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Biografia Alessandro Galante Garrone
Alessandro Galante Garrone
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Alessandro Galante Garrone, tra i padri fondatori della Repubblica, nacque a Vercelli il 1 Ottobre del 1909; fu fervente antifascista e magistrato-giurista oltre che scrittore e storico. La sua era una famiglia cattolica di origini contadine, austeramente religiosa: il nonno era un severo professore liceale di matematica mentre il padre, morto giovane nel 1918, fu insegnante di latino al liceo torinese “Gioberti” (fu un professore di Piero Gobetti). Galante Garrone frequentò gli studi di Giurisprudenza a Torino ove si laureò nel 1931: fu allievo di Luigi Einaudi e di Francesco Ruffini (professore universitario e senatore del Regno, liberale antifascista) e fu molto attivo nelle manifestazioni studentesche contro il fascismo. Entrò in magistratura nel 1933 (aveva dovuto rinunziare alla carriera accademica che imponeva il giuramento di fedeltà ai professori universitari) e fece parte del movimento “Giustizia e Libertà”, divenendo uno dei fondatori del Partito d’Azione a Torino nel 1942 e un emblema ideale dell’antifascismo. Sfollato, militò tra i partigiani della Valle di Lanzo costruendosi una figura carismatica nella Resistenza. Membro del Comitato di Liberazione Nazionale del Piemonte, dopo la liberazione di Torino fece parte della Giunta Regionale di Governo e della Giunta Consultiva durante l’amministrazione degli Alleati. Poco prima della guerra sposò Maria Teresa (detta “Mitì”), figlia del magistrato antifascista Domenico Riccardo Peretti Griva, ed ebbe una figlia, Giovanna. Nel 1963 chiese il pensionamento dalla magistratura per dedicarsi anima e corpo ai suoi studi e all’insegnamento presso l’Università di Torino, di Storia Contemporanea prima e di Storia del Risorgimento dal 1969. In questo periodo collaborò con “Il Mondo” (il periodico diretto dal giornalista Mario Pannunzio, tra i fondatori del Partito Radicale nel 1956), con Einaudi e con diverse altre riviste. Nel 1993 sentì la necessità di fondare insieme con un gruppo di amici torinesi l’associazione “Movimento d’Azione Giustizia e Libertà”, che si richiamava nostalgicamente al movimento partigiano “Giustizia e Libertà” e che nasceva dal desiderio di rinverdire la tradizione democratica italiana, rinnovando il pensiero del socialismo liberale e richiamandosi ai principi di Salvemini, Gobetti e Rosselli. Intanto scriveva e pubblicava articoli giornalistici su quotidiani e riviste (quest’attività continuò nel tempo attraverso le collaborazioni con “La Stampa”, “Il Ponte”, “L’Astrolabio” e “L’Espresso”), mentre coagulava le sue idee di “democrazia radicale” in voluminosi libri di storia. Del 1948 è “Buonarroti e Babeuf” (dedicato allo scrittore antifascista Franco Venturi) e del 1951 “Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell’Ottocento”. Studiò la storiografia della rivoluzione francese, curando la traduzione de “L’Ottantanove” di Georges Lefebvre (1949) e quella de “La Rivoluzione” di Edgar Quinet (1951) per la quale scrisse uno stupendo saggio introduttivo; fece parte della “Société des études robespierristes”, mantenendo stretti rapporti con i più importanti storici della Rivoluzione Francese: nel 1959 pubblicò “Gilbert Romme. Storia di un rivoluzionario”, con la prefazione di Georges Lefebvre (tradotto in francese nel 1971). Degni di nota sono anche “I radicali italiani, 1849-1925” (1973) e “Felice Cavallotti” (1976); nel 1984 diede alle stampe “I miei maggiori”, dedicato ai suoi maestri di pensiero e libertà Calamandrei, Einaudi e Salvemini; seguirono il carteggio “Zanotti-Bianco e Salvemini” (1984), “Padri e figli” (1986) - in cui è si volge spesso a Piero Calamandrei, al quale dedicò anche la monografia del 1987 “Calamandrei” - , “Amalek. Il dovere della memoria” (1990), “Libertà liberatrice” (1992), “Un affare di coscienza. Per una libertà religiosa in Italia” (1995), e “L’Italia corrotta, 1895-1996. Cento anni di malcostume politico” (1996). Sensibile ai temi dei diritti civili, dei rapporti fra Stato e Chiesa, e dell’educazione civica, pubblicò diversi manuali divulgativi per le scuole. Ne “L’albero della libertà. Dai giacobini a Garibaldi”, nel 1987 raccolse i più importanti contributi pubblicati nel corso di molti anni, che rappresentano delle forti testimonianze delle sue idee. Si definiva un «mite giacobino», e questo fu il titolo della conversazione su libertà e democrazia scritta insieme al giurista Paolo Borgna (1994), che nel 2006 ha pubblicato “Un Paese migliore. Vita di Alessandro Galante Garrone”, biografia iniziata dopo la sua scomparsa utilizzando documenti inediti provenienti dall’archivio di famiglia, in cui ripercorre tutte le tormentate vicende dell’Italia del Novecento. Galante Garrone morì plurinovantenne a Torino il 30 ottobre 2003 (si racconta che poco prima di morire sussurrasse le canzoni degli anni giovanili: quelle della Resistenza). E’ stato certamente uno degli intellettuali liberal-socialisti italiani più significativi e un forte punto di riferimento della cultura laico-democratica e del dibattito intellettuale volto a creare un “Paese migliore” e a difendere i principi sui quali si fonda la Repubblica Italiana.

Di Silvia Iannello

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