray for Yiddish! A Book about English)”, in cui ha
valutato nel suo solito modo umoristico l’influenza sul lessico
Inglese-americano della lingua yiddish, dal vocabolario limitato ma dalle
immense capacità espressive. Nel 1994 ha pubblicato “Carnevale di saggezza di
Leo Rosten: da Aristotele a Woody Allen (Leo Rosten’s Carnival of Wit: From
Aristotele to Woody Allen)”, fonte di tutta una serie d’irresistibili sagaci
osservazioni. Leo Rosten è morto a New York il 19 febbraio del 1997 a quasi
novanta anni; egli ci ha insegnato, in tempi di multiculturalismo, l’importanza
di percepire ed accettare le differenze linguistiche al fine di rendere la
cultura sempre più ricca e interessante.
Di Silvia Iannello
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