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Biografia Luce Irigaray
Luce Irigaray
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Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e’ tra le piu’ influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce Irigaray: Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e’ un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e’ mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L’oblio dell’aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996] Il pensiero di Luce Irigaray si e’ sviluppato in un vivo rapporto di scambio con la politica delle donne. Il tema delle genealogie femminili ne e’ un esempio privilegiato. Ci sono piu’ modi di accostare questo tema. Possiamo farlo a partire dal nostro rapporto personale con la madre, che spesso e’ un campo di macerie. La relazione figlia-madre e’ costantemente presente nell’opera di Irigaray a cominciare da Speculum. De l’autre femme (1974), ancor prima che prenda forma il tema che c’interessa, e a questo tema verra’ poi sempre associata. Scrive Irigaray nel 1989: "Un crocevia perduto del nostro divenir donne si trova nel confondersi e nell’annullarsi delle nostre relazioni con la madre e nell’obbligo di sottometterci alle leggi dell’universo degli uomini" (Irigaray 1989, p. 75) (1). Possiamo parlare delle genealogie femminili partendo dalla realta’ sociale comunemente osservabile, per esempio la scuola. "La scuola - ha detto Irigaray -, il mondo sociale degli uomini, la cultura patriarcale hanno lo stesso ruolo per le fanciulle che l’Ade per Core-Persefone", ossia, come una potenza infernale che rapisce la figlia alla madre e la violenta. Continua Irigaray: "Le giustificazioni portate per spiegare questo stato di cose sono inesatte. Le tracce della storia della relazione fra Demetra e Core-Persefone ci fanno capire ulteriori cose" (Irigaray 1989, p. 83) (2). Sia l’esperienza personale sia la realta’ sociale portano i segni di una sofferenza e di un disordine enigmatici, che fanno pensare a una violenza profonda. Questa violenza, ci insegna Luce Irigaray, corrisponde alla distruzione della relazione genealogica tra madre e figlia ad opera del patriarcato. * Per esporre questo problema, una volta io mi sono basata sulla lettera di una donna al giornale, una lettera comunissima che mostra, in filigrana, le origini del patriarcato che si ripetono ai nostri giorni rinnovando nelle donne sofferenza e confusione. Ecco la lettera: "Spett.le direttore, sono nata in una famiglia composta da quattro figli: due maschi e due femmine; le femmine oggi sono sposate, i maschi no. Mio padre ha sempre avuto grandi favori per i due maschi: mance piu’ generose, piu’ liberta’ di costumi, cibo maggiormente sostanzioso: carne due volte al giorno per i fratelli, per noi formaggio. Queste sue convinzioni che i maschi fossero piu’ in tutto e che dovessero essere avvantaggiati in tutti i modi e in tutti i campi per affrontare meglio la vita, le trasmise anche alla mamma. Quando i fratelli furono adulti, costrui’, intestandola direttamente a loro, una casa molto spaziosa e bella nel centro del paese, usando i soldi della sua liquidazione e tutti i suoi risparmi. Quando mori’... si arrivo’ ad una lite tremenda, alla fine della quale ci fu intimato di non mettere mai piu’ piede nella loro casa (ove viveva pure la mamma) e ci fu negato ogni contatto con lei, pena la minaccia di essere citate per violazione di domicilio. In questo clima di tremenda tensione non ho potuto vedere mia madre per quasi nove anni, trascorrere con lei qualche momento, avere dei consigli: tutte cose che si ricordano con tanta tenerezza nei momenti di dispiacere. Neppure a Natale e a Pasqua potevo porgerle gli auguri, pur abitando a cinque minuti dalla sua abitazione! Mi chiedo tristemente: allora e’ sempre la forza bruta che vince, a dispetto dei legami affettivi madre-figlia? Tutte le leggi sull’uguaglianza dei sessi non sono dunque rispettate e cedono alla violenza? Al piu’ forte? Mi auguro che questa mia tristissima vicenda illumini quei genitori che ancora fanno discriminazione fra i loro figli maschi e femmine, affinche’ cio’ non succeda mai piu’. Antonietta X". Per commentare questa lettera mostrai i punti di contatto e di divario che ha con il mito di Demetra e Core (Muraro 1988, pp. 24-28) ispirandomi a Luce Irigaray sia per il modo di usare i miti, in chiave storica, sia per l’interpretazione del mito di Demetra. Oltre all’esperienza personale e alla realta’ sociale, anche i documenti storici possono offrire una buona introduzione al nostro tema. Portero’ come esempio, fra i molti, il processo di condanna di Giovanna d’Arco. Il processo di Giovanna d’Arco puo’ essere riguardato come un rinnovato assalto della trionfante religione del padre alle antiche genealogie femminili, ancora sotterraneamente vive. Dice Giovanna nella prima udienza pubblica: "Tutto quello che so, lo so da mia madre". E’ di grande interesse notare, anche per noi oggi, come ella si distacchi dalla madrina che aveva fede nelle fate, si distacchi cioe’ dalle antiche genealogie femminili, ma non le rinneghi e le riproduca anzi nel contesto della religione ufficiale: tutta la sua vita infatti e’ governata dalle sante Caterina e Margherita, che la consigliano, la confortano, le danno forza e le parlano a nome di Dio. La mitologia greco-romana offre un altro approccio, quello preferito da Luce Irigaray, al tema che ci interessa. Altri ancora sono sicuramente possibili, come la letteratura e penso a Ellen Moers, Literary Women. E’ chiaro che i diversi approcci non si escludono ma, al contrario, possono combinarsi fra loro. Elencando i diversi approcci, ho voluto dare una prima definizione del concetto di genealogie femminili. Non e’ una definizione di tipo classico, e’ evidente. E’ una definizione contestuale o, piu’ precisamente, indicale (riprendo il termine da Peirce), come quando si punta un indice e si dice: "E’ questo". Perche’ non ho dato una classica definizione? Perche’ non e’ possibile. Questo tema si trova infatti sul confine tra dicibilita’ e indicibilita’, come del resto molta parte, non sappiamo quanto grande, dell’esperienza femminile. Quando si tratta, come in questo caso, di portare a dicibilita’ un reale non codificato, bisogna che il campo semantico si apra come il mar Rosso, per far passare le cose (l’esperienza), e le sole definizioni valide sono quelle basate su segni indicatori. Luce Irigaray non da’ alcuna definizione convenzionale delle genealogie femminili, e ben poche definizioni di questo tipo, in generale. * La produzione di Luce Irigaray si ripartisce fra due registri, quello della pura scrittura (cui appartengono Speculum, Amante marine, Passions elementaires, L’oubli de l’air) e quello della parola orale, conferenze per lo piu’, tradotta in scrittura. Il tema delle genealogie femminili e’ presente solo nella produzione del secondo tipo e compare per la prima volta nella conferenza di Montreal del 1980, Le corps a’ corps avec la mere (Irigaray 1987, pp. 19-33). Si tratta dunque di un tema che appare relativamente tardi e associato alla pratica dell’insegnamento orale, un insegnamento libero, quasi sempre voluto e spesso organizzato da donne per donne. Queste circostanze sono, secondo me, significative. Mostrano come questo tema si formi e si sviluppi nell’incontro diretto di Luce Irigaray con la politica delle donne. La principale pratica politica di Irigaray e’ quella del magistero e le genealogie femminili ne sono il frutto per me migliore. Le giudico infatti di fondamentale importanza nella presa di coscienza femminile. * Nella conferenza di Montreal (Il corpo a corpo con la madre) la relazione genealogica fra donne compare dapprima come qualcosa di negato. Questa negazione e’ rappresentata dalle figure mitologiche della dea Atena e di Elettra nell’Orestea di Eschilo. L’Orestea, ciclo di tre tragedie, narra la storia del re Agamennone che torna in patria dalla guerra di Troia e viene ucciso dalla regina Clitennestra, e poi del loro figlio Oreste che, aiutato dalla sorella Elettra, uccide la madre per vendicare il padre, e viene perseguitato dalle Erinni finche’ trova scampo a Delfi dove Apollo e Atena lo salvano dalla punizione dei matricidi. Nelle Eumenidi, la terza tragedia, Apollo difende il matricida Oreste con questo argomento: "Non e’ la madre che genera chi e’ chiamato suo figlio, ma solo nutrice e’ del seme gettato in lei. Genera l’uomo che la feconda: ella, come ospite a ospite, conserva il germoglio, se un dio non lo soffoca prima. Ti offro la prova di questo argomento: padre senza madre e’ possibile. Una testimonianza e’ qui vicina, presente: Atena, la figlia di Zeus, che non crebbe nel cavo ombroso di un seno" (vv. 658-666). Nell’Orestea Luce Irigaray legge l’instaurarsi violento della societa’ patriarcale. Pe lei i miti hanno valore storico: "(...) il mito non e’ una storia al di fuori della Storia, ma la riassume attraverso immagini che riassumono le grandi tendenze di un’epoca" (Irigaray 1989, p. 76) (3). Questa tesi e’ implicitamente critica verso l’interpretazione metastorica del mito di Edipo da parte del freudismo. A Irigaray, piu’ che la critica, interessa guadagnare l’uso positivo dei miti. L’antica mitologia prova l’esistenza di una societa’ ginecocratica prima del patriarcato, sostiene Irigaray rinverdendo la nota teoria di Bachofen. Il modo mitologico di narrare la storia, ella spiega, dipende dal fatto che allora parola e arte non erano separate. C’era allora un altro rapporto con lo spaziotempo. E conclude: "L’espressione mitica della Storia e’ piu’ vicina alle tradizioni femminili e matrilineari" (Irigaray 1989, p. 76) (4). Occorre pero’ tener conto che i miti pervenuti a noi sono una messa in scena gia’ patriarcale, che mira a nascondere piu’ che a mostrare, a istruire piu’ che a raccontare. Irigaray parla di un mascheramento operato dalla cultura patriarcale. A questo proposito, in una recente serie di conferenze tenute nell’Italia meridionale, ella fa una precisazione che suona discutibile: "Questa cultura patriarcale ha cancellato, forse per ignoranza o incoscienza, le tracce di una cultura anteriore o simultanea ad essa" (Irigaray 1989, p. 76) (5). L’ipotesi dell’ignoranza o dell’inconsapevolezza si accorda male con quello che la stessa Irigaray aveva detto a Montreal nel 1980, che a fondamento della civilta’ presente c’e’ un matricidio impunito: "Oreste uccide la madre perche’ lo esige l’impero del Dio Padre e lo esige il suo appropriarsi delle potenze arcaiche della madre terra" (Irigaray 1987, p. 22) (6). Se questo e’ vero in un qualche modo (e per Irigaray i miti sono veri in modo storicamente determinato), l’ignoranza e l’inconsapevolezza del patriarcato mi sembrano finte. Non si tratta d’incoerenza da parte di Irigaray, ma del movimento del suo pensiero. Su questo punto specifico l’instabilita’ viene, secondo me, da una contraddizione che si manifesta in un fatto paradossale, e cioe’ che nella societa’ patriarcale i figli maschi hanno con la madre un rapporto di gran lunga migliore delle figlie. Quando Irigaray attenua la polemica nei confronti del patriarcato, lo fa, secondo me, per il contraccolpo di questa contraddizione. Nella conferenza di Montreal ella allude all’enigma irrisolto del nostro rapporto con la madre, dicendo: l’uccisione di Clitennestra rende folli sia Oreste sia Elettra, ma Oreste guarisce con l’aiuto di Apollo mentre Elettra resta pazza (Irigaray 1987, p. 22). Ma piu’ avanti invita le ascoltatrici a "uscire da un mondo di follia che non e’ il nostro" (p. 28). Piu’ avanti ancora, torna a fare una allusione, sia pure velata, alla nostra follia: noi donne dobbiamo badare a "non riuccidere la madre che e’ stata immolata all’origine della nostra cultura" (p. 29) (7). Immolata, s’intende, dal figlio per conto del padre. In cio noi saremmo coinvolte piu’ come complici o imitatrici dell’uomo che come responsabili dirette. La contraddizione resta dunque presente ma inesplorata. Cio’ si riflette nella forma della conferenza, composta da una prima parte che interessa fondamentalmente gli uomini e ha forma teorica, e una seconda parte, rivolta specialmente alle donne, che ha forma di esortazione: "E’ urgente che ci rifiutiamo... E’ necessario anche che noi... Dobbiamo essere attente a un’altra cosa..." (8) e cosi’ via fino alla fine. Questa forma del discorso sembra dire che non ci sia niente da capire, niente da spiegare nel nostro rapporto con la madre, ma solo qualcosa da migliorare, e che il problema riguardi quasi esclusivamente gli uomini. E’ in questa serie finale di esortazioni, tutte d’innegabile valore morale e politico, che a un certo punto prende forma positiva il concetto di una relazione genealogica tra donne, con queste precise parole: "E’ necessario anche, se non vogliamo essere complici dell’uccisione della madre, che affermiamo che esiste una genealogia di donne" (Irigaray 1987, p. 30) (9). Questa genealogia e’ duplice.

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